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L’uomo si riavvicini alla terra

contadini

“Dobbiamo recuperare l’equilibrio tra la madre terra e l’uomo”. Questa la preghiera di Adolfo Perez-Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980 per aver denunciato gli orrori della dittatura militare argentina degli anni ‘70, intervistato da Carlo Petrini, fondatore dell’associazione Slow Food, e pubblicata da Repubblica.

“La sovranità alimentare è una sfida importantissima, cruciale, e dobbiamo renderci conto che questa è possibile solo ponendo al centro i piccoli e medi produttori, cioè le realtà promotrici di un modello agricolo sostenibile. Le popolazioni devono smettere di essere spettatori per diventare attori principali e protagonisti del proprio destino e della propria storia. È una responsabilità di tutti noi. Il problema, dei piccoli e medi produttori, è che la maggior parte di loro, che sono la spina dorsale del sistema alimentare, non ha denaro per far fronte al modello competitivo imposto dall’agroindustria. Nel 2025, l’80 per cento della popolazione del pianeta vivrà nelle periferie delle città perché la terra sta finendo progressivamente in mano alle multinazionali, che perseguitano indigeni e contadini per poter praticare monocoltura, sfruttamento minerario, estrazione del petrolio. Questo modo di intendere lo sviluppo e il rapporto con la natura sta privando della terra gran parte della popolazione che, se non agisce in maniera compatta, non ha la forza necessaria per opporsi al potere di queste imprese. Ricordo con nostalgia e affetto Helder Camara, un amico di tante battaglie in America Latina. Lui diceva:

Quando davo l’elemosina ai poveri dicevano che ero un santo, quando ho iniziato a chiedere perché ci sono così tanti poveri, hanno iniziato a dire che ero un comunista“.

Ma perché ci sono i poveri? Nessuno desidera essere povero. Perché la ricchezza e la tecnologia si accumulano nelle mani di pochi? Per me democrazia significa dare a tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità. Oggi, se vogliamo davvero raggiungere una democrazia compiuta, dobbiamo ripensare la società in cui viviamo. Gli indios mapuche del Cile vengono condannati per terrorismo perché si oppongono ai grandi progetti minerari e mettono in discussione il diritto di distruggere il loro territorio, mentre i devastatori sono tutelati dalla legge. È evidente che qualcosa va rivisto.

Bisogna capire come resistere, in modo cooperativo o con altri sistemi innovativi. La rete fisica, l’unione delle persone, è l’unica via d’uscita, diversamente non conti nulla. Voi (Slow Food) avete il progetto di creare 10.000 orti in Africa, che è un’idea interessante perché mette in discussione il paradigma dominante. Anche la mia associazione realizza orti e formazione agricola e tecnica per ragazzi di strada e piccoli produttori nella provincia di Buenos Aires, perché dalla terra può partire il riscatto. Facciamo formazione a questi giovani della provincia perché imparino a relazionarsi con la terra in maniera alternativa al modello di sfruttamento che ormai sembra l’unico possibile. Realizziamo anche banche dei semi autoctoni in cui recuperiamo e cataloghiamo le sementi indigene e tradizionali, ci opponiamo radicalmente al sistema dei brevetti che non può essere applicato all’agricoltura, alla vita (…) Non a caso insieme alla mia associazione ci stiamo battendo da tempo per l’istituzione di un Tribunale internazionale per i crimini contro l’ambiente (….) Non è facile capire per chi non vive in prima persona la violenza di certe situazioni. Qualche tempo fa, per sensibilizzare le istituzioni argentine, ho portato Julian Domiguez, l’allora ministro dell’agricoltura e oggi presidente della Camera, a vivere due giorni interi con i contadini della provincia di Buenos Aires. Solo allora ha compreso compiutamente la realtà e la drammaticità della situazione. Credo ci sia bisogno di toccare con mano, per quanto possibile. Diversamente si rimane su un piano teorico e la situazione resta invariata (….) Gli indigeni preferiscono parlare di territorio piuttosto che di terra, perché territorio significa storia, cultura, memoria, appartenenza. Terra spesso si collega solo al concetto di proprietà. A questa distinzione tengono molto. Oggi una delle sfide più grandi è ristabilire l’equilibrio perso con la madre natura in questa vertigine di velocità e di crescita. Tutti vogliono accelerare, cercano lo sviluppo. Ma i semi non si possono forzare, altrimenti si spezza l’equilibrio e si muore. Questa è una lezione che i popoli indigeni, a differenza nostra, non hanno mai dimenticato (…) Racconto un episodio. Una volta mi trovavo in Chiapas insieme a Samuel Ruiz, allora vescovo di San Cristobal de las Casas. Ero là per un convegno su disarmo e sviluppo e approfittai per andare a trovare alcuni amici della comunità maya. Parlando con uno di loro gli domandai:

Cos’è per te lo sviluppo?” E lui mi rispose: “E tu cosa vuoi sviluppare? Vuoi che ci siano più macchine, più computer o cos’altro?Nella lingua maya non esiste la parola sviluppo. È un termine occidentale. E allora, gli chiesi: “Che parola utilizzate?” “Per noi esiste solo la parola equilibrio, tra noi, con gli altri, con la terra, con il cosmo e con Dio. Quando si rompe l’equilibrio nasce la violenza”.

Questo discorso mi è sempre rimasto impresso e l’ho fatto mio. Dobbiamo sempre far tesoro della saggezza degli indigeni (…) Il mondo è ogni giorno più accelerato e ogni giorno più violento in questa sua accelerazione, è imprescindibile tornare a pensare in una dimensione di equilibrio. Scienza e tecnica devono essere al servizio dell’umanità e degli esseri viventi, e per questo dobbiamo ristabilire l’ordine delle priorità, tornare a interrogarci su quali sono le necessità reali di ciascuno e quali invece quelle imposte dal nostro sistema di società dei consumi, che ormai permea anche le relazioni interpersonali. Se noi distruggiamo questo piccolo pianeta chiamato Terra, che è l’unico che abbiamo, tutto il resto perde di senso, diventa fantascienza. Dobbiamo vedere come il cibo che produciamo, l’acqua che sprechiamo, l’uso sconsiderato che facciamo dei beni comuni, stanno riducendo la nostra casa comune. Dobbiamo recuperare l’equilibrio tra la madre terra e l’individuo”.

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Il Razzista dell’anno



“In occasione della Giornata Mondiale per l’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali, il 21 marzo, un importante membro del Congresso brasiliano ha ricevuto da Survival International il premio “Razzista dell’anno”. Durante un incontro pubblico lo scorso novembre, infatti, il deputato Luis Carlos Heinze aveva fatto commenti razzisti contro gli Indiani del Brasile, gli omossessuali e i neri. Un altro membro del Congresso, Alceu Moreira, aveva poi invitato a sfrattare i popoli indigeni che cercano di rioccupare i loro territori ancestrali.

attestato-premio-razzismoHeinze, Presidente della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, ha dichiarato che “Il governo, Gilberto Carvalho, che è uno dei Ministri della Presidente Dilma, se la fa con i neri, gli Indiani, i gay, le lesbiche, e tutti i perdenti. È per questo che vengono protetti e controllano il governo. […] C’è solo un modo: difendetevi Difendetevi come stanno facendo nello stato del Pará e nel Mato Grosso do Sul.” Nel corso dello stesso incontro il deputato Alceu Moreira aveva invitato gli allevatori brasiliani a vestirsi “da guerrieri” e impedire che “truffatori come questi [probabilmente i sostenitori degli Indiani] mettano anche solo un piede nelle vostre proprietà. […] Riunitevi e formate grandi masse, e quando necessario sfrattateli [gli Indiani e i neri]!”

I due deputati fanno parte della potente lobby agricola anti-indigeni, che sta facendo pressione sul governo per l’approvazione di una serie di leggi controverse che indebolirebbero drasticamente il controllo degli Indiani sui propri territori. In una lettera al Ministro della Giustizia brasiliano l’APIB, Associazione dei Popoli Indigeni del Brasile, ha affermato che queste offese fanno parte di “una terribile campagna di discriminazione, razzismo e sterminio dei popoli indigeni.”

I cambiamenti in discussione al Congresso sarebbero devastanti per le tribù brasiliane come i Guarani, che hanno già perso gran parte delle loro terre a causa degli allevamenti e delle piantagioni di canna da zucchero. I membri della tribù subiscono le violenze dei potenti proprietari terrieri che spesso assoldano sicari per sfrattarli dalle loro terre e assassinare i loro leader. “I sicari ci minacciano e vogliono ucciderci” ha detto un uomo Guarani. “Vogliono portarci all’estinzione.”

Sembra che la campagna elettorale del deputato Heinze sia stata finanziata dalla Bunge, il colosso dell’industria alimentare USA che compra canna da zucchero dalle terre rubate ai Guarani.

Il premio di Survival al razzista dell’anno era già stato vinto dal giornale peruviano Correo, che aveva definito “selvaggi” e “primitivi” gli indigeni peruviani, e dal giornale paraguaiano La Nación, che aveva paragonato gli Indiani del Paraguay al cancro e li aveva definiti “schifosi”.

“Da più di 500 anni noi Indiani del Brasile subiamo il razzismo, i pregiudizi e le violenze delle persone che vogliono vedere la nostra fine; ma noi siamo ancora qui” ha detto Nixiwaka Yawanawá, un Indiano amazzonico che nel 2013 si è unito a Survival per difendere i diritti indigeni. “Siamo i protettori delle foreste e vogliamo rispetto. Sentire i commenti razzisti e pieni d’odio di questi politici mi fa rabbia e tristezza. Mancano pochi mesi alla Coppa del Mondo, l’opinione pubblica mondiale deve accorgersi anche di questo lato del Brasile.” Survival International

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