La guerra è pace

La guerra è pace

Dal 1945 lo scopo dell’ONU è quello di “fornire la soluzione pacifica delle controversie internazionali, mantenere la pace e promuovere il rispetto dei diritti umani”. L’ONU è nata dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, tuttavia non è il primo tentativo occidentale di costituire un’organizzazione sovranazionale per garantire la pace. Continue Reading

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Nel 2014 sono morti nel Mediterraneo 3.419 migranti

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Da gennaio ad oggi sono 3.419 i migranti, uomini, donne e bambini che hanno perso la vita in questo mare mentre tentavano la traversata. Secondo i dati dell’agenzia Onu per i rifugiati sono stati oltre 207.000 i migranti (il 50% circa richiedenti asilo) che hanno tentato di attraversare il Mar Mediterraneo, una cifra quasi tre volte superiore al precedente record del 2011.

Secondo le stime delle autorità costiere e le informazioni delle interdizioni confermate ed altre attività di monitoraggio, almeno 348.000 persone nel mondo hanno tentato queste traversate dall’inizio di gennaio, 4.272 sono morte. L’Europa, che confina con importanti conflitti a sud (Libia), est (Ucraina) e sud-est (Siria/Iraq), è stata destinataria del numero più elevato di arrivi via mare. Quasi l’80% delle partenze avvengono dalla costa libica verso l’Italia e Malta.

Oltre al Mediterraneo, ci sono attualmente almeno altre tre rotte marittime utilizzate sia dai migranti che dalle persone in fuga da conflitti o persecuzioni:

  • Nella regione del Corno d’Africa, 82.680 persone hanno attraversato il Golfo di Aden e il Mar Rosso nel 2014;
  • Nel sud-est asiatico, si stima che siano 54.000 le persone partite da Bangladesh o Birmania verso Thailandia e Malesia;
  • Nei Caraibi il dato è di circa 4.775.

“Non si può fare ricorso a misure deterrenti per fermare una persona che è in fuga per salvarsi la vita, senza che questo comporti un ulteriore incremento dei pericoli in cui incorre”, ha affermato l’Alto Commissario per i Rifugiati António Guterres, “Vanno affrontate le reali ragioni che stanno alla base di questi flussi, e ciò significa guardare al motivo per cui le persone fuggono, ciò che impedisce loro di cercare asilo con mezzi più sicuri, e che cosa si può fare per reprimere le reti criminali che prosperano in questo modo, proteggendo al tempo stesso le loro vittime. Significa anche avere sistemi adeguati per far fronte agli arrivi e per distinguere i veri rifugiati da coloro che non lo sono”.

Il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo rilanciando la denuncia dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati dichiara: “Non è accettabile che l’Europa resti insensibile di fronte ad una tragedia ormai quotidiana o che si accontenti di soluzioni che non rispondono pienamente all’esigenza di salvare persone alle quali oltretutto viene riconosciuto, per oltre la metà, l’asilo politico”.

Anche Amnesty International chiede alle istituzioni e agli stati membri dell’Unione europea di raddoppiare gli sforzi per proteggere i migranti e i rifugiati che intraprendono viaggi pericolosi verso l’Europa, spesso in fuga da persecuzioni e conflitti armati e che vengano aperte “rotte sicure e legali in modo per evitare che migranti e rifugiati siano costretti a percorrere una rotta marittima pericolosissima”.

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Emergenza Ebola: Ogni governo deve fare la sua parte

Distribuzione geografica dei nuovi casi e casi totali in Guinea, Liberia e Sierra Leone



Nonostante tutti gli annunci, 9 stati membri del G20, che sono tra le maggiori economie mondiali, non hanno ancora dato un “giusto contributo” in termini di fondi e supporto medico alle popolazioni colpite da Ebola: non nella misura che ci si aspetterebbe da paesi di questa estensione e ricchezza. E tra queste anche l’Italia.

Nella classifica di generosità per la lotta all’Ebola il governo italiano è penultimo tra quelli del G8, davanti solo alla Russia che non ha stanziato nulla. A fare i conti in tasca ai governi è l’Onu, che settimanalmente aggiorna i dati delle donazioni e li suddivide per Paese. In cima ai “top-contributor” ci sono gli Usa con 377 milioni, seguiti da Regno Unito (95), Canada (51). Alla lista delle superpotenze manca la Cina, il primo partner commerciale del continente africano, che dopo avere preceduto tutti nell’invio di aiuti con 41 milioni ora si è fermata.

Del miliardo e 140 milioni di dollari raccolti finora solo 2,2 milioni sono arrivati dal governo italiano: lo 0,2% del totale, quanto l’Austria o le Filippine. Davanti alla Spagna, ma doppiati dal Venezuela e surclassati dalla Danimarca. In realtà, l’Italia nelle settimane scorse ha annunciato un contributo di 50 milioni di dollari in risposta all’appello dell’Onu. Si tratta di un impegno generoso, già confermato con uno stanziamento iniziale di circa 6 milioni di dollari, ma che deve essere ancora mantenuto completamente nei fatti.

Le Nazioni Unite avvertono che gli staff medici stanno facendo di tutto per rallentare e bloccare l’epidemia di Ebola, che ha già ucciso 4.818 persone su 13.042 casi segnalati nell’Africa occidentale, ma che è necessario agire in fretta per dare una risposta alla diffusione del virus.

In Africa occidentale: aumentano i prezzi, cresce la povertà e mancano le strutture per fronteggiare l’epidemia. In Guinea il tasso di crescita si è quasi dimezzato, e lo stesso è avvenuto in Liberia. Il reddito è sceso di 105 milioni di dollari e le spese sono aumentate di 100 milioni. Le entrate familiari sono diminuite di oltre il 12%. In Liberia e in Sierra Leone particolarmente colpiti i settori di turismo, agricoltura e industria mineraria. L’inflazione è aumentata e c’è una forte carenza di beni essenziali, incluso in cibo. In soli sei mesi il reddito familiare è diminuito del 35% in Liberia e del 30% in Sierra Leone. Colpito è anche il turismo di paesi vicini come Gambia e Senegal.

Senza risorse, il prezzo da pagare in termini di vite umane e denaro, sarà altissimo. La Banca Mondiale stima che, se il virus si diffonderà nei paesi vicini, il costo economico potrebbe variare da 27 a 32 miliardi di dollari entro la fine dell’anno. Oxfam, al lavoro per fermare la diffusione del virus, chiede che tutti i paesi del G20 si prendano la responsabilità di gestire almeno un centro di trattamento ognuno, cosa che richiede un staff medico dalle 25 alle 35 persone. Ogni governo deve fare la sua parte, senza nascondersi dietro la generosità altrui.

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Le 50 verità di Putin sulla Crimea

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Il 18 Marzo 2014, dal Cremlino, il presidente Vladimir Putin ha pronunciato un discorso storico, a seguito del referendum tenutosi in Crimea. I media occidentali hanno scelto di ignorare il punto di vista russo sulla crisi ucraina. 

  1. La Crimea è parte della storia russa e questa realtà è radicata nei cuori e nella mente dei suoi abitanti. Lì fu battezzato il Gran Principe Vladimir I. Sempre in questo territorio si trovano molte tombe dei soldati russi che permisero l’integrazione della Crimea all’Impero russo.
  2. Sebastopoli è la culla della Flotta russa del Mar Nero.
  3. Dopo la Rivoluzione del 1917 i bolscevichi aggregarono arbitrariamente una gran parte del sud storico della Russia all’Ucraina. Questo venne fatto senza tener conto della composizione etnica della popolazione, e oggi queste zone formano il sud-est dell’Ucraina.
  4. Nell’aprile del 1954 la Crimea venne ceduta all’Ucraina così come Sebastopoli, anche se era una città federale. Fu un’iniziativa personale dell’allora capo del Partito Comunista Nikita Krusciov.
  5. Quella decisione venne presa violando totalmente le norme vigenti in quell’epoca, senza chiedere  l’opinione degli abitanti della Crimea e di Sebastopoli. Se ne resero conto a giochi fatti.
  6. In quell’epoca Ucraina e Russia erano parte di un unico Stato, l’URSS, neanche si poteva immaginare che un giorno si sarebbero separati.
  7. A seguito del crollo dell’Urss la gente delle vecchie repubbliche sovietiche sperava che la nuova Comunità di Stati Indipendenti diventasse la nuova forma dello Stato. I dirigenti poi promisero una moneta unica, uno spazio economico unico e una forza armata congiunta. Ma così non fu.
  8. Poi saccheggiarono la Crimea alla Russia.
  9. Col crollo dell’Unione Sovietica milioni di persone “si addormentarono in un paese e si svegliarono in un altro, diventando da un giorno all’altro minoranze etniche nelle ex Repubbliche dell’URSS, mentre la Russia è diventato uno dei più grandi, forse il più grande, gruppo etnico al mondo diviso dalle frontiere”.
  10. Nel 1991 i residenti di Crimea e Sebastopoli furono abbandonati al loro destino. E’ il sentimento generale condiviso dagli abitanti di questa regione.
  11. Per il quieto vivere e per un buon vicinato la Russia non ha rivendicato la Crimea e Sebastopoli che gli sarebbero, tra l’altro, appartenuti di diritto.
  12. Nel 2000, dopo una trattativa col Presidente ucraino Leonid Kuchma, la Russia ha riconosciuto che la Crimea era de facto e de jure territorio ucraino.
  13. La Russia sperava che l’Ucraina mantenesse un’amicizia reciproca e che i cittadini russi, e i russofoni, in particolare nel sud-est della Turchia e in Crimea, venissero protetti e potessero godere dei loro diritti.
  14. Tuttavia russi e russofoni negli anni sono stati sottoposti a sempre maggiori tentativi di assimilazione forzata e di “privazione” della loro memoria storica.
  15. Le attuali aspettative del popolo ucraino per un miglioramento della vita sono legittime.
  16. La Russia era “vicina” ai manifestanti di piazza Maidan che rifiutavano la corruzione, il mal governare dello Stato e la povertà. Erano tutte rivendicazioni legittime secondo Mosca.
  17. Nel 2013 tre milioni di ucraini sono emigrati in Russia per lavoro, le loro entrate furono di 20 milioni di dollari, circa il 12% del PIL dell’Ucraina.
  18. Tuttavia il 21 febbraio del 2014 i cospiratori hanno rovesciato un governo legittimo, preso illegalmente il potere ricorrendo al terrore, agli omicidi e ai saccheggi. Alcuni nazionalisti, neonazisti nemici dei russi e antisemiti hanno eseguito questo golpe e ora sono al comando.
  19. Gli Stati Uniti e l’Europa occidentale sono complici in questo colpo di stato e riconoscono ufficialmente le nuove autorità.
  20. Il nuovo Governo de facto ha immediatamente presentato una proposta di legge di revisione della politica linguistica, una diretta violazione dei diritti delle minoranze etniche, con l’obiettivo, tra l’altro, di proibire la lingua russa.
  21. Oggi non vi è nessuna autorità esecutiva legittima in Ucraina.
  22. I sostenitori dell’autorità legittima sono stati repressi, a partire dalla Crimea.
  23. Di fronte a questi avvenimenti gli abitanti di Crimea e Sebastopoli si sono rivolti alla Russia per essere aiutati a difendere i loro diritti e le loro vite e per prevenire la diffusione degli eventi di Kiev, Donetsk, Kharkov e di altre città ucraine.
  24. La Russia aveva il dovere di rispondere alla chiamata degli abitanti di Crimea che si sentivano in pericolo.
  25. In nessun momento la Russia ha violato i diritti internazionali. Le forze armate russe non sono mai entrate in Crimea poiché si trovavano già li.
  26. Gli accordi militari prevedono una presenza di 25.000 soldati russi in Crimea e mai si è superato questo limite.
  27. Il Consiglio Supremo della Crimea, prevedendo che le nuove autorità golpiste non avrebbero garantito i diritti della regione, ha preso come riferimento la Carta delle Nazioni Unite e più precisamente il diritto dei popoli all’autodeterminazione per dichiarare la sua indipendenza e organizzare un referendum.
  28. Il 16 marzo 2014 l’82% degli elettori ha partecipato alla consultazione e il 96% dei votanti si è pronunciato a favore della riunificazione con la Russia.
  29. L’Ucraina nel ’91 adottò lo stesso procedimento quando decise di separarsi dall’URSS. L’Ucraina ha approfittato di questo diritto e ora lo nega agli abitanti della Crimea. Perché?
  30. La popolazione della Crimea è di 2,2 milioni di persone tra cui 1,5 milioni di russi, 350mila ucraini madrelingua russa e 300mila tartari.
  31. Le autorità della Crimea hanno usato esattamente lo stesso procedimento del Kosovo quando decise di separarsi dalla Serbia, con l’appoggio dei paesi occidentali, senza chiedere autorizzazioni alle autorità centrali.
  32. Sulla base dell’Art.2 del Capitolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, la Corte Internazionale dell’ONU ha approvato tale decisione. “Nessun divieto generale può essere dedotto dai precedenti del Consiglio di Sicurezza per quanto riguarda le dichiarazioni d’indipendenza. Il diritto generale internazionale non prevede alcun divieto contro le dichiarazioni d’indipendenza”.
  33. Il 17 aprile del 2009, per quanto riguarda il Kosovo, gli Stati Uniti hanno sottoposto alla Corte Internazionale delle Nazioni Unite il seguente testo: “Le dichiarazioni d’indipendenza possono, ed è questo il caso, violare le leggi nazionali. Tuttavia ciò non costituisce una violazione del diritto internazionale”.
  34. I principi validi per il Kosovo devono esserlo anche per la Crimea.
  35. L’esercito russo non ha sparato nemmeno una volta e non ha causato alcuna vittima.
  36. La situazione Ucraina riflette il mondo di oggi. I paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, preferiscono la forza delle armi a quella dei diritti e pensano di poter decidere autonomamente il destino del mondo. Usano la forza con gli stati sovrani, creano coalizioni basandosi sul seguente principio: “Se non siete con noi siete contro di noi”.
  37. “Per dare un’apparenza di legittimità alle sue aggressioni obbligano le organizzazioni internazionali ad adottare le necessarie contromisure, e se per un qualsiasi motivo non funziona ignorano semplicemente il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e le Nazioni Unite intere”.
  38. Un esempio è la Yugoslavia nel 1999 quando Belgrado fu bombardata per settimane senza alcuna risoluzione dell’ONU. Stessa cosa per Afghanistan e Iraq. In quanto alla Libia si è violata la risoluzione del Consiglio di Sicurezza perché invece di imporre una no fly-zone hanno cominciato a bombardarla.
  39. Il colpo di Stato in Ucraina, organizzato dai paesi occidentali, ha l’obiettivo di impedire l’integrazione eurasiatica.
  40. L’espansione della NATO verso Est e il dispiegamento di strutture militari, come i sistemi di difesa antimissile, alle porte della Russia, sono le prove lampanti di questo.
  41. In Ucraina le nazioni occidentali hanno passato la “linea rossa”.
  42. Milioni di russi vivono in Ucraina e in Crimea, bisogna mancare d’istinto politico per non prevedere le conseguenze di tali atti.
  43. “La Russia si è trovata in una posizione dalla quale non poteva ritirarsi. Se si comprime al massimo una molla un giorno questa libererà una gran forza. Si dovrebbe sapere questo”.
  44. La Russia è un partecipante indipendente e attivo negli affari internazionali, come altri paesi ha i propri interessi nazionali da prendere in considerazione e rispettare. Soprattutto con la prospettiva che l’Ucraina si integri alla NATO.
  45. Il popolo russo aspira a ristabilire l’unità del suo territorio, del quale fa parte la Crimea.
  46. Il rispetto per i diritti dei russi e degli abitanti di lingua russa in Ucraina sono “la garanzia di stabilità dello stato ucraino e della sua integrità territoriale”.
  47. La Russia vuole mantenere relazioni amichevoli con l’Ucraina.
  48. Secondo indagini condotte in Russia, il 92% dei cittadini è a favore della riunificazione della Crimea con la Russia.
  49. La Crimea in futuro avrà tre lingue nazionali tutte sullo stesso piano d’importanza: russo, ucraino e tartaro.
  50. La crisi ucraina si deve risolvere attraverso la politica e la diplomazia secondo la costituzione del paese. Il linguaggio della forza, coercizione o minaccia non avrà nessun effetto sulla Russia.

(Fonte traduzione articolo rebelion)

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Crimine organizzato un’economia da 870 miliardi di dollari l’anno

L’Organizzazione delle Nazioni Unite lancia oggi una campagna internazionale di “sensibilizzazione alla criminalità organizzata, un’economia che produce 870 miliardi di dollari all’anno”. La campagna poggia essenzialmente su due video e “sottolinea la grandezza e la portata della criminalità organizzata transnazionale: è un’attività che genera 870 miliardi all’anno, più di sei volte l’importo degli aiuti ufficiali allo sviluppo, l’1,5% del Prodotto interno lordo mondiale o il 7% delle esportazioni mondiali di merci”.

“La criminalità organizzata non risparmia alcun paese, nessuna regione: essa si avvale dei più vulnerabili attraverso la minaccia o la frode”, ha reso noto l’Agenzia Onu per la lotta alla droga e al crimine organizzato. Ad esempio, le vittime del traffico di esseri umani sono 2,4 milioni: esso genera un utile di 32 miliardi di dollari (25,50 miliardi di euro), e “ogni anno, 1,5 milioni di persone sono vittime di un furto di identità”.

La contraffazione (250 miliardi di dollari, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo), la contraffazione di farmaci (1% dei farmaci nel mondo, fino al 30% nei paesi di Asia, Africa e Sud America per l’Oms), il traffico di droga (320 miliardi di dollari o 255 miliardi di euro nel 2009, 85 miliardi di dollari per la sola cocaina) il traffico di legno in Asia (3,5 miliardi di dollari) sono tra i gravi problemi trattati nei video della campagna Onu.

Allo stesso modo, il traffico di armi (da 170 a 320 milioni di dollari) o il cibo adulterato, che, secondo uno studio della British Food Standards Agency, rappresenta in Gran Bretagna il 10% degli alimenti, sono trattati nella campagna dell’Onu. Per non parlare del traffico di animali selvatici, delle materie prime rare o della criminalità informatica, fanno sapere le Nazioni Unite.

Per questa campagna, “destinata al grande pubblico”, l’Agenzia Onu per la lotta alla droga e al crimine organizzato ha creato un sito Web dedicato – www.unodc.org/toc – che “sarà aggiornato regolarmente” e che presenterà “diverse schede informative sugli aspetti finanziari e sociali della criminalità organizzata, il traffico di esseri umani o le contraffazioni”.

Due video di 30 e 60 secondi, che saranno diffusi da alcune televisioni internazionali, saranno visibili anche al seguente indirizzo internet. La campagna sarà anche su Twitter (@unodc;#TOC), Facebook (facebook.com/unodc) e Google+ (plus.ly/unodc).

(Fonte aduc)

 

La tolleranza zero: tra palco e realtà. I molti perché della riduzione della criminalità a New YorkCosa significa tolleranza zero? Da dove nasce questo concetto? Come si è sviluppato? Quale politiche incorpora? E soprattutto: è efficace nel ridurre la criminalità? Ha avuto il merito di abbattere i livelli di criminalità della città più conosciuta d’America? A queste e ad altre domande si è cercato di rispondere con questo libro costruendo un tessuto narrativo il più possibile coerente al dibattito che, negli anni, si è sviluppato negli Stati Uniti. È il racconto di una storia che nasce già negli anni ’80 del secolo scorso e che si manifesta in tutta la sua attenzione mediatica a New York a metà degli anni ’90. È per certi versi anche il racconto di come, negli Stati Uniti, i dipartimenti di polizia cittadina si siano organizzati nel tempo per rispondere alle sfide della criminalità, del disordine e dell’insicurezza.

 

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