Secondo quanto rivelato dal report Philips “Future Health Study 2016” condotto su 2 mila pazienti di 13 Paesi tra i 18 e gli 80 anni, l’85% degli italiani cerca risposte mediche sul web, più del 50% parla via Internet col proprio dottore, il 72% preferisce avere consulti online, e circa una persona su due controlla la propria salute tramite un dispositivo. Continue Reading
medici
Big Pharma corrompe tutti
Denaro fresco pompato nell’apparato circolatorio della sanità italiana. Per la prima volta le aziende produttrici obbligate a mettere online i contributi versati a camici bianchi, società scientifiche e associazioni di malati. Un giro milionario.
In tanti danno i soldi e in tantissimi li ricevono, prima di tutto decine di migliaia di medici. Poi ci sono le loro società scientifiche e gli ospedali dove lavorano ma anche le aziende che organizzano gli incontri, le agenzie di viaggio, chi si occupa della formazione e pure le associazioni di pazienti. L’industria così arriva ovunque: a chi decide che farmaco usare per una data patologia, a chi prescrive e a chi di quelle ricette è il destinatario. Si va da piccoli contributi a bonifici da centinaia di migliaia di euro. Tutto è in regola, previsto dalla legge. Le spese per “ricerca e sviluppo” stanno fuori, sotto una voce diversa. Continue Reading
Il venditore di medicine. Così le multinazionali fanno miliardi
“In un Paese civile non ci sono malati. Ci sono solo pazienti”. E in un Paese civile non ci sono medicine. Ci sono solo prodotti farmaceutici. Prodotti inventati apposta per patologie altrettanto inventate, prodotti che vanno pubblicizzati, spinti, venduti, anche (e soprattutto) in maniera criminale. Antonio Morabito decide di raccontare con un film (in uscita oggi) parte di questa criminalità, costruendo una sceneggiatura incentrata sul reato di comparaggio. A beneficio di quelli che si staranno chiedendo “e che roba è?”, e anche per quelli che fanno finta di saperlo, il comparaggio è un accordo illecito tra industrie farmaceutiche e medici/farmacisti, che prevede la prescrizione di specifici prodotti farmaceutici in cambio di un compenso.
Un compenso che può essere rappresentato da un iPad (attrezzatura utile per la professione, eh! Badate bene!), da una cena a base di pesce e vini pregiati o da una settimana di soggiorno presso la “spiaggia dei dottori”. “Ricordatevi: qui nessuno è intoccabile. Buon lavoro”. O meglio, bon voyage!
Apro (e chiudo) una piccolissima parentesi. Rivelava Peter Rost, ex vicepresidente di marketing della Pfizer (che è quella del Viagra, tanto per citare un “prodotto farmaceutico” famoso) nel 2009: “Il settore farmaceutico è molto potente e se qualcuno prova a parlare apertamente di quello che succede in quel mondo viene letteralmente mandato via a calci. Ha un potere sulla politica molto simile a quello della mafia». Basterebbe pensare al fatto che l’industria farmaceutica è quella che, dal 1998 ad oggi, ha speso di più per influenzare la politica statunitense.
2.501.745.267: non è un numero di telefono internazionale. Sono i dollari spesi per attività di lobbying nei gloriosi Stati Uniti d’America. Le lobby, queste oscure materie. Non sono creature mitologiche, eh? Esistono per davvero, pure in Italia. E hanno in mano il mondo.
Date queste premesse, tanto assurde quanto reali, bisogna ammettere che è un vero e proprio atto di coraggio quello che Morabito fa. Dare un volto, nudo, crudo e credibile, a qualcosa che sembra essere trattato dai media come se fosse la compagnia dell’anello di Tolkien, bè ammettiamolo, fa paura. E non mi riferisco solo al volto di Claudio Santamaria, che domina la sceneggiatura calandosi nei panni sudici e sudati di un informatore scientifico, senza scrupoli o rimorsi. O di quello di Isabella Ferrari, capa stronza di turno. O di quello di Marco Travaglio (che uno si chiede, boh, che c’azzeccherà mai?) primario di oncologia incorruttibile, soltanto in apparenza. Perché i volti qui diventano parole; diventano inquadrature secche, essenziali; diventano ritmo serrato e claustrofobico.
Morabito si addentra nei corridoi degli ospedali, staziona nelle sale d’attese per sviscerare i segreti, le nomenclature – sapevate che i medici vengono classificati in base ai numeri dei pazienti? Ci sono Scrittori, Regine e Squali, per esempio, e poi c’è la regola dell’undici ma non ve la svelo – e il modus operandi di un’industria bellica. Perché i farmaci sanno fare la guerra e non risparmiano nessuno. Men che meno le cavie.
“La conosci la storia della doppia impossibilità?/No, qual è?/Due topi sono chiusi in gabbia con un pezzo di formaggio che nasconde una scarica elettrica. Se mangiano muoiono, se non mangiano muoiono lo stesso. È la doppia impossibilità./E come va a finire?/ Che i topi impazziscono e cercano di mangiarsi l’un l’altro”.
C’è da capire che il tizio in giacca e cravatta, con la valigetta in mano, quello che vi passa davanti mentre siete in fila dal vostro amato medico di famiglia, il topo fregato dalla storia della doppia impossibilità, è solo un capro espiatorio, il signor Malaussène del caso. Un burattino che Mangiafuoco può sostituire in qualsiasi momento e che, se vuole sopravvivere e guadagnare, deve fare il lavoro sporco. Per conto di altri. Per conto della compagnia dell’anello. Morabito, questo, lo sa e lo sottolinea magistralmente in ogni momento.
Perciò, se dopo aver visto questo film, ogni qualvolta ne incontrerete uno, vi verrà voglia di lanciargli addosso le riviste di gossip che la segretaria del vostro medico, cordialmente, vi ha piazzato in mano per ingannare il tempo, ripensateci. Fatevelo amico, piuttosto, e, se ci riuscite, fatevi raccontare qualche retroscena. La vostra salute ve ne sarà grata. In eterno.
Chissà se Mamma Rai, che ha anche, in parte, prodotto questo piccolo e audace film di denuncia, lo manderà mai in onda su RaiUno, magari al posto di Un medico in famiglia. Tzè. È più probabile che se lo tenga chiuso in un cassetto, pieno di polvere e ragnatele, insieme ad altri film/documentari che non le conviene mostrare al pubblico/popolo caprone. Popolo che Trilussa, più amabilmente, chiamava cojone.
(Fonte popoff.globalist)
Cari medici non siete voi le vittime della malasanità!
Grandissimo scalpore intorno al recente spot “Medici, pazienti e avvoltoi” realizzato dall’Associazione Amami (Associazione Medici Accusati di Malpractice Ingiustamente), uno spot tv per denunciare gli “avvoltoi” che speculano su malati e pazienti, spingendoli a denunciare qualsiasi caso di presunta malasanità e promettendo risarcimenti assicurati. La replica di Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale del Codici, Centro per i Diritti del Cittadino, che ricorda ai medici che “Sono i pazienti, non voi, le vere vittime della malasanità. Non si può più continuare a difendere l’operato dei medici, quando sbagliano devono pagare”.
L’attesa aveva raggiunto livelli rilevanti e forse le aspettative erano cresciute in maniera eccessiva. Il conto alla rovescia per la messa online dello spot aveva infatti generato curiosità da più parti, ma quando il filmato è stato mandato in onda, la delusione, almeno per alcuni, è stata più grande del previsto. Lo spot voleva ridare dignità al mestiere dei medici. Codici si chiede: è riuscito nell’intento? E’ servito a qualcosa? Probabilmente no, se consideriamo che il vero protagonista di quei minuti è un rapace e che il testo dello spot mette solamente in guardia da soggetti senza scrupoli che promettono arricchimenti facili. Lo spot, infatti, manca completamente di un approccio informativo e non si affrontano importanti argomenti che avrebbero potuto influire sul giudizio del mestiere dei medici: stiamo parlando di come migliorare la sanità italiana, delle proposte dei medici per creare un sistema più efficiente, con meno ritardi, tempi più brevi e soprattutto un minor numero di errori che portano alle gravi conseguenze che tutti purtroppo conosciamo. Ma niente di tutto ciò è apparso nello spot.
Oggi la sanità non gode di buona reputazione, ma le motivazioni non si ritrovano in ciechi pregiudizi, quanto in concreti elementi problematici che i cittadini vivono sulla propria pelle quotidianamente. Si pensi al problema delle liste di attesa, delle infezioni ospedaliere, ai fin troppo numerosi casi di malasanità. Allora, forse i medici dovrebbero fare un passo indietro, prendersi le loro responsabilità e compiere il proprio lavoro serenamente perché, se ci si impegna e si lavora onestamente, perché mai si dovrebbe aver paura delle denunce?
In realtà, la situazione odierna vede una sempre maggiore tutela nei confronti della categoria dei medici, che va a discapito dei pazienti, sempre più spesso rimasti soli di fronte ai tragici episodi di malasanità. A tal proposito consideriamo il DDL 1134, palesemente volto a deresponsabilizzare i medici: “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e di responsabilità in ambito medico e sanitario”. Non è la prima volta che la classe politica si inchina al potere delle lobbies, mettendo in atto manovre finalizzate a deresponsabilizzare i sanitari. Per questo dalla campagna del Codici “Indignamoci, ci scippano la salute e la dignità”, oggi nasce “Non siete voi le vittime!”, contro quei medici che si sentono facili bersagli di ingiuste accuse da parte dei pazienti. Il disegno di Legge 1134, d’iniziativa del senatore Amedeo Bianco, nonché Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici, è fortemente sbilanciato a favore della categoria. È una legge fatta in casa, visto il ruolo del Presidente Bianco, che non ha rispetto delle vittime della malasanità e non tutela i pazienti. Il ddl è fatto da un medico a favore dei medici.
“L’Associazione Codici continua e rafforza il suo impegno a tutelare le vere vittime della malasanità – commenta Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale del Codici – La nostra non è una caccia alle streghe, ma una giusta difesa di chi subisce le conseguenze di comportamenti negligenti. Per questi abbiamo lanciato la campagna “Le vittime non siete voi!”, che raccoglie le storie di malasanità sparse in tutta Italia, che ancora oggi attendono giustizia”.
Autismo: un bambino su 50 sviluppa la malattia
Non credo di averlo scelto. È capitato credo per caso e, dovessi rinascere, non lo rifarei per tutto l’oro del mondo ma il fatto è che il mio mestiere è quello di scienziato. Da questo mestiere ho ricavato soddisfazioni soverchiate da un sacco di guai dovuti principalmente alle scoperte fatte con mia moglie riguardanti la patogenicità delle micro e nanopolveri e alla mia cocciuta incapacità di distorcere ciò che è oggettivo.
Nel corso di ricerche molto più ampie, tra mille difficoltà il mio laboratorio è riuscito ad analizzare 23 vaccini diversi trovandoli tutti e 23 inquinati in maniera che è impossibile non definire preoccupante da particelle solide, inorganiche, non biodegradabili e non biocompatibili. Quella roba è capace – e noi l’abbiamo dimostrato al di là di ogni dubbio addirittura dirigendo due progetti di ricerca comunitari – di finire dovunque nell’organismo e d’indurre una lunga serie di malattie. Finire dovunque significa anche nel sistema nervoso centrale, nel cervello, e di questo abbiamo delle “belle” fotografie scattate al microscopio elettronico.
Ora, avere delle polveri inorganiche nel cervello non è cosa augurabile. Credo che tutti abbiano sentito dire che malattie come il Parkinson e l’Alzheimer hanno come responsabili quanto meno, se non certi, molto sospetti proprio i metalli pesanti, e di questi noi abbiamo trovato un ragguardevole campionario nei vaccini analizzati. Tutti e 23 i vaccini analizzati. Il che non significa necessariamente tutti i vaccini esistenti e tutti i lotti prodotti, ma 23 casi su 23 costituiscono una serie di casualità più rare di quanto non sia vincere il primo premio alla lotteria di Capodanno per 23 anni di seguito.
Da scienziato, non importa di quale levatura, io ho imparato come dovrebbero funzionare le cose. Mi riferisco al concetto scientifico di che cosa è vero, che cosa è probabile, che cosa è possibile e che cosa è meritevole di approfondimento. Purtroppo ho imparato pure che se la Scienza (e lo scrivo con l’iniziale maiuscola) in sé è immacolata, tutt’altro che tali sono alcuni dei suoi sacerdoti. Di sicuro, troppi. E sono proprio questi, blasfemi, simoniaci, prostituti, a riscuotere la maggiore attenzione e il maggiore credito a livello generale. Il motivo è semplice: sono funzionali ad un sistema in cui la Scienza non si serve ma la si usa. Anzi, la si violenta per i propri non certo nobili interessi.
Uno dei tanti problemi che destano per forza perplessità in chi li osservi è la crescita apparentemente incontrollabile di quella malattia terribile che è l’autismo. Se un tempo, e parlo di pochi decenni fa, si trattava di qualcosa di raro, tanto che io non avevo mai visto un paziente se non al cinema (il film Rain Man), ora mi capita con una frequenza allarmante d’incrociarmi con dei casi. Nella città in cui vivo – Modena – la famiglia che abita accanto ad un mio collaboratore ha due figli autistici, il che, credo, non appartiene a quella che dovrebbe essere la norma. Un amico modenese è padre di un altro. Un amico bolognese di un altro ancora e così ne è madre un’amica marchigiana.
Come spesso accade dell’Italia si sa poco ma chi legge le statistiche americane scopre che oggi un bambino su 50 sviluppa quella malattia e, credetemi, si tratta di numeri che fanno spavento. Un bambino affetto da autismo significa, oltre tutto, una famiglia stravolta e l’angoscia di non sapere che fine farà quel bambino quando, diventato adulto, perderà chi si prende cura di lui perché questi, per forza di natura, moriranno.
Io non ho le prove ma, da scienziato, i sospetti ce li ho. Sospetti, non certezze, ma i sospetti servono per investigare e l’investigazione deve essere onesta.
Il mio sospetto è legato all’inquinamento in generale, un fenomeno autoprodotto di un’entità enorme con cui non ci siamo mai confrontati prima, ma mi è impossibile non pensare ai vaccini, preparati di cui si fa un abuso perfino grottesco, non esitando a dipingere come gravi malattie del tutto benigne quando non ad inventare pandemie. Non voglio entrare in discussioni circa la loro efficacia ma mi si permetta di dubitare che iniettare pezzetti d’acciaio, di Piombo o d’Alluminio come abbiamo trovato noi porti benefici. Se scalogna vuole che quella roba finisca al cervello – e si tratta veramente di casualità imprevedibili – chi può affermare che non si tratti dell’innesco dell’autismo? Ricerche serie non ne sono mai state fatte, e questo per molte ragioni, la prima delle quali è il business colossale di cui i vaccini sono protagonisti: una cornucopia inesauribile su cui lucrano non solo le case farmaceutiche ma i tanti medici che vaccinano a cottimo e i politici che, legiferando o acquistando prodotti per un’intera nazione, muovono capitali immensi. Malauguratamente gli organi che dovrebbero controllare fanno tutt’altro. È così che si vaccina alla cieca senza rispetto per la persona, per la Medicina e persino per la legge, per esile che la legge sia, e si veda, per tutti e tre i casi, l’assurdità biologica delle vaccinazioni esavalenti praticate ai neonati.
Che fare? La Scienza, ma anche solo il più comune buon senso, propongono la soluzione più ovvia: uno studio a livello planetario senza interferenze. Certo, chi intasca quattrini a palate non ne sarebbe contento e avrebbe più di un motivo per temere che la gallina dalle uova d’oro s’isterilisca. Ma c’è di mezzo la salute e delle case farmaceutiche, dei cottimisti e dei politici d’assalto non c’importa un fico secco.
L’autismo è una piaga montante a velocità incontenibile – il 13% all’anno – e i vaccini, almeno così come sono prodotti, controllati e utilizzati oggi, devono per forza sedere nel banco degl’imputati. Colpa grave, colpa lieve o nessuna colpa lo dovranno stabilire i fatti nudi e crudi, spogliati delle stupidaggini e delle menzogne palesi che ci vengono propinate fidando nella credulità popolare e non peritandosi nemmeno di ricorrere a vere e proprie minacce e ricatti morali: se non vaccini tuo figlio, sei un criminale. E se fosse vero l’esatto contrario?
Il 20 aprile 2011, senza troppo clamore, gli Stati Uniti hanno ammesso che i vaccini avevano provocato in una ventina d’anni 101 casi d’autismo. Quelli sono i casi su cui non è nemmeno possibile discutere, ma quanti altri casi sono nel dubbio? In più, nello stesso periodo, lo stesso comunicato stampa americano rivela che 2.699 bambini sono morti o sono restati handicappati per il resto della loro vita a causa delle vaccinazioni. Ancora una volta, quelli sono i casi sui quali non si possono avanzare dubbi. E gli altri?
Io non mi spingo a condannare, ma voglio sapere. Voglio perché è un mio diritto e perché voler sapere fa parte inscindibile dell’etica che mi hanno insegnato quando sono stato così imprevidente da lasciarmi diventare uno scienziato, non importa di quale livello. E voglio sapere perché la guerra senza esclusione di colpi combattuta fianco a fianco da Big Pharma e dai cosiddetti politici a suon di falsificazioni evidentissime non può che mettermi in condizione di sospettare.
(Fonte Dott. Stefano Montanari)