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In Ucraina prove tecniche di guerra globale termonucleare

guerra globale termonucleare

Le nazioni occidentali, guidate dall’Unione Europea e dall’amministrazione Obama, sostengono un tentativo di golpe apertamente neonazista in Ucraina. Se riusciranno nell’intento, le conseguenze andranno ben oltre i confini dell’Ucraina e degli stati limitrofi. Per la Russia, tale colpo di stato costituisce un casus belli, in quanto esso avviene nel contesto dell’espansione della difesa antimissile della NATO in Europa centrale e dell’evoluzione della dottrina USA e NATO del “Prompt Global Strike,” secondo cui gli Stati Uniti possono lanciare un primo attacco nucleare preventivo contro Russia e Cina e sopravvivere ad una rappresaglia.

Gli avvenimenti in Ucraina costituiscono la potenziale miccia di una guerra globale che potrebbe rapidamente degenerare in un olocausto termonucleare. Alla conferenza sulla Sicurezza Europea che si è tenuta a Monaco di Baviera i primi di febbraio, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha avuto un vivace scambio di battute con il Segretario Generale della NATO Generale Anders Fogh Rasmussen, dopo che quest’ultimo aveva accusato la Russia di “retorica bellicosa”. Lavrov ha risposto citando il programma europeo di difesa antimissile come un tentativo di garantire un potenziale di primo colpo nucleare contro la Russia. Nel suo intervento a Monaco ed una settimana prima al World Economic Forum a Davos, in Svizzera, Lavrov ha accusato i governi occidentali di sostenere organizzazioni terroristiche neonaziste nel loro tentativo di porre l’Ucraina sotto il controllo dell’Unione Europea e della Troika rafforzando così l’accerchiamento della NATO intorno alla Russia. Ma lungi dall’esagerare, Lavrov ha forse sminuito il problema.

I nazisti prendono la guida delle manifestazioni. Da quando il Presidente Janukovič ha annunciato che l’Ucraina non avrebbe accettato l’accordo associativo con l’Unione Europea, il 21 novembre 2013, organizzazioni di reduci di guerra e collaborazionisti nazisti dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN-B) ed i loro successori, sostenute dall’occidente, hanno lanciato una campagna di provocazioni mirante non solo a far cadere il governo del Primo Ministro Mykola Azarov, ma anche a rovesciare il Presidente Janukovič, democraticamente eletto. Il Partenariato Orientale dell’UE fu avviato nel dicembre 2008 da Carl Bildt e Radek Sikorski, ministri degli Esteri di Svezia e Polonia, sull’onda dello scontro militare tra Georgia e Russia nel Sud Ossezia. Il Partenariato prese di mira sei ex repubbliche sovietiche: tre nella regione del Caucaso (Armenia, Azerbaijan, Georgia) e tre in Europa Centro Orientale (Bielorussia, Moldavia, Ucraina). L’idea era non di invitarle ad entrare a far parte dell’UE, ma di sottoporle ugualmente alla morsa di quest’ultima tramite cosiddetti accordi associativi, ciascuno incentrato su un Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (DCFTA, ampio accordo di libero scambio). Il principale bersaglio era l’Ucraina. Con l’accordo associativo negoziato ma non firmato, l’economia industriale dell’Ucraina sarebbe stata smantellata, riducendo drasticamente l’interscambio con la Russia (che avrebbe messo fine al proprio accordo di libero scambio con l’Ucraina per impedire l’invasione di articoli europei sui suoi mercati tramite), ed i mercati europei avrebbero preso il controllo delle esportazioni ucraine di prodotti agricoli e materie prime. Lo stesso regime mortale di austerità imposto dalla Troika alla Grecia ed altri paesi del Mediterraneo sarebbe stato imposto anche all’Ucraina. Inoltre l’accordo associativo imponeva anche una “convergenza” sulle questioni di sicurezza e l’integrazione nel sistema di difesa europeo. Secondo tale accordo, l’Ucraina avrebbe dovuto recedere dai trattati a lungo termine che concedono a Mosca l’uso dei porti del Mar Nero, cruciale per la Marina Militare russa, dando alla NATO una base avanzata sul confine con la Russia. Anche se i media occidentali hanno raccontato che le manifestazioni in piazza dell’Indipendenza a Kiev (Maidan Nezalezhnesti, o Euromaidan come viene chiamata adesso) fossero inizialmente pacifiche, sta di fatto che fin dall’inizio le proteste includevano un nocciolo duro di estrema destra e neonazisti, hooligans e reduci delle guerre in Afghanistan, Cecenia e Georgia. Stando al parlamentare ucraino Oleg Tsariov, trecentocinquanta ucraini sono tornati dalla Siria nel gennaio 2014, dopo aver combattuto insieme ai ribelli siriani, inclusi gruppi terroristici legati ad al-Qaeda quali il Fronte al-Nusra e lo Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS). Già nel weekend del 30 novembre – 1 dicembre i rivoltosi gettavano cocktail Molotov ed hanno occupato il Municipio di Kiev dichiarandolo “quartier generale rivoluzionario”. I manifestanti del partito di opposizione Svoboda, che prima si chiamava nazionalsocialista, hanno marciato dietro la bandiera rossonera dell’ Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera (OUN-B), ovvero i collaboratori nazisti che durante la seconda guerra mondiale sterminarono ebrei e polacchi per conto della macchina da guerra hitleriana, ispirati dall’ideologia della razza pura. Lo slogan del partito Svoboda, “l’Ucraina agli ucraini”, era il grido di battaglia di Bandera durante la collaborazione tra l’OUN-B ed Hitler dopo l’invasione nazista dell’Unione Sovietica. Sotto quello slogan i combattenti fascisti di Bandera commisero esecuzioni di massa e pulizie etniche. Fonti ucraine riferiscono che già nell’estate del 2013, mesi prima che il Presidente Janukovič decidesse di rifiutare l’accordo associativo con l’UE, il partito Svoboda teneva dei campi di addestramento paramilitare. Il carattere neonazista, razzista ed antisemita di Svoboda non ha impedito però ai diplomatici occidentali, inclusa Victoria Nuland, la vice di Kerry per gli affari europei ed asiatici, di incontrare pubblicamente il leader del partito Oleg Tjaghnìbok, che nel 2004 era stato buttato fuori dal movimento La Nostra Ucraina per i suoi discorsi contro “moscoviti ed ebrei” in cui usava termini offensivi e insulti per entrambi. Il revival fascista di Bandera è evidente fin dalla Rivoluzione Arancione del 2004, quando Viktor Juščenko fu installato come Presidente dell’Ucraina con una campagna sostenuta dall’estero e finanziata dall’International Renaissance Foundation di George Soros e da oltre 2.000 ONG da Europa ed America, dopo aver perso ufficialmente le elezioni presidenziali contro Viktor Janukovič. Il 22 gennaio 2010, uno degli ultimi anni di Juščenko come Presidente, dopo la vittoria presidenziale di Janukovič con un ampio margine, fu quella di nominare Stepan Bandera un Eroe dell’Ucraina, che è il massimo onore di stato. Stando a notizie di stampa, la seconda moglie di Juščenko, Katerina Čumačenko, era anche lei membro del gruppo giovanile banderista OUN-B nella sua città di nascita, Chicago. Negli anni Ottanta, la Čumačenko presiedeva gli uffici di Washington dell’Ukrainian Congress Committee of America (su cui aveva grande influsso l’OUN-B, stando al Canadian Institute of Ukrainian Studies dell’Università di Alberta) e presiedeva anche il National Captive Nations Committee, prima di passare all’Ufficio del Dipartimento di Stato per i Diritti Umani. Nel gennaio 2011, il Presidente Janukovič revocò a Bandera l’onorificenza di Eroe dell’Ucraina.

L’OUN-B: un po’ di storia. Il retaggio dell’OUN-B è cruciale per comprendere la natura dell’insurrezione armata attualmente in corso in Ucraina. L’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini fu fondata nel 1929 e nel giro di quattro anni Bandera ne divenne il capo. Nel 1934 Bandera ed altri leader dell’OUN furono arrestati per l’assassinio di Bronislaw Pieracki, Ministro dell’Interno polacco. Bandera fu scarcerato nel 1939 ed avviò subito i contatti con il Quartier Generale dell’Occupazione tedesca, ricevendo fondi e organizzando l’addestramento nella Abwehr per 800 guastatori delle sue truppe. Quando ci fu l’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel 1941, le forze di Bandera consistevano in almeno settemila combattenti organizzati in “gruppi mobili” coordinati con le forze tedesche. Bandera ricevette 2,5 milioni di marchi per condurre operazioni sovversive all’interno dell’Unione Sovietica. Dopo aver dichiarato lo stato indipendente ucraino sotto la sua direzione nel 1941, Bandera fu arrestato e mandato a Berlino. Ma mantenne i contatti coi nazisti che continuarono a finanziarlo, ed i suoi “gruppi mobili” ricevettero copertura aerea dai tedeschi per tutta la durata della guerra. Nel 1943, l’OUN-B di Bandera iniziò una campagna di sterminio di massa di polacchi ed ebrei, uccidendo qualcosa come 70.000 civili solo durante l’estate di quell’anno. Anche se Bandera guidava ancora le attività dell’OUN-B da Berlino, la pulizia etnica veniva guidata da Mykola Lebed, capo del Sluzhba Bespeki, la polizia segreta dell’OUN-B. Nel maggio 1941, ad una sessione plenaria dell’OUN a Cracovia, l’organizzazione pubblicò un documento, “La lotta e l’azione dell’OUN durante la guerra” che dichiarava, tra l’altro, che “moscoviti, polacchi e ebrei ci sono ostili e vanno sterminati in questa lotta” (usando per moscoviti il nomignolo derogatorio “Moskal”). Con la sconfitta dei nazisti, Bandera e molti leader dell’OUN-B furono mandati in vari campi di prigionia in Germania ed Europa centrale. Stando a Stephen Dorrill ed alla sua autorevole storia del servizio segreto inglese MI6, MI6: Inside the Covert World of Her Majesty’s Secret Intelligence Service, Bandera fu reclutato dall’MI6 nell’aprile 1948. Il collegamento coi britannici fu stabilito da Gerhard von Mende, un gerarca nazista che aveva diretto la Divisione Caucasica del Ministero del Reich per i Territori Orientali occupati (Ostministerium). Von Mende reclutò musulmani dal Caucaso e dall’Asia Centrale per farli combattere insieme ai nazisti durante l’invasione dell’Unione Sovietica. Alla fine della seconda guerra mondiale, lavorò per i britannici tramite una società di copertura, la Research Service on Eastern Europe, che era in realtà un ente di reclutamento per gli insorti musulmani all’interno dell’Unione Sovietica. Von Mende fu strumentale nel creare covi della Fratellanza Musulmana a Monaco di Baviera e Ginevra. Tramite von Mende, l’MI6 addestrò agenti dell’OUN-B e li infiltrò in Unione Sovietica per condurre operazioni di sabotaggio ed assassinio tra il 1949 ed il 1950. Un rapporto dell’MI6 del 1956 loda Bandera come “un agente clandestino professionista con un background terroristico e spregiudicato nelle regole del gioco”. Nel marzo 1956, Bandera andò a lavorare con l’equivalente tedesco della CIA, il BND, allora diretto dal Gen. Reinhardt Gehlen, capo dei servizi segreti militari sul fronte orientale durante la seconda guerra mondiale. Ancora una volta, von Mende fu uno dei suoi sponsor e protettori. Nel 1959, Bandera fu assassinato dal KGB in Germania occidentale. Il principale sicario di Bandera, Mykola Lebed, comandante della polizia segreta dell’OUN-B, fece una carriera più lunga. Alla fine della seconda guerra mondiale fu reclutato dai Corpi di Counterintelligence dell’esercito americano e nel 1948 era sulla busta paga della CIA. Lebed reclutò gli agenti dell’OUN-B che non erano andati con Bandera e l’MI6, e partecipò ad un programma di sabotaggio dietro la Cortina di Ferro, che incluse la “Operation Cartel” e la “Operation Aerodynamics.” Lebed fu quindi trasferito a New York, dove diede vita ad una società di facciata della CIA, la Prolog Research Corporation, ed operò sotto il controllo di Frank Wisner, che era a capo del Direttorato per la Pianificazione della CIA negli anni Cinquanta. La Prolog continuò ad operare fino alla fine degli Anni Novanta, quando fu promossa e sostenuta da Zbigniew Brzezinski, consigliere del Presidente Jimmy Carter per la sicurezza nazionale. Nel 1985, il Dipartimento di Giustizia USA lanciò un’inchiesta sul ruolo di Lebed nel genocidio in Polonia ed Ucraina occidentale durante la guerra, ma la CIA la bloccò e l’inchiesta fu abbandonata. Ciononostante, nel 2010, dopo la pubblicazione di migliaia di pagine di documenti di guerra, gli Archivi Nazionali pubblicarono un rapporto, Hitler’s Shadow: Nazi War Criminals, U.S. Intelligence, and the Cold War (l’ombra di Hitler: criminali di guerra nazisti, intelligence USA e guerra fredda), scritto da Richard Breitman e Norman Goda, che includeva un resoconto dettagliato sulla collisione tra Bandera, Lebed ed i nazisti e sul loro coinvolgimento nelle esecuzioni di massa di ebrei e polacchi. Questo retaggio Bandera-Lebed e le reti intessute nel dopoguerra sono al centro degli avvenimenti attuali in Ucraina.

La denuncia dei leader ucraini. Il 25 gennaio ventinove partiti e organizzazioni politiche in Ucraina hanno lanciato un appello al Segretario Generale dell’ONU, alla dirigenza dell’UE ed agli Stati Uniti affinché prendano misure per “fermare i saccheggi da parte dei guerriglieri, l’incitamento alla guerra civile, un colpo di stato e la disintegrazione del paese”. L’appello fornisce dettagli cruciali sulla natura neo-coloniale ed anti-russa dell’accordo di associazione con l’UE, che l’attuale governo ucraino ha congelato, ma anche sulle organizzazioni neofasciste che prendono parte alle proteste. Una dei firmatari è l’economista Natalia Vitrenko, leader del Partito Socialista Progressista Ucraino, che più di un anno fa aveva messo in guardia da questi gruppi che, con l’incoraggiamento ed i fondi delle cosiddette ONG “per la democrazia” provenienti dall’occidente, avrebbero posto una minaccia al governo ucraino. La dichiarazione esordisce: “La crisi politica ucraina peggiora di giorno in giorno, portando il paese verso una guerra civile fratricida, la perdita della sovranità e la disintegrazione dello stato. Si tratta di un progetto straniero per prendere il controllo dell’Ucraina. Viene attuato contro gli interessi e le esigenze del nostro popolo. Viene portato avanti violando la Costituzione e le norme e princìpi internazionali, basati sull’azione pacifica, sulle libere elezioni, la libertà di parola ed il rispetto dei diritti umani. Giacché i media internazionali riportano informazioni deliberatamente distorte sull’Ucraina, diffuse da politici e funzionari dell’UE e degli Stati Uniti, e queste vengono usate a sostegno di azioni illegali di guerriglia, ci vediamo costretti a lanciare il seguente appello”. Quanto all’ideologia ed ai simboli neonazisti e neofascisti dell’Euromaidan, i firmatari si rivolgono direttamente ai leader occidentali: “Dovreste capire che, sostenendo le azioni di guerriglia in Ucraina, accordando loro lo status di ‘attivisti Euromaidan’ che prendono parte a presunte azioni pacifiche, state di fatto proteggendo, incitando ed istigando i neonazisti e i neofascisti ucraini”. “Nessun leader dell’opposizione (Iatseniuk, Klitsčko e Tjaghnìbok) nasconde il fatto di continuare l’ideologia e le pratiche dell’OUN-UPA…. Ovunque vadano i teppisti di Euromaidan disseminano gli slogan citati prima e simboli nazisti (…) A conferma della natura neonazista di Euromaidan c’è l’uso costante di ritratti dei carnefici del nostro popolo, Bandera e Šukhevič—agenti dell’Abwehr.” Solo alla fine di gennaio, quando le scene delle violenze di massa e dei manifestanti armati hanno finalmente spezzato la cortina fumogena dei media, i media occidentali hanno parlato del carattere neonazista della destabilizzazione in corso. La rivista Time, il 28 gennaio, ha titolato su Kiev “banditi di estrema destra prendono il controllo delle rivolte liberali in Ucraina”, pubblicando il profilo di un gruppo di nazisti detto Spilna Sprava (“Causa comune” ma la sigla è “SS”), al centro delle proteste. Il giorno dopo il Guardian ha titolato: “In Ucraina, fascisti, oligarchi e l’espansione occidentale sono al centro della crisi” col sottotitolo: “La storia che ci viene raccontata sulle proteste a Kiev ha un rapporto molto lontano con la realtà”. L’inviato del Guardian Seumas Milne scrive onestamente: “Dagli articoli pubblicati finora non si sa che nazionalisti di estrema destra e fascisti erano al centro delle proteste e degli attacchi contro gli edifici del governo. Uno dei tre partiti di opposizione alla guida della campagna è il partito di estrema destra ed antisemitico Svoboda, il cui leader Oleg Tjaghnìbok sostiene che una ‘mafia moscovita ed ebraica’ controlli l’Ucraina. Il partito, che ora controlla la città di Leopoli, ha guidato una fiaccolata di 15.000 persone all’inizio del mese in memoria del leader fascista ucraino Stepan Bandera, le cui milizie combatterono coi nazisti nella seconda guerra mondiale, e che prese parte alle stragi di ebrei.” Anche Counterpunch ha pubblicato il 29 gennaio un articolo di Eric Draitser, “L’Ucraina e la rinascita del Fascismo”, che inizia con il monito: “La violenza nelle strade dell’Ucraina è più di un’espressione di rabbia popolare contro il governo. Anzi, è solo l’ultimo esempio dell’ascesa della forma più insidiosa di fascismo che l’Europa abbia mai visto dalla caduta del Terzo Reich… nel tentativo di strappare l’Ucraina dalla sfera di influenza russa, Stati Uniti, UE e NATO si sono alleati, per la prima volta, con dei fascisti.”

*Traduzione del dossier prodotto dal gruppo di ricerca dell’Executive Intelligence Review di Washington

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L’evoluzione della guerra al terrorismo

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Mentre diversi settori di produzione soffrono da un’astinenza causata della recessione, altri settori non possono permettersi di andare in vacanza, perché la domanda persiste, la produzione continua in modo incessante ed i profitti si moltiplicano.

Tra questi settori fanno sicuramente parte quelli che sono in qualche modo legati al mondo agli armamenti. Sebbene tutti convergono che la guerra sia indecorosa, sembrerebbe prevalere l’idea che la pace sia una diretta conseguenza della guerra, che la guerra sia “padre, madre e regina di tutte le cose”, oppure necessaria “come il vento”, perché “preserva il mare dalla putrefazione nella quale lo ridurrebbe una quiete durevole”. Ciò che pare scontato, è che “non si possa fare ricorso alla guerra se non come estrema possibilità”, come asseriva Papa Giovanni Paolo II. Giustificazione del mezzo alquanto discutibile, visto il ruolo di chi l’ha espressa, eppure, esiste anche chi ha detto peggio di ciò. Secondo Obama, Nobel per la pace, “ci saranno momenti in cui le nazioni troveranno l’uso della forza non solo necessario, ma moralmente giustificato”, perché “affermare che la forza sia a volte necessaria, non è un invito al cinismo”, ma bensì “un riconoscimento della storia, dell’imperfezione umana e dei limiti della ragione”.

Il giorno dopo la demolizione delle Torri Gemelle, fu purtroppo accertato che la forza non fosse solo necessaria, ma moralmente giustificata. Un’obiettiva persecuzione fu intrapresa, facendo pensare che sarebbe terminata quel 2 maggio del 2011, quando si ebbe notizia della morte di Osama Bin Laden, eppure così non fu, sebbene la battuta di caccia sembrava avere una missione mirata ed un obiettivo definito, e definitivo. Il barbuto longilineo, vestito con un lenzuolo bianco, ornato dal turbante, col sandalo ai piedi, doveva essere il bersaglio. Colui che armato di AK-47, si aggira furtivamente per le colline ed attraverso le grotte della steppa, che si prostra diverse volte al giorno a pregare. Il pecoraio costantemente imbottito di esplosivo, che  freme, pregustando il momento in cui sarebbe morto, per il suo credo. Dal 2001, dieci infiniti anni di guerra contro una definita religione, una definita appartenenza territoriale ed a una definita civiltà. Dall’Afghanistan, addentrandosi per il Pakistan e l’India, prima di dirigersi verso il Medio Oriente, per poi fare una visita di cortesia alla Primavera Araba, prima di proseguire la crociera verso l’Africa. Il tutto, con la complicità di Nazioni che hanno concesso i loro spazi aerei, terrestri e marittimi, non a beneficio della libertà di parola, come  auspicabile per Snowden, ma a beneficio di personaggi intenti a cacciare barbuti e turbanti, intenti ad attuare ambigui processi di democratizzazione.

Ognuno ha fatto la sua parte in Mali. La missione SERVAL è stata avviata il 10 gennaio 2013, composta da 3’200 soldati francesi, ed è stata attivamente sostenuta dai paesi dell’Africa occidentale, con un contribuito di 6’237 soldati. Gli Stati dell’Ue invece, oltre sostenere l’offensiva franco-africana con personale, aerei cargo, logistica ed armamenti, hanno avviato una missione di addestramento delle forze armate del Mali, la cosiddetta EUTM. Con 550 formatori, l’Ue ha voluto sostenere, attraverso una Riforma del Sistema di Sicurezza in Mali, ed in questo modo, gli Stati Uniti, forti della dottrina promossa da Obama, colui che “riconosce l’imperfezione umana e i limiti della ragione”, hanno trovato il modo di “pensare” ed attuare una nuova “nozione di guerra giusta e l’imperativo di una pace giusta”. Vegliare l’iniziativa colonialista del Vecchio continente, aspettare che il lavoro sporco venga svolto, in attesa del successivo intervento delle Nazioni Unite. Anche se non massicciamente presenti ed effettivamente visibili, come d’abitudine, gli Stati Uniti sono sempre stati lì, come ovunque, d’altronde. Ogni giorno, dalla base di Niamey nel vicino Niger, si alternano due droni americani con destinazione Mali, per compiere la loro abituale routine, le ormai famose missioni di sorveglianza e di pattugliamento, che così bene padroneggiano.

Il 1° luglio, mentre le elezioni presidenziali in Mali si avvicinano, è stato dispiegato in totale sordina la missione MINUSMA delle Nazioni Unite composta da 12’600 soldati e 1’440 agenti di polizia, per il –mantenimento della pace–. Il mandato, il ripristino della democrazia e dello Stato di diritto in Mali, attraverso eque, libere e trasparenti elezioni, fornendo un’assistenza logistica, tecnica, adeguata ed efficace. E per consentire il libero e costante svolgimento delle sue mansioni, le truppe francesi sono autorizzate ad utilizzare tutti i mezzi necessari per intervenire a sostegno dell’unità MINUSMA, qualora fosse sotto minaccia.

E mentre i quesiti sulle reali motivazioni di questo rapido e massiccio dispiegamento si susseguono, l’Ue si dimostra capace di verità, asserendo che “è fondamentale l’importanza che il continente africano riveste per la sicurezza dell’Unione”, per “l’approvvigionamento energetico, creando un mercato dell’energia unificato, attuando meccanismi anti-crisi per fronteggiare eventuali interruzioni, avendo una maggiore diversificazione dei combustibili, delle fonti e delle rotte di transito”. E mentre un’intellettuale locale, Aminata Traoré, denuncia gli altri motivi della ri-colonizzazione, ovvero proteggere le multinazionali come AREVA e monopolizzare il traffico di droga e quello di armi nella regione, è ormai di dominio pubblico che una certa società Corvus Resources Management Ltd ha avuto la concessione per l’esplorazione, lo sfruttamento, il trasporto ed il raffinamento di idrocarburi gassosi e liquidi nel bacino di Taoudeni per i prossimi 4 anni. Anche se il governo conosce con chi ha concluso questo affare, pare che la società sia stranamente attiva soltanto dal 2012, che la sua sede legale sia stranamente presso le isole Cayman e che stranamente, il suo sito internet non sia consultabile. Sembrerebbe che lo scopo dell’invasione sia col tempo mutato. La guerra ad Al-Qaeda incominciata quel 12 settembre 2001, divenuta poi guerra al terrorismo globale, è giunta in Mali con un ulteriore evoluzione. Secondo la risoluzione adottata per il dispiegamento delle Nazioni Unite in Mali, ora “il terrorismo non può e non deve essere” più “associato ad alcuna religione, nazionalità o civiltà”. Perché ora non si combattono soltanto i pecorai barbuti in sandalo, quelli con l’AK-47 come orecchino. Non soltanto loro, anche loro, qualora se ne incontrino. Ora i terroristi potranno anche avere occhi azzurri, essere negri o magari bianchi, anche con passaporto americano, proprio come Snowden. Necessario tutto ciò, cosicché il 14 luglio Hollande, in occasione della tradizionale parata per la festa nazionale francese, ha potuto usufruire di ulteriori lattine, che saltelleranno dietro al perfido padrone, come fossero i titoli di coda dopo un sontuoso matrimonio di vintage. Potrà esibire vecchi e nuovi trofei di guerra, senza provare alcun ribrezzo nel rivelarsi un tiranno, semplicemente perché gli manca un copricapo di pelle di leopardo, in stile Sese Mobutu.

Ma le future generazioni che, come effetto della guerra, cresceranno orfani, che con i loro innocenti sguardi hanno veduto abominevoli nefandezze, degne del miglior Valhalla Rising, come esprimeranno il loro profondo riconoscimento verso l’impossibilità di possedere e vivere appieno le grandi gioie della vita? Indossando il sandalo ed ornandosi del turbante, perché nulla di più possono permettersi, a parte la barba. Perché la barba non si compra. E non ha prezzo.

Chris Richmond N’zi

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L’Italia spiegata a un americano

 

Ho pranzato con un amico americano. Poco prima di addentare lo spaghetto mi ha chiesto: «Cosa sta succedendo oggi in Italia?». Vuoi proprio saperlo? Lui, senza il minimo dubbio: «Certo, voglio capire». John, il Paese nei prossimi mesi pagherà una pioggia di tasse, la nostra pressione fiscale è al 45 per cento… «Really? Davvero? Da noi negli Stati Uniti è in media del 25 per cento». Sì, ma da noi le tasse le pagano i soliti noti, c’è un’alta evasione e il governo per far quadrare i conti spreme il contribuente. «Ma deprimerà la crescita, questo lo sanno tutti gli economisti». Alzare le tasse è la via più facile. «Well, Mario, da noi si abbassano le tasse per favorire l’impresa e manovriamo sul cambio del dollaro per aiutare l’export». John, qui siamo in Europa, la nostra moneta unica non può oscillare, i tedeschi governano la Bce. «Good, so cosa fanno a Berlino, io voglio capire cosa fanno gli italiani». Lo spaghetto s’è sfreddato. John, qui siamo in recessione, il Prodotto interno lordo è sotto zero, il governo ha fatto bene all’esordio ma ora è impantanato sui provvedimenti per la crescita, mentre Berlino gioca a strangolino con gli altri Paesi e poi l’Italia ha problemi gravi. «What? Vedo che vivete bene». Non farti ingannare dalla “bella vita”, qui ce la caviamo finché c’è il tesoretto delle famiglie, ma la disoccupazione galoppa e i giovani sono alla canna del gas. «That’s incredible. Da noi i repubblicani sono in crisi, ma Obama ce la sta mettendo tutta e la Fed inietta liquidità quando serve». Noi abbiamo la Bce a Francoforte, non c’è trippa per gatti. E poi in Italia ci sono non due, ma tanti partiti e hanno problemi con la giustizia. «Corruption, yes, ho letto del vostro Silvio». John, Berlusconi era l’alibi per tutti, ora non è più a Palazzo Chigi da mesi, ma i partiti sono al minimo storico di consenso. Hanno rimborsi elettorali da centinaia e centinaia di milioni di euro e i tesorieri dei partiti spendono quei fondi senza controllo. Un leader di un partito che urlava «Roma ladrona» si faceva pagare i conti di famiglia con i soldi pubblici, il suo tesoriere li investiva illegalmente in Tanzania. «Shit…Tanzania!»… e un tesoriere della sinistra antiberlusconiana usava i soldi del partito per i suoi viaggi, pranzi e investimenti immobiliari in Canada. «Mario, ma il popolo può votare e… change! Cambia». Qui non c’è hope, la speranza di mandare uno come Obama a Palazzo Chigi. La competizione elettorale dentro i partiti non esiste. I parlamentari sono nominati. «Ma ho letto che il vostro Partito democratico fa le primarie…». Non sono regolate come le vostre, qui non esistono elettori registrati, anche le primarie si possono truccare. È il Far West. «Mario, sorry but… ho letto che Monti sta facendo bene». Monti ci sta provando, ma ha imboccato una strada pericolosa. Sai, credo sia troppo… “tedesco”. Queste tasse uccidono lo sviluppo. Volevano metterne una anche sugli sms, i messaggi dei telefonini, poi ieri hanno fatto retromarcia. «Text Message Tax, terrible! Eppure avete gente in gamba. Il vostro Sergio Marchionne ha salvato la Chrysler, gli operai a Detroit lo considerano un salvatore». A Detroit, John, a Detroit. Se vai a Pomigliano d’Arco tira un’altra aria. Qui è un nemico pubblico perché ha detto che la Fiat è una multinazionale e produce dove conviene. «Oh my God, ma ha detto una cosa vera!». Appunto, l’Italia non ama sentirsi dire la verità. «Mario, ma questa è la patria di Leonardo, Dante, Machiavelli, Meucci, Fermi. Avete forgiato la cultura occidentale e dato lustro alla scienza e all’industria». Amico americano, questo è il passato. Qui abbiamo imprenditori che si uccidono, partiti kamikaze, il Parlamento più caro d’Europa, il terzo debito pubblico del mondo. «My Italian friend, stop… Mangiamo lo spaghetto. I understand, tra poco qui da voi in Italia scoppia tutto».

(Fonte Il Tempo – Mario Sechi)

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