Usura, un giro d’affari da 82 miliardi di euro

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Ammonta a 37,25 miliardi di euro nel 2015 il capitale prestato ad usura a famiglie e imprese che sommato ad almeno 44,7 miliardi di capitale restituito come interesse arriva ad un business totale annuo di quasi 82 miliardi di euro. Per capirci, più di quanto fattura la maggiore azienda italiana, ovvero l’Eni.

Le organizzazioni criminali – spiega Gian Maria FaraPresidente dell’Eurispes – hanno ben compreso che l’usura rappresenta un metodo di straordinaria efficacia: da un lato per riciclare denaro sporco e ottenere facilmente ingenti guadagni, dall’altro per impossessarsi di quelle imprese e attività che non sono in grado di far fronte ai debiti contratti, divenendo dapprima soci e in seguito veri e propri proprietari. Tutto questo con rischi più contenuti rispetto a quelli connessi ad altre attività illecite come ad esempio il traffico di stupefacenti. Continue Reading

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Il racket del carrello

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E’ un vero e proprio “racket del carrello” quello denunciato dalla presidente provinciale di Confcommercio di Reggio Emilia Donatella Prampolini Manzini, nel parcheggio dell’Obi, nota catena di bricolage di Reggio Emilia. Stranieri, extracomunitari e sempre più disoccupati italiani che si sono  inventati “un’occupazione”. Un’abitudine che si sta diffondendo in tutta Italia. Dietro ci sarebbe una vera e propria organizzazione dedita alla “distribuizione” dei questuanti nelle varie zone della città e al “ritiro” a fine giornata del ricavato.

“Ci è stato segnalato un caso di abusivismo piuttosto grave che vogliamo stigmatizzare. L’episodio riguarda una nota catena di Bricolage di Reggio Emilia. Chi intende prendere un carrello non riesce a incastrarci alcuna moneta perchè tutti i lucchetti portamonete sono stati manomessi. Arriva il parcheggiatore abusivo che offre un tondino di ferro fatto su misura e si fa dare l’euro del carrello. Col tondino che l’abusivo fornisce al cliente il carrello finalmente si sblocca. Segnalata la cosa al box assistenza da parte dei clienti gli addetti, cortesi ma costernati, avrebbero risposto di essere perfettamente informati e di avere anche segnalato la situazione alle autorità, ma nulla è stato fatto. Boicottare il punto vendita per questo grave abuso è sicuramente una strada sbagliata e ingiusta nei confronti degli addetti e dell’azienda, che svolgono regolarmente il proprio lavoro. Necessario sarebbe invece che le istituzioni si facessero carico di stroncare il racket di questi e di tutti gli altri parcheggiatori e venditori abusivi che ha vita troppo facile nella nostra provincia, perchè siamo ormai di fronte al dilagare di un fenomeno che assume forme sempre diverse con un unico denominatore comune: generare fatturato sommerso a favore delle organizzazioni criminali dalle quali è controllato”.

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Capitali illeciti detenuti all’estero? Creiamo il Fondo di Permanenza Strutturale

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“Sin da  bambino ho sempre sentito in televisione e letto nei giornali che in Italia vi è molta evasione fiscale. Quest’ultima rappresenta un fenomeno fisiologico legato alla natura umana che si manifesta in qualsiasi paese occidentale. Quello che generalmente desta preoccupazione o attenzione è la dimensione di questo fenomeno quando scavalca una soglia considerata non più accettabile. A seconda del paese e dei vari sistemi di accertamento del reddito questa asticella può oscillare da un 5% ad un 10% del PIL: in Italia questa soglia, con non pochi forse e distinguo, è stimata tra un  20% ed un 25%. A dire il vero comunque la maggior parte delle stime (anche autorevoli) sono supposizioni e congetture spesso frutto di modelli di calcolo inferenziali molto discutibili in termini di efficacia e validità. Comunque l’Italia non è il paese con la maggior economia sommersa in Europa, si comportano meglio del vecchio stivale altri contendenti come Bulgaria, Romania, Lituania, Polonia, Grecia e Cipro. I nostri vicini di casa sono decisamente più virtuosi: Regno Unito con 12%, Francia con il 15%, Germania con il 16% e Spagna con il 20%. Non esiste governo al mondo che non usi la lotta all’evasione fiscale come un proprio slogan per la campagna elettorale.

Quello che in pochi solitamente ricordano è che tali livelli di evasione fiscale includono anche il contributo delle organizzazioni criminali: ad esempio per l’Italia la stima dell’evasione generata da contribuenti infedeli che occultano od omettono il loro imponibile è oltre il 18%, e arriva al 23/25% se sommiamo la dimensione delle attività criminali. In Europa l’evasione fiscale si stima abbia consentito ai paesi notoriamente accoglienti e compiacenti di poter beneficiare nel corso degli anni di volumi di intercettazione piuttosto elevati, solo per la Svizzera si parla di oltre 200 miliardi, ma anche questi possono essere dati fuorvianti. Non mi stupirei se in questi ultimi anni in considerazioni di molte vicende elvetiche, una fetta consistente di questo tesoretto è volato verso giurisdizioni più confortanti per la tenuta del segreto bancario come Hong Kong, Panama, Bermuda o Dubai. Dopo la possibilità data dai precedenti scudi fiscali, in Italia è ormai preclusa (almeno fino adesso) la possibilità di una nuova regolarizzazione tributaria per condonare l’illecito fiscale commesso. Tuttavia si vuole dare ugualmente una ulteriore possibilità al contribuente di sanare almeno l’aspetto penale del fenomeno attraverso la procedura del voluntary disclosure.

Quest’utltima consente tramite un’autodichiarazione volontaria di versare in un’unica soluzione le imposte evase negli anni precedenti irrogate di sanzioni agevolate per violazione alla normativa sul monitoraggio fiscale. La convenienza di tale nuova procedura non è oggettiva, ma soggettiva: in sintesi dipende dalla propria storia personale. Nella maggior parte dei casi la procedura rischia di essere troppo onerosa (40/60% degli importi da regolarizzare) disincentivando quindi il contribuente infedele a mettere in atto soluzioni non convenzionali o di ripiego (accolandosi non poco rischio anche e soprattutto per la sfera penale). Il Governo Renzi, visti i suoi roboanti proclami di cambiamento nazionale ed istituzionale, a fronte di una conclamata inesistenza di mezzi finanziari a copertura di tali proposte, dovrebbe a mio avviso volgere lo sguardo oltre le Alpi e oltre l’Atlantico istituendo un nuovo piano di rientro dei capitali non scudati e mantenuti illecitamente oltre confine. Se mi trovassi al suo posto proporrei in Parlamento il Fondo di Permanenza Strutturale: quest’ultimo rappresenta una sorta di purgatorio finanziario concepito come un deposito vincolato per i capitali dei contribuenti italiani detenuti illecitamente all’estero al fine di consentirne la loro regolarizzazione.

In buona sostanza, gli italiani che detengono ancora illecitamente capitali frutto di evasione fiscale, possono conferire all’interno di questo fondo dedicato tramite una procedura di rientro codificata i fondi che detengono all’estero. Al fine di ottenere la regolarizzazione di tali poste, i capitali dovranno rimanere in deposito vincolato per cinque anni ad un tasso simbolico di interesse. Al termine di tale periodo potranno essere ritirati a fronte di una sanzione di regolarizzazione pari al 10% (si potrebbe anche con il 15%) e diventare patrimonio tax-free subito disponibile del contribuente che ha commesso l’illecito. Il patrimonio del fondo a questo punto potrebbe essere utilizzato per svariati impieghi: estinzione anticipata di emissioni di debito pubblico caratterizzato da interessi molto elevati, operazioni di rafforzamento patrimoniale nel capitale di alcune banche italiane, operazioni di buy-back sul flottante di società quotate in borsa italia o anche la cartolarizzazione dei debiti della Pubblica Amministrazione. Il beneficio per la fiscalità diffusa e i contribuenti non deve essere solo l’imposta percepita per la regolarizzazione dei capitali, ma la possibilità di godere di questi capitali per un periodo minimo di cinque anni ad un tasso di interesse fuori del mercato, in un momento in cui le risorse finanziarie sono centellinate o peggio assenti.” Eugenio Benetazzo

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Rifiuti, alimenti e cemento: tutto ciò che è business interessa ai criminali

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Le organizzazioni criminali di stampo mafioso e non hanno come obiettivo principale business e profitti illeciti, a qualsiasi costo. Nel corso degli ultimi anni decine di collaboratori di giustizia hanno disvelato meccanismi criminali e scenari di guerra con, sullo sfondo, un’unica strategia di impresa: seminare morte, usare violenza al fine di arricchirsi illecitamente. Un riscontro emblematico a quanto appena detto ci viene offerto dalla storia dei traffici illeciti di rifiuti che ha imperversato per decenni in Italia. “La munnezza è oro” affermava uno dei primi collaboratori di giustizia ai magistrati dell’operazione “Adelfi”.

Milioni e milioni sono state le tonnellate di rifiuti trasportati ed interrati illegalmente nel nostro Paese: intercettazioni e riprese video hanno fornito agli italiani la prova di come si sia proceduto nel nostro Paese alla gestione del ciclo dei rifiuti, mediante modalità criminali che hanno prodotto morte e disastri ambientali.

Ci sono voluti anni, ma finalmente l’Istituto superiore della Sanità e la Protezione Civile hanno confermato che nei territori maggiormente interessati alle attività di illeciti smaltimenti di rifiuti, sono palesemente riscontrabili aumenti anomali di malattie tumorali alle persone: nel solo agro – aversano, nel triangolo Casal di Principe, Castel Volturno, Casapesenna, venivano acquisiti nell’ambito del procedimento “Cassiopea” i dati relativi alle esenzioni tickets per malattie tumorali, con punte di incremento di tumori maligni nei citati comuni fino al 400%, da collegarsi agli interramenti illeciti di rifiuti tossici ed alla combustione di montagne di rifiuti.

Traffici illeciti gestiti sì da organizzazioni criminali, ma delle quali facevano parte imprenditori e professionisti scellerati, titolari di laboratori di analisi sempre pronti a falsificare tutto il falsificabile, soggetti preposti ai controlli (in qualche caso con la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria) corrotti, al soldo dei controllati. Questo è il quadro nauseante e criminale che ha caratterizzato per anni il tema della gestione dei rifiuti nel nostro Paese. Ancora valido è il documento della Commissione Parlamentare sulle Ecomafie che affermava:

“Il ciclo dei rifiuti è un settore economico di sempre maggiore rilevanza ed in costante espansione, interessato da fenomeni illeciti in grado di provocare rilevanti distorsioni dei corretti meccanismi della libera concorrenza, nonché gravissime conseguenze ambientali e sanitarie. Abbiamo stimato che siano gestiti in maniera illecita circa trenta milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, con un business illegale pari a circa dodicimila miliardi di lire l’anno e un danno erariale calcolabile in circa duemilamiliardi di lire l’anno. Sarebbe un errore attribuire solo alle ecomafie, intese nella loro accezione di clan della criminalità organizzata ed imprese collegate, l’intera responsabilità di tali fenomeni illeciti. Esistono invece, e prosperano, società che proprio sulla gestione illecita dei rifiuti sembrano fondare le loro attività; si tratta di un reticolo di nomi ed aziende, attraverso cui il rifiuto passa di mano, cambia le proprie caratteristiche, (ovviamente sulla carta) e svanisce, facendo perder le sue tracce”.

Gli ecomafiosi hanno inquinato scelleratamente centinaia di ettari di terreno, hanno avvelenato fiumi ed acque sotterranee. Terreni una volta fertilissimi, utilizzati per la coltivazione, produzione e commercializzazione di prodotti agroalimentari che il mondo (nonostante tutto) ci invidia ancora, rischiano un’irreversibile morte a causa degli intollerabili ed elevatissimi livelli di inquinamento raggiunti.

Ma i criminali non si limitano a trafficare solo in rifiuti tossici: invadono anche altri settori dell’economia, come l’agricoltura ed il cemento. Ed infatti una delle più importanti operazioni di polizia degli ultimi anni, ha consentito di fare luce su quello che può essere denominato il cartello del carrello, ovvero sull’accertato ed operativo accordo criminale tra camorra, mafia e ndrangheta, accordo che ha consentito la spartizione a fini criminali di mercati ortofrutticoli di mezza Italia.

Si legge nell’ordinanza di misura cautelare adottata nei confronti di circa cento aderenti al citato cartello criminale: “l’indagine consentiva di ricostruire l’imponente attività di condizionamento delle attività commerciali connesse alla commercializzazione dei prodotti agroalimentari ed il loro trasporto su gomma da e per i principali mercati del centro e sud Italia”. Boss di varie organizzazioni hanno controllato per anni con modalità mafiose, la produzione e la commercializzazione di imponenti quantitativi di generi alimentari, decidendo quali ditte favorire, quali prodotti commercializzare, quali soggetti imprenditoriali estorcere, insomma imponendo un metodo ed un’economia dai forti connotati criminali che ha condizionato negativamente per anni uno dei settori nevralgici dell’economia del nostro Paese.

Dai rifiuti agli alimenti, da questi al cemento: tutto ciò che è business interessa ai criminali. È stato già scritto e va ribadito che secondo l’Osservatorio Nazionale sui consumi di suolo: “In Lombardia tra il 1999 e il 2005 sono spariti 26.700 ettari di terreni agricoli, come se, in sei anni, fossero emerse dal nulla cinque città come Brescia. Ogni giorno il cemento e l’asfalto cancellano più di 10 ettari di campagne in Lombardia (100.000 metri quadrati) e altri 8 in Emilia. Secondo i dati Istat, elaborati dal WWF, in Italia, fra il 1990 e il 2005, sono stati divorati dal cemento e dall’asfalto (dunque sterilizzati per sempre) 3,5 milioni di ettari, cioè una regione grande più del Lazio e dell’Abruzzo messi assieme”.

L’Italia sta scomparendo? O, per meglio dire, il Paese che il mondo intero invidiava per le sue bellezze ambientali e paesaggistiche, per le sue coste (basti pensare oggi a litorali come quelli campani o calabresi), per le sue valli, per le sue montagne, sopravvivrà a speculatori ed ecomafiosi? E, c’è da chiedersi: quanto influiscono le azioni predatorie e criminali, alle quali si è più volte fatto riferimento in questo lavoro, sulla qualità dei prodotti agroalimentari che ogni giorno vengono commercializzati nel nostro Paese? La sicurezza alimentare è realmente diventata patrimonio comune degli operatori del settore del nostro Paese?

Vengono realizzati ogni anno nel nostro Paese, decine di migliaia di costruzioni abusive, nei posti più impensati e dove maggiore dovrebbe essere la vigilanza e la tutela dell’autorità.

L’abusivismo edilizio si sviluppa maggiormente nelle zone ove maggiore è l’illegalità e la presenza di organizzazioni criminali. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli, all’inaugurazione dell’anno giudiziario affermava che:

“L’esecuzione della demolizione dei manufatti abusivi è una componente essenziale e fondamentale del giusto processo, a meno di non voler trasformare il processo di cognizione in una grottesca, inutile, farsa. Questa Procura Generale è consapevole del fatto che il fenomeno dell’abusivismo edilizio è, oltre che crocevia di occulte attività criminali, fonte di allarmante degrado urbanistico e di rischi enormi di disastri ambientali. La comunità deve sapere che l’abuso, al di là dell’illegalità ‘prima facie’ è spesso connotato dal disprezzo più assoluto di ogni buona norma di sicurezza: pilastri fatti di sola sabbia e polvere, tondini insufficienti ed inadeguati, assenza di cemento armato, impiego di manodopera, spesso extracomunitari clandestini, sprovvista dei più elementari presidi di sicurezza e dei criteri minimi di tutela. È allarmante che normalmente Enti Locali e Pubbliche Amministrazioni, tentino di impedire la doverosa azione di ripristino della legalità ai competenti uffici giudiziari”.

Cos’altro dire? Fino a quando la partita della legalità sarà giocata solo da Forze dell’ordine e Magistratura da una parte, e poteri criminali dall’altra, il risultato auspicato, ovvero il trionfo della legalità, sarà di là da venire. Se invece la consapevolezza di perseguire insieme una condivisa ed unitaria azione per il ripristino della legalità, per il rispetto delle regole e per la sconfitta delle organizzazioni criminali sarà patrimonio comune di istituzioni, forze sociali e cittadini, allora l’auspicata meta sarà vicina ed il nostro Paese si avvicinerà ai livelli di civiltà e decoro che tanti di noi auspicano.

(Tratto da “Eco-mafie, agro-mafie” Donato Ceglie Magistrato della Procura di Napoli)

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La mafia in tavola

 

L’agricoltura da tempo sta vivendo un momento estremamente difficile e i tentacoli della criminalità organizzata si stanno inserendo nei gangli vitali del settore, condizionando pesantemente l’attività produttiva e lo stesso futuro imprenditoriale di tantissimi produttori. Il Rapporto della Cia e della Fondazione Humus, “Cittadino agricoltore in sicurezza 2011”, che, ha realizzato anche con la collaborazione e il supporto della Direzione nazionale antimafia, della Polizia di Stato, dei Carabinieri, del Cnel, di “Libera”, di Legambiente e della Confesercenti mette, dunque, in chiara luce questi aspetti e conferma la dimensione rilevante che l’attenzione delle mafie sta esercitando sulle campagne italiane.

Ormai i dati parlano chiaro e mettono in evidenza una situazione estremamente drammatica. Più di 240 sono reati al giorno, praticamente otto ogni ora, commessi contro le campagne italiane. Un agricoltore su tre ha subito e subisce gli effetti della criminalità. Furti di attrezzature e mezzi agricoli, usura, racket, abigeato, estorsioni, il cosiddetto “pizzo”, discariche abusive, macellazioni clandestine, danneggiamento alle colture, aggressioni, truffe nei confronti dell’Unione europea, “caporalato”, abusivismo edilizio, saccheggio del patrimonio boschivo. Atti delinquenziali che mettono in moto ogni anno un “business” per l’azienda “Mafie S.p.A.” di oltre 50 miliardi di euro, pari a poco meno di un terzo dell’economia illegale nel nostro Paese (169,4 miliardi di euro).

L’interesse delle organizzazioni criminali, pertanto, non è focalizzato soltanto verso i settori dove, in materia, c’è una consolidata letteratura: edilizia, smaltimento dei rifiuti, autotrasporto, sanità. Il fenomeno delinquenziale si sta allargando in modo vistoso e allarmante anche dell’agricoltura, in particolare nei territori e nei segmenti meno industrializzati. E così l’agricoltura, divenuto bersaglio sempre più della criminalità, rischia più di altri settori di essere ostaggio delle mafie che nelle campagne nascono e nelle campagne continuano a mantenere molti interessi. E proprio le aziende agricole rappresentano uno dei maggiori investimenti delle organizzazioni criminali.

La storia dimostra che nelle campagne le mafie hanno sempre trovato un ottimo rifugio. Questo vale, in modo particolare, per la vecchia mafia e suoi capi. Gli arresti eccellenti di grandi e vecchi capi, latitanti da anni, è avvenuta nelle campagne.

In quel luogo si mimetizzano bene e ci vivono. Investimenti sono stati fatti attorno e nei terreni agricoli. La storia delle confische dei beni lo dimostra come per esempio, da parte di Libera (associazione nomi e numeri contro le mafie), presieduta da don Luigi Ciotti, e l’utilizzo dei beni confiscati alle mafie dimostra che diverse sono le cooperative sociali, di giovani, che coltivano i terreni delle mafie e producono prodotti alimentari di qualità (progetto “Libera Terra”).

Venendo alla specificità dell’agromafia, nel 2010, diverse sono state le iniziative di ricerca e studio che hanno fatto riferimento alla grande criminalità e il loro collegamento con la terra e l’agricoltura.
Partiamo dal Rapporto “SOS Impresa” dove stimano che il fatturato della mafia è di 135 miliari euro. Cifra confermata, anche, da diverse dichiarazioni del Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, on. Beppe Pisanu.

Il Presidente della Direzione Nazionale Antimafia, Pietro Grosso, nel suo libro (Soldi sporchi. Come le mafie riciclano miliardi e inquinano l’economia mondiale ) stima il valore del riciclaggio, collegato agli affari delle mafie, in 150 miliardi di euro.

Nello stesso Rapporto si scrive che le mafie stanno guardando e prediligono, anche l’agricoltura. Si scrive: “le holding criminali controllano intere filiere e ne seguono gli sviluppi, pianificano investimenti, sanno cogliere addirittura le occasioni che offrono i mercati, prima di altri imprenditori, soprattutto in territori e comparti sostenuti dalla mano pubblica e da importanti flussi finanziari (in questo caso si cita l’interesse per le energie alternative). Tra gli interessi delle mafie, il Rapporto elenca i mercati ortofrutticoli, citando l’interesse e la situazione di Vittoria (Ragusa) e Ortomercato di Milano. Attenzione anche ai mercati ittici, dove si ipotizzi, una gestione economica di 2 miliardi di fatturato ed un controllo, di circa, 8.500 esercizi commerciali al dettaglio. Si occupano e si occuperanno anche della grande e media distribuzione e delle energie verdi, in modo particolari all’eolico (leggi qui). Attenzione e gestione, nella tratta delle persone, il controllo criminale nella manovalanza in agricoltura (si citano i casi di Rossano Calabro e Castelvolturno). Insiste nelle campagne l’abigeato. Ogni anno spariscono circa 100 mila animali che vengono poi macellati clandestinamente.

Nel suo “Rapporto Ecomafia 2011. Le storie e i numeri della criminalità ambientale”, la Legambiente, cita, riprendendo delle considerazioni della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA), come fatturato per le agromafie la cifra di 7.5 milioni di euro. Per quanto riguarda le “agromafie” si descrive delle truffe a tavola, dei mercati ortofrutticoli, di pascoli e macellazione abusiva. Per le truffe a tavola i valori sequestrati, nel 2010, sono stati 756 milioni di euro 1.323 strutture chiuse, 23 milioni di kg/lt di merce sequestrati. Le infrazioni sono state 4.520, con 2.557 denunce e 47 arresti.

Per i mercati ortofrutticoli si parla di alcune note operazioni dove la criminalità controlla soprattutto i trasporti ed alcuni servizi, che però hanno una forte incidenza sulla qualità e quantità della distribuzione. Danneggiando così sia la produzione agricola (imprenditori e impresa agricola) che il consumatore, fra i quali i cittadino agricoltore. Si parla di abigeato e della macellazione clandestina.

Oltre questo, richiamano l’attenzione sul ciclo dei rifiuti, perché hanno un’attinenza con l’inquinamento dei terreni e dei prodotti conseguenti. Anche se si dice che molti dei rifiuti vengono esportati, specie in Cina. Escono rifiuti e rientrano in Italia come merce. In quest’area i reati sono stati 6 mila. Per dare la dimensione visiva del fenomeno, Legambiente, ha ipotizzato che per trasportare tutto questo materiale inquinante ci vogliono 82.181 camion, che messi uno dietro l’altro, farebbero una catena di mezzi lunga 1.117 km. Una coda lunga da Milano a Reggio Calabria.

Per quanto riguarda il “ciclo del cemento“, inteso anche la proliferazione di centri commerciali e abusivismo speculativo. Questi producono la sottrazione di terreno utile alla produzione per le speculazioni edilizie. Qui gli illeciti sono stati 6.922 con 9.290 persone denunciate (una ogni ora). Va segnalato anche il Rapporto, a cura di Nisio Palmieri e Giuseppe Bruscaccini, per “Osservatorio per la legalità e la sicurezza” di Bari contenente l’analisi dei fenomeni criminali in agricoltura, nel primo semestre 2011. La rilevazione è stata fatta tramite la lettura dei quotidiani locali.

Nel 2011 è uscito anche il “1° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia” di Eurispes (Istituto di studi politici, economici e sociali) per conto della Coldiretti. Si stima un fatturato criminale di 12.5 miliardi di euro. Si tratta di comuni furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine, danneggiamento di culture, usura, racket estorsivo, abusivismo edilizio, saccheggio del patrimonio boschivo, caporalato, truffe consumate ai danni dell’Unione Europea. Il Rapporto si intrattiene anche sulle truffe/contraffazioni ai prodotti agricoli/alimentari.

Il FLAI CGIL, sindacato dei lavoratori agricoli, che nel 2010 ha lanciato il “Progetto STOP al Caporalato” afferma che su altre 1.300.000 lavoratori agricoli, iscritti regolarmente all’INPS (dati 2010), di cui il 40% donne e 10% lavoratori extracomunitari, ci sono 550 mila lavoratori sfruttati, su 800 mila che lavorano in nero, e che sono “sotto tutela” del caporalato e di questi 60 mila vivono in condizione umane e di vita inaccettabili.

Attraverso il controllo nelle campagne, quindi, le mafie incrementano i propri affari illeciti esercitando il controllo in tutta la filiera alimentare, dai campi agli scaffali dei supermercati. Le organizzazioni criminali arrivano fino alle nostre tavole e noi siamo complici inconsapevoli.

Dark economy. La mafia dei veleni . La dark economy, un settore che fattura ogni anno miliardi di euro con i traffici illegali di rifiuti su scala globale. Siamo di fronte all’altra faccia dello specchio, il lato oscuro della produzione. Medicine scadute, vecchi computer, auto da rottamare, lampadine, vestiti, pneumatici: tutti gli oggetti che ci circondano hanno un doppio destino. Possono diventare risorse da recuperare, alimentando l’industria del riciclo, o un’arma in mano alla criminalità che si arricchisce trasformandoli in una poltiglia infettante carica di metalli pesanti e batteri, diossine e amianto. Ogni giorno, sotto gli occhi di tutti, dark economy e green economy si danno battaglia. E se finora, in ampie zone del paese, era prevalsa la rassegnazione al disastro ambientale e sanitario, oggi sta nascendo un’inedita alleanza tra cittadini, associazioni, imprese pulite, istituzioni impegnate nella battaglia contro l’ecomafia.
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