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La dignità dei malati e la Costituzione ignorata


“Che meraviglia la nostra Costituzione!

L’Assemblea che gli italiani chiamarono a produrre il magnifico sforzo di redigere la nostra Costituzione repubblicana non deluse le aspettative, anzi per quanto fossero grandi le superò ampiamente.

Il lavoro, i diritti inviolabili dell’uomo e la solidarietà, la libertà e l’uguaglianza, l’unità del popolo, la tutela delle minoranze, la religione, la cultura e la scienza, il rispetto degli stranieri, il ripudio della guerra e la bandiera tricolore: cos’altro avrebbero potuto sancire alla base della costruzione dello Stato? Le fondamenta erano state gettate e da subito apparvero salde e durature.

Qualcuno di noi, cittadini italiani, può essere privato della libertà senza che la legge lo preveda? Qualcuno può essere violato nei suoi diritti fondamentali e inviolabili? Qualcuno può essere discriminato per i suoi pensieri e per le sue scelte personali? Niente affatto.

Siamo tutti tutelati dai principi fondamentali della Costituzione. Diritti e doveri, in perfetto equilibrio, tenendo conto che la storia, soprattutto quella recente, dell’umanità aveva fornito tanti e tali di quegli errori e così mirabili esempi di illuminata ispirazione che arrivati a quel punto diventava necessario fare la cosa giusta, scrivere il testo fondamentale del nostro patto sociale nel pieno rispetto della libertà e delle leggi che a quel testo dovevano ispirarsi e conformarsi.

Qualche giorno fa, inoltrandomi nell’edificante rilettura periodica della Costituzione, arrivato all’articolo 32, quello in cui si garantisce il rispetto della volontà della persona anche per quanto riguarda i trattamenti sanitari, vengo interrotto da una telefonata. Era un mio amico medico, Maurizio Inghilleri, che lavora armato di buona volontà in uno dei più grandi ospedali d’Italia, professore universitario ed eccellente neurologo, esperto tra l’altro di SLA, che mi invitava a moderare, in veste di presidente dell’associazione Viva la Vita, una sessione di un convegno formativo che si sarebbe tenuto preso l’Università “La Sapienza” di Roma, di lì a qualche giorno. Accetto, ringraziando per l’opportunità e, dopo averlo salutato, sospendo la lettura e inizio a preparare il mio lavoro per essere degnamente presente e all’altezza dell’occasione che mi veniva offerta.

Poiché l’associazione Viva la Vita promuove da più di cinque anni la costituzione e la crescita del centro SLA presso quel policlinico universitario, ho provato un senso profondo di soddisfazione per aver contribuito a diffondere la sensibilità necessaria e le strutture adeguate per assistere e curare degnamente le persone affette dalla grave patologia di cui Viva la Vita principalmente si occupa ormai da molti anni. Con entusiasmo ho concesso il patrocinio all’evento e mi sono disposto a che il convegno avesse il massimo seguito possibile.

La sessione che avrei moderato presentava aspetti di frontiera quali lo sviluppo del controllo remoto della condizione clinica e assistenziale del malato e della sua famiglia, lo sviluppo delle nuove tecnologie, la necessità di un sostegno e di un supporto psicologico attento e competente, alcuni importanti aspetti medico legali relativi al riconoscimento dell’invalidità civile e alla corretta interpretazione e applicazione della legge 104/92. Con l’articolo 32 della Costituzione nella memoria, ero assolutamente entusiasta dell’occasione e profondamente grato a chi ripagava gli sforzi della nostra associazione con l’impegno e la dedizione che la SLA merita. Arriva il giorno del convegno e accade un fatto che mai mi sarei aspettato potesse accadere in una tale circostanza.

Il prof. Claudio Terzano, primario del reparto di pneumologia all’interno del quale un’illuminata Direzione Sanitaria ha predisposto, caso più unico che raro in Italia, quattro posti letto dedicati ai malati di SLA in caso di problemi respiratori, espone nel suo intervento il percorso intraospedaliero pensato per i malati di SLA ricoverati presso il policlinico universitario Umberto I di Roma, e a un certo punto del suo intervento presenta una diapositiva con la seguente affermazione perentoria:

“Qualora il paziente non si adatti alla NIV [ventilazione non invasiva, NdR], e abbia firmato le Direttive Anticipate per la non intubazione, viene inviato al domicilio se necessario con l’indicazione delle cure Palliative”.

Alla lettura di quelle parole, il mio primo impeto è stato quello dell’indignazione: ho immaginato la situazione, anzi l’ho rammentata, poiché avevo assistito ad un caso avvenuto qualche tempo prima proprio nel reparto di pneumologia (a questo punto indebitamente) diretto dal signor Terzano. Un malato viene ricoverato in crisi respiratoria e viene affrontato dal medico del reparto con quella affermazione.

O accetti la tracheostomia e la conseguente ventilazione invasiva o vai a casa e ti trovi qualcuno che ti protegga dal dolore e dalla sofferenza.” La diffidenza provata dalla prima impressione trovava sostegno e giustificazione. Quel reparto non mi convinceva e decisi di segnalarlo alla Direzione Sanitaria dell’ospedale. La decisione di affidare a quel primario i malati di SLA non si stava rivelando appropriata. Altri casi sono poi seguiti al primo a confermare la mia ipotesi. Chiesi alla Direzione di orientare altrove la destinazione dei posti letto per i malati di SLA, soprattutto poiché per loro occorre esperienza, professionalità, umanità, umiltà e onestà intellettuale. Contai su un intervento risolutore. Ma non è stato così e in quel momento più lo sdegno cresceva più si imponeva alla mia memoria l’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Oggi devo ringraziare l’onestà intellettuale del dott. Mario Sabatelli che, da solo, ha manifestato con forza l’indignazione dovuta davanti a un simile arbitrio.

Il resto dell’uditorio è apparso stordito. Un centinaio di persone, quasi tutti addetti ai lavori e gente del mestiere, increduli e attoniti per quanto veniva dichiarato non da un singolo relatore, ma dal responsabile del reparto che aveva avuto, nonostante l’avviso dell’associazione Viva la Vita, l’incarico dalla Direzione Sanitaria dell’ospedale di mettere a punto il percorso intraospedaliero per i malati di SLA.

Se non accetti la tracheostomia ti rimando a casa? Ci sono tanti modi per violare la Costituzione, uno di questi è aggirarla e interpretarla con fantasiosa arroganza.

Nei giorni successivi, mi sono arrivati commenti e considerazioni a margine, ma resto molto preoccupato per la sorte dei nostri ammalati che per destino dovessero capitare in quel reparto al Policlinico Umberto I. Il signor Claudio Terzano ha già dato prova e in diverse occasioni di essere in grado di destare la nostra preoccupazione, ma la speranza a cui siamo avvezzi ci ha dato la forza per continuare a credere che le cose potessero essere migliorate col tempo. Evidentemente sbagliavamo.

So che dopo qualche giorno, il medico in questione si schermiva con qualche suo collega, affermando che i suoi principi erano stati ispirati al rispetto dell’obbligo della cura, secondo il quale non può accadere che il medico non intervenga sul paziente, anche quando il paziente rifiuti i suoi trattamenti sanitari. E l’art. 32 della Costituzione? Già dimenticato o mai conosciuto?

Ma entriamo nel merito del codice di deontologia medica: “Art. 20 – Continuità delle cure. Il medico deve garantire al cittadino la continuità delle cure. […] Il medico non può abbandonare il malato ritenuto inguaribile, ma deve continuare ad assisterlo anche al solo fine di lenirne la sofferenza fisica e psichica”.

Come si concilia il codice deontologico con i comportamenti di chi, responsabile di un reparto di pneumologia, manda a morire a casa loro i malati in crisi respiratoria quando non accettano la tracheostomia e la ventilazione meccanica invasiva? Semplice: non si concilia.

Il convegno è finito. La mia sessione e gli interventi svolti dai loro relatori sono stati molto apprezzati. Sono felice per questo. Abbiamo aperto nuove frontiere alla speranza per un mondo migliore. Tornando verso casa, penso a Luca Coscioni, a Piergiorgio Welby, ai tanti che hanno lottato e combattuto per il rispetto della libertà individuale e di cura, e penso a mio padre morto di SLA, penso a Miriam che amava i girasoli, a Mimmo che scriveva “Viva la Vita”, penso a Claudio Terzano che Se-non-ti faccio-la-tracheo-ti-mando-a-morire-da-solo-a-casa-tua, e non sono più tanto felice. La Costituzione ignorata, il codice deontologico chiuso in un cassetto e dimenticato, la solidarietà umana davanti alla sofferenza soffocata nella meschinità e nell’arroganza.

Purtroppo non sempre questa storia del volontariato gratifica e dà gioia. Più spesso è frustrante. Poi, svanita l’amarezza, tornano più forti la determinazione e la voglia di combattere. E si torna in trincea. Per quanti sforzi facciamo, la guerra resta senza quartiere. Non dà tregua, neanche dove t’aspetti d’aver già vinto”. Mauro Pichezzi – Presidente di Viva la Vita onlus

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