
Erano due giovani imprenditori informatici, oggi sono due “potenziali” milionari: Dario Pizzato e Michele Tegon, trentottenni veneziani, hanno creduto nei bitcoin fin dal 2010, sono tra i maggiori produttori di “criptomoneta” in Italia ed ora vogliono trasformare la loro passione in lavoro. La valuta virtuale, che non è emessa né garantita da alcuna banca centrale, sta vivendo un vero e proprio boom con quotazioni volate anche sopra i mille dollari. Molti economisti restano scettici e l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan ha parlato di ‘bolla’ speculativa.
Amici fin dai tempi della scuola, i due imprenditori veneti a 25 anni hanno fondato una società di “digital signage”, una forma di comunicazione i cui contenuti vengono mostrati attraverso schermi elettronici in luoghi pubblici. “A fine 2010 lessi su Internet un articolo sui bitcoin – racconta Pizzato -. La nostra società aveva una buona potenza di calcolo, così decidemmo di provare a ‘minare’ bitcoin (produrli attraverso complessi algoritmi generati dal computer, ndr)”. I due giovani imprenditori veneziani sono diventati in poco tempo i più forti produttori italiani, accumulando una fortuna. “Dopo sei mesi avevamo un controvalore di 18 mila dollari, dopo altri sei mesi abbiamo superato i 200mila”, ricorda Pizzato. All’inizio bastava un computer semplice per “minare”, poi è cambiato il modo di produrre le monete elettroniche: servivano hardware specifici. “Anche noi abbiamo reinvestito i bitcoin per comprare i nuovi hardware e rimanere competitivi – continua Pizzato -. Oggi però è diventato difficile ‘minare’ perché la concorrenza è agguerrita. Abbiamo quindi deciso di spostarci sui servizi, per permettere ai non addetti ai lavori di affacciarsi al mercato della criptomoneta. A gennaio lanceremo una start-up: offriremo consulenza a chi vuole provare a produrre bitcoin e metteremo il nostro hardware a disposizione di chi vuole fare ‘mining’ senza investire necessariamente soldi per comprare le macchine”. I due giovani imprenditori non si fermeranno qua. Il secondo passo cui cui stanno già lavorando è un sistema di micropagamento. Considerato che in alcuni paesi del mondo la moneta virtuale inizia ad essere accettata da diverse aziende, mentre poche settimane fa è stato aperto il primo ‘sportello bancomat’ di bitcoin a Vancouver, in Canada, richiesto in altri venti Paesi, dall’Irlanda all’Australia. “Vorremmo fornire una soluzione di pagamenti in bitcoin per le piccole spese quotidiane – spiega Pizzato -. Abbiamo un’applicazione in stato avanzato di realizzazione per una piattaforma per smartphone in grado di trasferire dollari, euro e bitcoin durante le transazioni nei negozi”. Questo permetterebbe alla comunità che oggi ha 13 miliardi di dollari in bitcoin in tasca di spenderli nel mondo reale.
*asud’europa – Settimanale di politica, cultura ed economia realizzato dal Centro di Studi e iniziative culturali