La ‘ndrangheta dentro la massoneria: “in Calabria 28 logge su 32 sono controllate dalle cosche, le persone più importanti della ’ndrangheta sono massoni“. Sono queste le rivelazioni shock di un pentito, riportate da la Gazzetta del Sud, che entra nei dettagli e conferma l’esistenza di un legame profondo tra la ‘ndrangheta e la massoneria già attestato da altri collaboratori di giustizia. La Calabria è terra di antica tradizione massonica come risulta dagli elenchi dei 26.410 affiliati alle Logge Massoniche italiane. Se non è al primo è comunque al secondo posto, dopo la Toscana, in valore assoluto per numero di iscritti. Continue Reading
‘ndrangheta
Non vi possiamo più guardare negli occhi
Mafia Capitale è il simbolo della doppia morale fascista sull’immigrazione, da un lato il populismo delle marce contro, dall’altro il pragmatismo degli affari sull’accoglienza. “La mucca deve mangiare, e qui la mucca l’amo munta tanto”. È la regola di Mafia Capitale. Mungere la mucca dei finanziamenti pubblici per le grandi emergenze. La sanità, i profughi, i bambini che fuggono da guerre e carestie, la gente che a Roma cerca una casa, la monnezza che soffoca l’Urbe. Salvatore Buzzi, Massimo Carminati e i loro complici politici, del Pd, del Pdl e della Destra, senza distinzioni, uniti dalla mazzetta, avevano un solo obiettivo: fare soldi. Soldi e potere.
Gli arresti nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale confermano che ormai gli immigrati sono diventati un business che frutta milioni e milioni di euro. Alemanno o Marino, erano loro i padroni nel Comune di Roma. Sceglievano i dirigenti e decidevano il bilancio, avevano agganci alla Regione, erano ben piazzati dentro prefettura e ministero dell’Interno. Quanto vale in termini di mazzette un immigrato? “Famo un euro a persona”. Tanti soldi. L’emergenza usata come strumento di corruzione. Oppure “Se vinceva Alemanno ce l’avevamo tutti comprati partivamo fiuuuuuu (nota del gip: fonetico intendendo partenza a razzo)”.
“Alemanno che riceve una mail dalla ‘ndrangheta è una scena dada. L’ex ragazzo del Fronte della Gioventù, cresciuto tra le pagine di “Cavalcare la tigre” – il libro della decadenza attiva di Julius Evola – invece che a sbrigarsela col Kali-Yuga si ritrova impantanato tra gli sbaffi di ‘nduia. Luca Gramazio, esponente di punta della destra capitolina, in un’intercettazione dice: “Lassù qualcuno ci ama”. Per “Ama” si sottintende l’Azienda municipalizzata ambiente. E quella di questo ex ragazzo di An non è solo una spiritosaggine ma un lapsus rivelatore di un destino politico: avere ridotto la destra, a Roma, in una pagina del grottesco. Camerata, camerata, fregatura assicurata. Non lo sapevate, vero? È il mantra che attraversa l’onda di disonore di questi giorni. Pensate: quelli che ripetevano “Mussolini e i suoi furono appesi a testa in giù in Piazzale Loreto senza che un solo soldo cadesse dalle loro tasche”; anni di persecuzioni; ragazzi tratti dal piombo negli anni dell’odio; lo sguardo di Giorgio Almirante, infine, gettati nel pozzo buio della vergogna. Appunto, lo sguardo di Almirante: “Noi vi possiamo guardare negli occhi”, questo era lo slogan del Msi, il partito della legge e dell’ordine. La fiaccola del Fronte della Gioventù, la stessa che campeggia nella foto che riunisce Paolo Borsellino con i ragazzi missini, a Siracusa, soffocata da uno di loro: il futuro sindaco di Roma, Gianni Alemanno, responsabile di un omicidio politico, la buonafede. Quella di chi, da destra – in una posizione scomoda, minoritaria – sapendo di perdere sempre s’intignava nell’ossessione delle “Mani pulite”. È successo che la generazione degli sdoganati, convocati nella stanza del potere, s’è data alle bustarelle. Appunto: camerata, camerata, fregatura assicurata. Non era così, non è mai stato così. Enrico Endrich, fascista e già podestà di Cagliari, eletto nel Msi nel 1952, contesta la legge per l’indennità di pensione per i parlamentari e si dimette per protesta: “Essere deputati è un dovere politico, non un mestiere”. Alla sua morte, la vedova, rifiuta la reversibilità. Altra tempra, altri tempi. Non vi possiamo più guardare negli occhi”. Pietrangelo Buttafuoco
Liguria: Corruzione, politica e mafia
Le ultime inchieste in Liguria hanno dimostrato che le principali forme mafiose italiane, in primis la ‘ndrangheta hanno stretto rapporti con una parte della classe politica, a prescindere dallo schieramento partitico in base alla utilità per la cosca. A differenza che in altre realtà del centro nord dove questo rapporto è limitato od assente, in Liguria purtroppo il connubio tra mafia e politica è presente in maniera rilevante. Il fatturato mafioso stimato è di circa 10-11 miliardi di euro ed è proporzionato alle stime nazionali oscillanti tra i 140-150 miliardi di euro che salgono a 200 con le mafie straniere ed a 2000 nei 27 paesi del parlamento europeo.
La Liguria non è originariamente una terra che ha dato vita a forme mafiose autoctone di una certa rilevanza e per questo motivo parlare di tale argomento su un territorio considerato “un’isola felice” non è mai stato facile. La banda dei genovesi attiva negli anni ’70 non è mai stata in grado di trasformarsi in forma mafiosa. Un campanello d’allarme comunque in Liguria c’è sempre stato: la presenza del clan dei marsigliesi… Ma provenivano dalla Francia. I marsigliesi erano comunque in affari con gli italiani, come tra l’altro lo sono i loro eredi oggi. Altro campanello d’allarme da non sottovalutare riguarda l’emanazione della prima sentenza che ha dimostrato l’esistenza di cosa nostra in Liguria e che risale a 25 anni fa. La presenza al confino di mafiosi sin dagli anni ’50 tra l’altro ha contribuito all’esportazione di tale fenomeno. Negli anni novanta da altre sentenze fu colpito il mercato delle slot machines in mano sempre ai clan siciliani. I rapporti della DIA sin da quando sono stati redatti si sono occupati delle infiltrazioni mafiose in Liguria. La DIA ligure tra l’altro nel corso del 2011 ha sequestrato beni per circa 20 milioni di euro. Lo stesso dicasi per i rapporti della DNA curati ultimamente dalla Dott.ssa Canepa giovane memoria storica dell’antimafia stimata dal giudice Caponnetto per il suo impegno.
Nei vari rapporti la Liguria è spesso considerata come uno snodo del narcotraffico internazionale, per la posizione geografica di confine con la Francia e per i numerosi porti presenti, quali Genova, Savona, Vado Ligure e La Spezia, rappresenta una manna per le organizzazioni criminali mafiose che infatti sono ben rappresentate. Inoltre essendo una terra che non ha dato origine a forme mafiose è un luogo in cui convivono varie forme di criminalità mafiosa ed organizzata. La regola principale di convivenza è quella del non disturbarsi a vicenda. In molti casi inoltre scattano dei meccanismi collaborativi. È il caso dell’accordo tra i nuovi clan marsigliesi e la ‘ndrangheta per gli affari in comune che transitano sui rispettivi territori. Non bisogna inoltre dimenticare che a Sanremo c’è il casinò e solitamente queste strutture sono considerate appetibili dalle varie mafie.
‘NDRANGHETA. La ‘ndrangheta al momento è la forma mafiosa di cui si parla di più. E’ ben presente in tutto il territorio ligure ed utilizza la regione come testa di ponte per la Francia e per i porti ivi presenti. Attualmente risultano presenti locali a Genova, Ventimiglia, Lavagna, Sarzana e probabilmente anche a Sanremo, Rapallo, Imperia, Savona, Taggia. Per la DIA “la Liguria si conferma essere il territorio di elezione di diverse forme di criminalità organizzate e, tra queste, assume particolare rilievo la presenza di sodalizi riconducibili alla ‘ndrangheta”. Le operazioni condotte contro la ‘ndrangheta sono numerosissime ma quella che più di tutte ha dato un contributo fondamentale a capire gli insediamenti al nord è stata la c.d. “operazione crimine” del 13 luglio 2010 che ha permesso di scoprire la presenza organica della ‘ndrangheta sul territorio ligure con gli effettivi organigrammi. I ROS dei carabinieri quotidianamente contrastano la ‘ndrangheta sul territorio ligure. Dalla relazione della commissione antimafia del 2008 allora diretta da Francesco Forgione emerge la presenza di una camera di compensazione per le cosche liguri e piemontesi per la gestione degli affari ed il ruolo della locale di Ventimiglia per il coordinamento. Il biennio 2010/2011 è stato un periodo molto intenso per la procura di Genova che ha potuto contrastare le cosche con le operazioni “maglio 2” e “maglio 3”.
COSA NOSTRA. La mafia siciliana è storicamente presente in Liguria. Il rapporto della DNA ritiene pacifico come dato giudiziario accertato la presenza in particolare su Genova, ma non solo, di “decine”, diretta emanazione di “famiglie” di cosa nostra. In particolare si registra un’attenzione per il riciclaggio, l’usura, lo sfruttamento della prostituzione, la distribuzione delle bevande, la gestione delle slot machines non solo abusive o clonate ma sempre più ufficiali con tanto di autorizzazione dei Monopoli di Stato. Risultano presenti in particolare i gruppi di Caltanissetta e Gela. Il rapporto della DIA conferma ciò con una maggiore penetrazione in Genova e provincia ma con l’intera regione considerata un terreno appetibile per le organizzazioni criminali per il rifugio ai latitanti ed il riciclaggio in attività lecite. Si segnala inoltre l’attenzione dei clan siciliani per la gestione ufficiale dei rifiuti. I clan di cosa nostra mostrano anch’essi una notevole attenzione per gli investimenti in Francia e Costa Azzurra.
CRIMINALITA’ MAFIOSA CAMPANA. I vari rapporti che si sono succeduti nel corso degli anni, sia della DIA sia della DNA, confermano la presenza in Liguria di soggetti operativi della criminalità mafiosa campana in grado di sviluppare autonome relazioni criminali. La presenza della camorra è stata riscontrata a La Spezia, a San Remo e Ventimiglia. Le ramificazioni hanno privilegiato oltre allo spaccio ed al gioco d’azzardo la contraffazione. Vi sono inoltre elementi di spicco di origine camorristica fuggiti in Francia e che da oltre confine gestiscono affari anche con i francesi.
SACRA CORONA UNITA. Iniziano ad essere presenti anche esponenti della criminalità mafiosa pugliese in Liguria, più precisamente nella zona di Savona in accordo con gruppi di albanesi dediti allo spaccio. L’espansione della SCU non avviene per clan ma per singoli esponenti e lentamente si estende sul territorio regionale.
*Rapporto Fondazione Antonino Caponnetto
Mafia al pesto
Nemmeno la Liguria può essere definita un’isola felice estranea alla malavita organizzata, in quanto anche qui esistono inquietanti insediamenti delle mafie tradizionali italiane e di mafie straniere. La particolare conformazione geografico-economica della Liguria ha attirato ed attira infatti l’interesse di numerose e variegate realtà criminali, che hanno individuato nella regione un paradiso dove poter riciclare le ingenti ricchezze prodotte dalle attività illecite, una piazza tranquilla dove svolgere con sistematicità le più proficue attività di estorsione ed usura, il tutto all’ombra del paravento legale offerto dal casinò di Sanremo. Non solo: il fatto del tutto precipuo che la regione confini con la Francia ed offra un agile attraversamento del confine, ha consentito fin dagli anni ’70 a molti criminali di colonizzare la Costa Azzurra e di fondare le basi logistiche per la gestione di importanti latitanti sfruttando un rapporto di amicizia con la criminalità marsigliese.
E` noto che l’arrivo a nord di alcuni soggetti organici alle cosche è legato al provvedimento che negli anni ’50 ha mandato al confino alcuni soggetti sospettati o condannati per gravi fatti e comunque inseriti in contesti mafiosi, con la prospettiva di sradicarli dal territorio ove avevano esercitato la loro influenza, e che invece ha determinato all’opposto il radicamento degli stessi nei nuovi luoghi ove si era pensato di isolarli. Inoltre, è altrettanto noto che diverse presenze calabresi e siciliane risalgono alla rinascita economica del Paese nell’immediato secondo dopoguerra, allorchè in tutto il nord si è trasferito un notevole numero di immigrati attirati dall’attività di ricostruzione di strutture ed infrastrutture e dalla possibilità di lavorare nella vicina Francia.
“Le infiltrazioni mafiose sono forse il pericolo maggiore che sta correndo questa regione in questo momento: le organizzazioni criminali hanno scelto una via di estrema prudenza: sono molto silenziose. Sono organizzazioni che non hanno trasferito su questo territorio le fenomenologie mafiose e il comportamento tipico delle regioni di origine: lavorano sotto traccia, sembrano prevalentemente interessate ad acquisire un ruolo nell’economia legale, ad infiltrarsi in essa, a condizionare anche la vita complessiva di questa collettivita`, ad esempio attraverso interessi nel mondo delle istituzioni e una partecipazione ai processi elettorali” ; “le famiglie sono attive su tutto ciò che dà un ritorno economico: questo territorio viene utilizzato soprattutto per il ritorno economico che deriva dalla attività di riciclaggio e di mimetizzazione per la stessa possibilità di svolgere attività imprenditoriali nascondendosi dietro il paravento della legalità”. Prefetto dott. Musolino.
La realtà territoriale ligure, tradizionalmente impermeabile rispetto all’azione di gruppi criminali orientati a praticarvi forme di controllo e di intimidazione, ha conosciuto una presenza criminale riferibile sia a «cosa nostra», attiva con numerose «decine» sparse sul territorio, sia alla ’ndrangheta calabrese, organizzata attraverso «locali» soprattutto a Genova e nel Ponente Ligure.
Con particolare riferimento alla ’ndrangheta, e` stata accertata l’esistenza di almeno quattro locali: Ventimiglia, Genova, Lavagna e Sarzana. Una camera di controllo a Genova ed una camera di compensazione a Ventimiglia.
Più specificatamente, la presenza mafiosa in Liguria può essere descritta come segue.
Il territorio di Genova
L’attività della criminalità organizzata è qui indirizzata per lo più alla conquista silenziosa di spazi di azione sul territorio. L’assetto dell’organizzazione risulta piuttosto variegato e riferibile sostanzialmente alle seguenti componenti:
– un gruppo di vertice riconducibile a Antonio Rampino e al suo contesto familiare, collegato ad altre realtà criminali;
– un gruppo originario di Mammola e riconducibile al clan Macrì, impegnato nella gestione dei videogiochi e nel narcotraffico;
– la fazione dissidente capeggiata da Domenico Gangemi e Savoca Giuseppe, nel cui ambito si collocano anche Pronestì Salvatore, Barbuto Angelo e Barbuto Francesco;
– la figura di Stefanelli Vincenzo, originario di Oppido Mamertina (RC), impegnato autonomamente nel narcotraffico, con i suoi compaesani orbitanti nell’hinterland milanese.
La provincia di Imperia e il Ponente ligure
Per Ponente ligure si intende la provincia di Imperia, con i comuni di Sanremo, Bordighera e Ventimiglia, confinante con la Francia ed, in particolare, con la Costa Azzurra. In queste zone vi è la presenza storica di forme di criminalità organizzata, prevalentemente la ’ndrangheta ed, in passato, anche la camorra. Imperia è la parte più esposta perchè, già dal 1947, è cominciata la colonizzazione criminale, con le famiglie Morabito, Palamara e Martone su Ventimiglia, collegate alle cosche Piromalli e Alvaro-Palamara, i De Marte, Ventre, Marcianò ed Asciutto. Con riferimento alla ’ndrangheta oggi spicca, per importanza, la famiglia Pellegrino, originaria di Seminara (RC), collegata attraverso vincoli familiari con elementi di spicco della criminalità locale e con la cosca calabrese Santaiti-Gioffrè ed, in particolare, con Barillaro Fortunato. Un breve cenno sulla criminalità che prolifera intorno al casinò di Sanremo impone di menzionare la famiglia di Tagliamento Giovanni, già appartenente al clan della camorra Zazza e Cuomo dagli anni ’80.
Il casinò di Sanremo è una società per azioni partecipata dal Comune di Sanremo e dalla Provincia di Imperia, e rappresenta, come i vicini casinò francesi di Mentone e Montecarlo, uno dei frequenti poli di attrazione per le criminalità mafiose che necessitano di reimpiegare i denari derivanti dalle attività illecite. Complesse indagini svolte nel 2009, oltre ad accertare la responsabilità di due croupier che si appropriavano di ingenti somme di denaro simulando sistematicamente un cambio di fiches per un importo di molto superiore a quello reale, hanno evidenziato la sussistenza di complicità negli organismi di controllo interno e nella amministrazione di vertice della casa da gioco. Risulta infatti accertato che, benchè i due croupier avessero violato tutte le procedure, nessuno degli addetti al controllo della sala regia ha mai sollevato alcuna contestazione: ed effettivamente le indagini hanno accertato il coinvolgimento dei direttore dei giochi del casinò, Giovannini, del suo assistente di direzione Roberto Mento e del direttore amministravo Salvatore Caronia. In particolare, il Mento percepiva una percentuale sulle provvigioni riconosciute dal casinò al porteur (procacciatore di giocatori); arrestato e sottoposto a custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere e furto aggravato in relazione alla gestione dei casinò di bordo delle navi da crociera della società di navigazione MSC, il Mento risultava avere rapporti continuo con Giovanni Tagliamento, già appartenente al clan della camorra napoletana Zaza e Cuomo dagli anni Ottanta.
Il Procuratore dott. Cavallone ha definito il Tagliamento «il punto di riferimento per ogni criminale italiano che voglia operare nel settore del narcotraffico. Anche i calabresi, quando intendono operare nella zona di Mentone o Nizza, si appoggiano a Giovanni Tagliamento, che ha assunto una posizione egemone anche da un punto di vista imprenditoriale». Inserito in una pericolosa organizzazione criminale operante in Liguria, e già raggiunto nel 2009 dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale personale e patrimoniale erogata nei suoi confronti dal Tribunale di Imperia, il Tagliamento, in un primo tempo, dagli anni Novanta, si era reso latitante, ma poi nel 2009 è stato arrestato attraverso una rogatoria eseguita con la Francia. La dott.ssa Canepa, in sede di audizione avanti alla Commissione, ha ricordato che il Tagliamento è stato arrestato in seguito ad una indagine molto significativa relativa a speculazioni immobiliari, per le quali lo stesso aveva assunto il ruolo assolutamente defilato del prestanome tipico dei boss, in quanto si era fatto assumere come dipendente di una società francese di costruzioni edili di soggetti calabresi trasferiti a Mentone. La missione eseguita in Liguria ha inoltre esplicitato che strettamente connesso al tema del casinò di Sanremo è quello del gioco legale o illegale, settore che ha destato tale particolare interesse nella criminalità mafiosa, da indurla, come si è visto, a minacciare direttamente alcuni esponenti politici di Bordighera che si erano opposti alla apertura di una sala giochi in un locale di quella città. Sul punto, il Procuratore dott. Cavallone ha infatti riferito che il volume di affari che ruota intorno ad una sala giochi «rimane un grandissimo affare, e ciò ha suscitato il grandissimo interesse della criminalità organizzata; anche se il gioco rimane lecito, il problema è che spesso alcuni soggetti vogliono eliminare gli altri concorrenti ed avere il monopolio esclusivo del settore. La vicenda dei Pellegrino nel Ponente ligure è emblematica di ciò che accade con altre organizzazioni criminali in altre zone nel nostro territorio». Un altro tema importante legato al casinò di Sanremo ed al circuito delle sale gioco, è quello della commissione dei reati di riciclaggio ed usura legata alla necessità di far fronte a perdite di gioco. Il Procuratore dott. Cavallone ha infatti ricordato che «intorno al casinò e alle case da gioco ruotano tutti quei pescecani che sfruttano i momenti di difficoltà di chi non riesce a resistere alla sirena del gioco». Pescecani che trovano così il modo per disfarsi del contante guadagnato illegittimamente (ad esempio dal narcotraffico o da altre attività criminose perpetrate dalla organizzazione criminale), e per farsi promettere in cambio interessi usurari e rilasciare a titolo di promessa di restituzioni cambiali per somme ingenti. Proprio per contenere, se non evitare, la proliferazione di simili personaggi legati a varie forme di criminalità organizzata, presso il casinò di Sanremo è stata collocata di recente una sezione distaccata della Squadra Mobile di Imperia, che valuta, anche se sommariamente, l’affidabilità sociale ed economica dei frequentatori del casinò. D’altra parte, sul territorio ligure sono state rinvenute anche situazioni opposte: vale a dire casi di istituti bancari che hanno rilasciato con estrema facilità credito ad uno o più soggetti e società, sicuri che il credito sarebbe stato onorato: il dott. Cavallone ha riferito trattarsi della Banca di Caraglio del Cuneese e della Riviera dei Fiori, che avrebbe «concesso ad Ingrasciotta Giovanni, legato al boss Matteo Messina Denaro, mutui per centinaia di migliaia di euro praticamente in assenza di qualsiasi garanzia»
Il territorio della provincia del Levante ligure
Di questo territorio fanno parte i Comuni di Lavagna (dove vive da tempo la famiglia ’ndranghetista Nucera, originaria di Condofuri, dedita all’edilizia ed allo smaltimento di rifiuti) e Sarzana (dove vivono le famiglie Romeo-Siviglia, De Masi di Roghudi, Sinopoli e Roccaforte del Greco), cittadine nelle quali l’operazione “Il Crimine” ha individuato due locali di ’ndrangheta, nonchè Chiavari e Sestri Levante. Gli altri reati commessi sono: narcotraffico, racket, gestione illegale dei videopoker, usura e favoreggiamento dei latitanti.
A La Spezia, invece, si registra, da tempo, una capillare azione di penetrazione di «cosa nostra» nelle strutture economiche che ruotano intorno ai cantieri navali.
Dal 1991 al 2012 sciolti 229 comuni per infiltrazioni mafiose
Dal mese di maggio 1991 al 31 dicembre 2012 i governi che si sono succeduti alla guida del Paese hanno emesso ben 229 provvedimenti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni e/o condizionamenti di tipo mafioso. L’esperienza di questi ventuno anni ha dimostrato quanto il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata negli enti locali sia radicato ed esteso e come lo stesso sia riuscito a diffondere tra i cittadini la percezione del predominio mafioso.
Le indicate cifre rappresentano in tutta la loro interezza la dimensione di un fenomeno cospicuo ed allarmante e che fa emergere con estrema chiarezza come nelle realtà amministrative locali si annidano i luoghi ove corruzione, minacce e violenza condizionano ed influenzano le pubbliche decisioni.
La distribuzione geografica dei 229 decreti di scioglimento vede in prima fila le Regioni meridionali, che fino all’anno 1995 hanno assorbito la totalità dei provvedimenti. A Calabria, Campania (i primi comuni sciolti furono, con D.P.R. del 2 agosto 1991, Taurianova in provincia di Reggio Calabria e Casandrino in provincia di Napoli), Sicilia e Puglia, nel 1994 si aggiunge la Basilicata, in quanto con D.P.R. del 26 gennaio viene sciolto il Consiglio comunale di Montalbano Jonico, in provincia di Matera.
Questa egemonia del Meridione si interrompe nel 1995, quando con D.P.R. del 2 maggio viene sciolto il Consiglio comunale di Bardonecchia (TO). Negli anni successivi, sino al 2011, con la sola eccezione del 2005, quando con D.P.R. del 13 dicembre, il Consiglio dei Ministri delibera lo scioglimento dell’Amministrazione comunale di Nettuno (Roma), vengono interessate dai provvedimenti di scioglimento soltanto le regioni Calabria, Campania e Sicilia.
Nell’ultimo biennio si assiste, invece, ad un notevole cambio di tendenza, tra i 30 provvedimenti emessi, il 13,3 per cento di essi vede coinvolte quattro amministrazioni del Settentrione. I quattro consigli comunali sciolti sono due liguri, Bordighera, il provvedimento è stato successivamente annullato dal Consiglio di Stato, e Ventimiglia, in provincia di Imperia e due piemontesi, Leinì e Riolo Canavese in provincia di Torino.
Esaminando i dati disaggregati per regione si osserva che il primo posto è occupato dalla Campania, con 91 amministrazioni comunali sciolte, seguita dalla Calabria con 63, dalla Sicilia con 61, dalla Puglia con 7, dal Piemonte con 3 e dalla Liguria con 2, chiudono il Lazio e la Basilicata con un solo provvedimento.
Le province di Napoli, Reggio Calabria, Caserta e Palermo sono le più colpite da provvedimenti di scioglimento. Per dare un’idea della rilevanza del fenomeno delle infiltrazioni mafiose in queste province, basti pensare che su un totale di 375 comuni, ben 140 sono stati raggiunti da un provvedimento di scioglimento per infiltrazioni mafiose, raggiungendo un dato percentuale intorno al 37%.
I dati aiutano ad evidenziare come le infiltrazioni mafiose nei governi locali non siano un fenomeno marginale o da sottovalutare. Al contrario, in alcune aree, purtroppo molto estese del nostro Paese, il condizionamento delle amministrazioni locali da parte dei gruppi criminali sembra essere il modo ordinario del funzionamento della politica.
Nell’attuale legislatura (29 aprile 2008 – 31 dicembre 2012) sono stati sciolti 49 consigli comunali: la Calabria e` stata interessata da 24 provvedimenti, a fronte dei 12 della Campania, dei 9 della Sicilia e dei due provvedimenti a testa che hanno raggiunto consigli comunali delle regioni Liguria e Piemonte.
Dall’esame dei dati emergono, in particolare, due elementi di rilievo rispetto agli anni precedenti.
Il primo elemento è rappresentato dallo scioglimento, in soli 14 mesi, di quattro consigli comunali del Nord Italia. La circostanza assume maggior rilievo se si pensa che nei venti anni precedenti nelle regioni settentrionali era stata sciolta per infiltrazioni mafiose solamente l’Amministrazione comunale di Bardonecchia (TO). Questo dato rappresenta, soprattutto, una sorta di conferma di come le organizzazioni criminali non considerino le regioni del Nord solo un luogo di transito occasionale per i propri affari, bensì una sorta di luogo non secondario nella articolazione e gestione del proprio potere in ambito nazionale.
Il secondo elemento, riguarda la conferma del potere assunto in quest’ultimi anni dalla ’ndrangheta rispetto alle altre organizzazioni mafiose. A testimonianza di ciò, si può osservare come nel periodo preso ad esame gli scioglimenti che hanno interessato la Calabria si siano attestati prepotentemente in testa alla classifica con 24 provvedimenti. Un numero destinato a salire a 28 se si aggiungono i quattro comuni del Nord Italia, Bordighera, poi annullato dal Consiglio di Stato, e Ventimiglia, in provincia di Imperia, e Leinì e Rivarolo Ticinese, in provincia di Torino, dove a condizionare la politica locale è sempre stata la ’ndrangheta.
Anche durante l’attuale legislatura si è assistito, da parte degli amministratori raggiunti da provvedimenti di «scioglimento», ad un diffuso ricorso al Giudice amministrativo, pertanto non appare fuori luogo ricordare che il Consiglio di Stato ha riconosciuto che la natura del provvedimento di scioglimento, ovviamente di carattere straordinario, non è di tipo sanzionatorio, ma preventivo. Questo comporta che quale presupposto per lo scioglimento si richieda solo la presenza di “elementi” su “collegamenti” o “forme di condizionamento” che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata, che non devono necessariamente concretarsi in situazioni di accertata volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, nè in forme di responsabilità personali, anche penali, degli amministratori.
In particolare a parere del Consiglio di Stato, lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non esige nè la prova della commissione di reati da parte degli amministratori, nè che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili; sono sufficienti, invece, semplici “elementi” (e quindi circostanze di fatto anche non assurgenti al rango di prova piena) di un collegamento e/o influenza tra l’amministrazione e i sodalizi criminali, ovvero è sufficiente che gli elementi raccolti e valutati siano “indicativi” di un condizionamento dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata.
(Fonte Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia)
I nuovi boss. Mafia, ‘ndrangheta e camorra. Come sono cambiate Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra negli ultimi anni, dopo arresti importanti che ne hanno decapitato i vertici? Esistono ancora i boss o il fenomeno mafioso si è frammentato in mille realtà locali che controllano solo piccole parti del territorio? O, viceversa, è diventato globale, allungando i suoi tentacoli ben al di là dell’Italia? E chi sono oggi i capi delle cosche?