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Quanto vale un utente di un Social network?

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E’ una domanda che si fanno in molti e alla quale in molti hanno provato a dare risposta. L’argomento è recentemente tornato di moda col caso Snapchat, l’ultimo tra i servizi social che ha attirato l’attenzione degli analisti di mezzo mondo per aver rifiutato un offerta di 3 miliardi di dollari cash (a fronte di un profitto vicino allo zero). Si tratta di un’ offerta sensata o esagerata, come hanno detto in molti? Nessuno conosce i numeri dell’utenza di Snapchat, tenuti segreti dai fondatori e non ancora misurati dalle altre compagnie di ricerca. Avendo la fortuna di lavorare per una compagnia di ricerca che agisce molto rapidamente ai cambiamenti del mercato, ho già a disposizione stime sulle dimensioni della sua utenza e sulle quali mi baserò per analizzarne il valore e di cui nessun altro dispone.

La mancanza di dati consistenti riguardo alla base attiva di ogni servizio ha prodotto risultati discrepanti e non attendibili. Cercherò qui di dare risposta alla domanda utilizzando i dati di GlobalWebIndex che consentono di avere una base quantomeno consistente su cui fare delle ipotesi. La metodologia di GlobalWebIndex indica come “attivi” gli utenti che hanno utilizzato un determinato servizio in maniera attiva nell’ultimo mese. Login accidentali non vengono considerati. Account doppi o inesistenti vengono tenuti anch’essi fuori dalla conta e per questo le stime potrebbero sembrare più bassi del dovuto. La ricerca, inoltre, viene svolta tra gli utenti 16-64 di 32 paesi al mondo.

Per il calcolo del valore del singolo utente mi sono invece affidato ad un semplice calcolo matematico basato sul valore di mercato della compagnia divisa per la base di utenti attiva. Il valore è dato dalla capitalizzazione di mercato, quando la compagnia è quotata in borsa, o da stime degli analisti quando invece la compagnia è fuori dai listini. Tutte le valutazioni vengono fatte in base al valore della compagnia al 22/11/2013.

Iniziamo da Facebook la cui valutazione di mercato a Wall Street secondo il sito del NASDAQ è di circa $114mld. Questo diviso per una base utenti attiva stimata secondo i parametri sopra indicati di 637mln , porta a un valore utente di poco meno di 179 dollari.

Twitter è anch’esso quotato a Wall Street ed ha una capitalizzazione di mercato pari a 22,741mld  di dollari che, divisi per una base attiva di 321,5mln di utenti nei 32 paesi della ricerca, porta a un valore utenti pari a 70.73 dollari.

Linkedin, il social network professionale più di successo nel mondo, ha il valore utente più alto del mercato data la alta qualità dei dati contenuti al suo interno. Con una capitalizzazione di poco meno di 26,5mld di dollari e una base utenti attiva di poco più di 132mln, il valore per utente è appena superiore ai 200 dollari. Certo è che il valore dell’utente di Linkedin non si basa tanto sulla sua attività quanto sulla mera presenza stessa sul Social, visto che la maggior parte degli introiti li guadagna vendendo servizi di recruiting. Se prendiamo, quindi, in analisi il numero di account creati (265mln) raggiungiamo un valore di quasi 100 dollari per utente.

Con Pinterest, non ancora quotato in borsa, entriamo nell’area delle stime. In seguito all’ultimo round di finanziamenti di 200mln di dollari il valore della compagnia è ora stimato sui 3,8mld di dollari che divisi per una base utenti attiva di 81,3mln, da un valore utenti di 46.69 dollari.

LinkedIn è quindi la compagnia col più alto valore per utente ed in effetti è anche quella che raccoglie i maggiori profitti in scala. Facebook invece appare essere piuttosto sopravvalutato sulla base dei dati raccolti da GlobalWebIndex. E’ vero che diventato uno dei leader mondiali per la vendita di spazi pubblicitari, ma le stime sul suo valore vengono fatti su numeri inesatti. Twitter ha un valore di mercato che è addirittura 22 volte i guadagni previsti per il 2014, quasi il doppio rispetto a Facebook, nonostante la maggior difficoltà a vendere spazi pubblicitari e a farli accettare ai propri utenti. Ma il suo valore per utente sembra essere più in linea con la realtà delle altre piattaforme.

Prima di arrivare a Snapchat occorre dare un’occhiata al valore utente di altre piattaforme di social su mobile, tanto per aver le giuste misure.

WhatsApp, ad esempio, ha un valore stimato, secondo alcun rumors di acquisizione da parte di Google, di circa 1mld di dollari e conta una base utenti di poco meno di 170mln. Ancora una volta, con un semplice calcolo arriviamo a 5.89 dollari a utente. Non male considerando che l’app ne costa 1 a utente.

Per quanto riguarda Instagram, dobbiamo rifarci alla quotazione di un anno fa quando fu acquistata da Facebook. All’epoca gli analisti stimavano un valore di 500,000 dollari ma noi ci baseremo sul valore di acquisizione di 1mld di dollari  su una base utenti attiva di 40mln. Nel 2012, quindi, un utente valeva 25 dollari e se volessimo, per gioco, fare una proiezione sulla base utenti attuale di 109mln, otterremmo che oggi Instagram vale 2,731mld di dollari. Meno di quanto offerto per Snapchat. Arriviamo quindi al punto. Sono 3 miliardi di dollari giustificati per l’acquisto di Snapchat? Quanti utenti attivi conta?

Secondo le stime di GlobalWebIndex, Snapchat conta ora 25,5mln di utenti attivi nel mondo, che, basandosi sul valore di mercato di 3mld di dollari, portano a un valore utente stellare di 117,6 dollari. Quasi 20 volte quello di Whatsapp e quasi 5 volte quello di Instagram.

Se da un lato può essere vero che Snapchat ridefinisce il concetto di comunicazione online e di messaggistica istantanea e non ha ancora raggiunto interamente il suo pubblico di riferimento, dall’altro lato avrebbe giovato enormemente dall’acquisizione da parte di Facebook e non è detto che se tra qualche tempo avra’ il doppio degli utenti il valore di mercato rispecchierà tale crescita. Inoltre Snapchat dovrà affrontare il problema di ogni altra piattaforma, e cioè la monetizzazione degli utenti.

Che Evan Spiegel, fondatore di Snapchat, abbia nascosto nella manica un business model in grado di tradurre i propri utenti in denaro sonante, che nessun altro ancora ha esplorato, ho i miei dubbi.

In poche parole se fossi stato in lui, io, come molti altri avrei preso i soldi senza nessuna esitazione.

(Fonte techeconomy)

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Startup, i 30 under 30 più promettenti dell’anno

Hanno tutti meno di 30 anni e tutti hanno già creato dal nulla un’impresa innovativa dal fatturato importante. Sono i 30 under 30, i 30 imprenditori americani sotto i 30 anni che la rivista Inc. ha giudicato i più promettenti dell’anno. Tra di loro, i creatori di Pinterest, Ben Silbermann e Evan Sharp, 29 anni ciascuno, e Daniel Ek, l’imprenditore dietro Spotify. Eppure ciò che emerge dalla lista di Inc. non è solo l’abilità informatica dei trenta. Tra i trend più interessanti di questi nuovi imprenditori, vi è l’attenzione che molti di loro prestano all’impatto sociale e ambientale della propria startup. Molte di queste imprese infatti offrono delle soluzioni innovative in settori che necessitano un cambiamento, altre sono state create proprio per fare fronte a dei problemi di carattere sociale.

Ne è un esempio GiveForward, la piattaforma di crowdfunding dedicata alla raccolta fondi per sostenere le spese mediche. Creato da Desiree Vargas Wrigley, imprenditrice sociale, laureata a Yale, GiveForward ha raccolto dal suo lancio nel 2008, quasi 15 milioni di dollari. “Un modo per fare sentire la presenza di una comunità virtuale, in modo concreto, intorno alle persone che hanno bisogno”, così la Wrigley, ha definito il suo progetto, ma anche uno strumento molto utile in un Paese in cui fino a pochi mesi fa, l’assistenza sanitaria era un miraggio per molti.

In campo sanitario opera anche PharmaSecure, la startup fondata quattro anni fa da Nathan Sigworth, 28 anni, per contrastare i medicinali contraffatti nei paesi in via di sviluppo, attraverso un sistema di codifica e certificazione.

Si chiama The Eatery, l’app che ha risvegliato l’interesse di milioni di americani, aiutandoli a monitorare la propria dieta e incoraggiando l’alimentazione sana. Per usarla basta fotografare il proprio pasto, classificarlo secondo una scala che ne determina l’apporto calorico e condividerlo con la community per ottenere un feedback.  Ideata da Aza Raskin, 28 anni, The Eatery è il primo prodotto di Massive Health App, la società da lui fondata con l’obiettivo di sviluppare app per smartphone che aiutino le persone ad assumere comportamenti più sani.

Non hanno nemmeno quarantacinque anni in due, Zach Sims and Ryan Bubinski, i fondatori di Codecademy, la piattaforma online che offre gratuitamente lezioni di scrittura codici. Fondata nel 2011, Codecademy ha conquistato milioni di utenti in  tutto il mondo, persino Michael Bloomberg, sindaco di New York ha reso noto via twitter di esserne fan. Utilizzata soprattutto da persone che, in tempo di crisi, cercano di arricchire il proprio CV, acquisendo nuovi skills, Codecademy ha attirato anche l’interesse degli investitori. Il visitatissimo sito web ha infatti attirato investimenti per oltre 12 milioni di dollari, da parte di venture capitalist.

L’educazione è un campo particolarmente interessante per gli imprenditori under 30. Tra i nomi presenti nella lista, anche Adam Pritzker, Matthew Brimer e Brad Hargreaves, gli sviluppatori di General Assembly, l’istituto che cerca di supplire alle carenze formative della scuola contemporanea, organizzando corsi di tecnologie digitali, design ed economia, per fornire agli studenti nuovi strumenti che li aiutino ad affrontare il sempre più competitivo mercato del lavoro.

Ed è proprio il lavoro una delle corde più delicate che queste startup di successo vanno a toccare con il proprio business. Il valore sociale più importante rappresentato dalle aziende nella lista è la capacità di creare nuovi posti di lavoro. Si calcola che siano oltre 1800 le persone impiegate da queste 30 giovani realtà imprenditoriali, con una media di 25 dipendenti per azienda.

Un dato incoraggiante, considerando anche l’intenzione di fare impresa in modo etico. Interessante infatti, notare che tra le imprese, prevalentemente digitali, presenti nella lista, compare anche la manifattura a chilometro zero. School House il brand di abbigliamento sportivo pensato per universitari, creato dalla ventisettenne Rachel Weeks, che l’anno scorso ha fatturato oltre 700 mila dollari, ha scelto Durham, North Carolina, come sede della propria azienda, “il 70% della nostra filiera produttiva si trova entro dieci chilometri da Dunham. Stiamo cercando di attribuire un nuovo valore al made in USA e di offrire nuove opportunità per l’economica locale.”

La stessa scelta è stata fatta da Ziver Birg, di Zivelo, la seconda azienda di chioschi multimediali più importante al mondo. Con un fatturato di 9 milioni l’anno, anche Zivelo ha optato per il made in USA, stringendo un accordo con una delle aziende manifatturiere di Marion, nell’Indiana. “Moltissime fabbriche hanno chiuso a causa della crisi e Zivelo ha contribuito ad assicurare il lavoro ad oltre 200 dipendenti”., ha speigato Birg. Tanto che , proprio a Marion, Birg sta progettando la costruzione di un nuovo stabilimento di quasi 10 mila metri quadri. “ Fare impresa è un’avventura e il fatto di poterlo fare, essendo anche utili al proprio Paese è una delle cose che la rendono così eccitante.”

(Fonte vita)

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