Tre piattaforme su 4 entro le 12 miglie non pagano le royalties, i diritti per le concessioni. E il 40% è fermo. È l’accusa dell’associazione ambientalista Greenpeace, dopo un’analisi dei dati sul ministero dello Sviluppo economico relative alle piattaforme entro le 12 miglie, ossia quelle interessate dal referendum del 17 aprile. Pensate che la Norvegia dai petrolieri ottiene l’80%, oppure la Libia di Gheddafi che pretendeva dalle multinazionali addirittura il 90%, o il Canada, dove nelle aree di estrazione la gente giudica insufficiente quel 45% “donato” dai petrolieri. In Italia invece arrivano solo le briciole o addirittura nulla. Continue Reading
piattaforme petrolifere
Il Renzi PetrolTour
Le mire dei petrolieri non hanno confini. E si spingono persino in Sardegna, lambendo il Santuario dei Cetacei, davanti alle coste di Stintino, Alghero, Porto Palmas. Qui una sconosciuta compagnia norvegese ha chiesto in concessione 21 mila kmq per cercare petrolio con l’airgun. Svenderemo così anche il mare più bello e prezioso? Ti piacerebbe vedere delle piattaforme petrolifere in alcuni dei paesaggi marini più belli d’Italia? Fare una nuotata vicino a un pozzo? Ti faresti un selfie con dei gabbiani sporchi di petrolio? Questo è il futuro che vuole darci il Governo: lo sfruttamento di fonti vecchie e sporche come il petrolio anche nei nostri mari è diventato il fulcro della strategia energetica italiana. La protesta dei volontari di Greenpeace contro la trivellazione petrolifera nei mari italiani.
Forse avrete visto un pullman che si aggira nella vostra città…si tratta del nuovo pacchetto turistico “Renzi PetrolTour“. Destinazione: i nostri bei mari, “petrolizzati” dal governo.
Al volante, lo avrete notato, c’è Matteo Renzi che invita gli italiani a salire a bordo per andare ad ammirare le nostre coste punteggiate di trivelle, ascoltare le esplosioni degli airgun, fotografare le piattaforme di estrazione al tramonto, farsi ammaliare dal luccichio delle chiazze di greggio a pelo d’acqua…
Il pullman del PetrolTour ha fatto tappa in 23 città italiane, dove i nostri volontari hanno “inscenato” questa singolare protesta per raccontare a tutti (e contestare) la deriva petrolifera promossa dal governo italiano, che sta spalancando i nostri mari ai petrolieri.
L’opposizione alle trivelle è ben riassunta in un volantino, distribuito dai volontari, del tutto simile a un depliant turistico, con cui Renzi in persona invita gli italiani a scoprire le “nuove meraviglie” del Mediterraneo disseminato di trivelle e trasformato in una sorta di Texas marino.
Il nostro mare, uno dei beni più preziosi del Paese, rischia di essere sfigurato per poche gocce di oro nero: quantità marginali per i consumi del Paese ma occasione di profitto per una manciata di aziende…e noi non vogliamo permetterlo.
In pochissime settimane sono stati autorizzati ben undici progetti di prospezione di idrocarburi in mare con la tecnica dell‘airgun: sotto assedio c’è tutto l’Adriatico, lo Jonio, il Canale di Sicilia e anche le splendide coste della Sardegna.
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Trivellatevi il cervello
Non accenna a fermarsi la corsa al petrolio in Italia e i pirati dell’oro nero minacciano sempre di più i mari italiani. Nei mari del Belpaese sono già attive 9 piattaforme di estrazione petrolifera ma, grazie ai colpi di spugna normativi dell’ultimo anno, a partire da quello previsto dal recente decreto Sviluppo promosso dal ministro Corrado Passera e in via di approvazione definitiva dal Parlamento, si potrebbero aggiungere almeno altre 70 trivelle. Questo è lo scenario che emerge dalle elaborazioni di Legambiente sulla base dei dati pubblicati sul sito del ministero dello Sviluppo Economico. Un quadro allarmante che rischia di ipotecare seriamente il futuro delle coste e del mare italiano e delle attività economiche connesse – a partire dal turismo di qualità e dalla pesca sostenibile – con rischi di incidenti che non vale la pena di correre a maggior ragione considerando i quantitativi irrisori presenti nei fondali marini italiani.
Ad oggi infatti le 9 piattaforme petrolifere attive sono operative sulla base di concessioni che riguardano 1.786 kmq di mare (in Adriatico – a largo della costa abruzzese, marchigiana e di fronte a quella brindisina – e nel Canale di Sicilia). A queste aree marine interessate dalle trivelle se ne potrebbero aggiungere altre: attualmente le richieste e i permessi per la ricerca di petrolio in mare riguardano soprattutto l’Adriatico centro meridionale, il Canale di Sicilia e il mar Ionio (quest’ultimo è tornato all’attenzione delle compagnie petrolifere dopo che nel 2011 una norma ad hoc ha riaperto la strada alle trivelle anche nel golfo di Taranto). Un ultimo permesso di ricerca rilasciato riguarda anche il golfo di Oristano in Sardegna.
Più precisamente si tratta di:
- – 10.266 kmq di mare oggetto di 19 permessi di ricerca petrolifera già rilasciati (gli ultimi due sono stati sbloccati solo il 15 giugno scorso nel tratto abruzzese di Adriatico di fronte la costa tra Vasto e Ortona);
- – 17.644 kmq di mare oggetto di 41 richieste di ricerca petrolifera non ancora rilasciate ma in attesa di valutazione e autorizzazione da parte del ministero dello Sviluppo economico.
In definitiva, tra aree già trivellate e quelle che a breve rischiano di fare la stessa fine, si tratta di circa 29.700 kmq di mare, una superficie più grande di quella della regione Sardegna, ipotecati dal rischio di nuove estrazioni petrolifere.
Senza considerare che sui mari italiani gravano anche:
– 7 richieste di estrazione di petrolio dove le fasi di ricerca hanno portato ad un esito positivo (3 nel canale di Sicilia, 2 davanti alle coste abruzzesi, 1 di fronte alle Marche e 1 nel mar Ionio);
– 3 istanze di prospezione (si tratta della prima fase dell’iter autorizzativo, seguita da quella relativa alla ricerca di petrolio ed poi da quella che porta alla sua estrazione) che riguardano sostanzialmente tutto l’Adriatico da Ravenna al Salento, presentate nel 2011 dall’inglese Spectrum Geolimited e dalla Petroleum Geo Service Asia Pacific, con sede a Singapore, che rischiano di allargare di altri 45mila kmq l’area del mare italiano battuta dalle navi delle compagnie in cerca di petrolio.
Ma ha senso tutto questo gran fermento sui mari italiani? Serve almeno a ridurre la dipendenza energetica italiana dall’estero? Basta scorrere i dati sui consumi di petrolio e sulle riserve certe per capire che non è assolutamente così.
Partiamo dai dati relativi al consumo di petrolio che in Italia è diminuito, complice soprattutto la crisi economica, ma anche i primi effetti delle politiche di efficienza: secondo l’Unione Petrolifera nel 2011 il consumo di petrolio è stato di 72 milioni di tonnellate, mentre nel primo semestre 2012 viene evidenziato un calo del 10% dei consumi (pari a 31,8 milioni di tonnellate) rispetto al primo semestre 2011 (oltre 35 milioni di tonnellata).
Al diminuire dei consumi fa da contraltare un susseguirsi di richieste, concessioni e permessi per ricercare ed estrarre le risorse petrolifere ancora disponibili nei fondali marini. Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo economico aggiornate a dicembre 2011, le scorte petrolifere a mare classificate come certe sono pari a 10,3 milioni di tonnellate (il 13,5% delle riserve certe tra terra e mare in Italia) che, ai consumi attuali, sarebbero sufficienti per il fabbisogno nazionale per solo 7 settimane (anche attingendo al totale delle riserve certe, comprese quelle nel sottosuolo italiano, concentrate soprattutto in Basilicata, queste garantirebbero un’autosufficienza di appena 13 mesi).
I favori ai petrolieri non si limitano solo al via libera alle trivelle bloccate due anni fa. A questo si aggiunge anche l’irrisorio incremento delle royalties, previsto e propagandato per supportare attività di salvaguardia del mare e di sicurezza delle operazioni offshore da parte degli enti competenti. Si passa infatti dall’attuale 4% al 7%, percentuali che fanno sorridere rispetto a quelle praticate nel resto del mondo dove oscillano tra il 20% e l’80%. Si tratta di condizioni molto vantaggiose che ovviamente richiamano nel nostro Paese molte compagnie straniere. Delle 41 istanze per permessi di ricerca attualmente in valutazione, infatti, solo tre fanno capo a compagnie italiane (due ad Eni e una a Enel) mentre tutte le altre sono richieste provenienti da società straniere.
L’interesse nazionale sta nel ridurre i consumi di petrolio, la dipendenza dall’estero, il costo di acquisto oltre all’inquinamento locale e globale. E nulla di tutto questo si vuole perseguire visto che in campo ci sono solo le trivellazioni di quel poco petrolio che abbiamo. Lo sviluppo economico e l’uscita dalla crisi passa per una strada diversa, quella fondata sullo sviluppo delle rinnovabili e di serie politiche di efficienza in tutti i settori – a partire dai trasporti primi consumatori dei derivati del petrolio nel nostro Paese – che potrebbe portare nei prossimi anni i nuovi occupati a 250 mila unità. Ossia 10 volte i numeri ottenuti grazie alle nuove trivellazioni e soprattutto garantire uno sviluppo futuro, anche sul piano economico, sicuramente molto più sostenibile e duraturo dei soli 14 anni che ad oggi sono propagandati con la paradossale rincorsa allo scarsissimo oro nero made in Italy.
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