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Trasformare i rifiuti alimentari in mangimi

rifiuti alimentari

Nel mondo un terzo del cibo prodotto per il consumo umano va perduto o viene gettato via, in totale 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, e la trasformazione alimentare produce una grande quantità di tali rifiuti. I prodotti ortofrutticoli presentano tassi di spreco più elevati rispetto a qualsiasi altro alimento. Ciò comporta un grave sperpero di risorse, dall’acqua al suolo, all’energia, alla manodopera e al capitale.

Entro il 2050 si prevede un aumento della domanda globale di prodotti alimentari del 70%, mentre un forte aumento nell’uso della biomassa eserciterà a sua volta pressioni sull’agricoltura.

L’Unione Europea sta investendo più di 4 miliardi di euro in ricerca e innovazione per una bioeconomia europea in grado di sfruttare al meglio le nostre risorse biologiche rinnovabili. L’agricoltura è una componente fondamentale per assicurare la produzione alimentare, garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali e sostenere lo sviluppo nelle zone rurali.

L’UE produce il 18% delle esportazioni alimentari mondiali, per un valore di 76 miliardi di euro. Tuttavia, nell’UE e altrove, i rifiuti agricoli frenano gli agricoltori e costano denaro ai contribuenti (tra 55 e 99 euro per tonnellata).

Il progetto NOSHAN, finanziato con poco meno di 3 milioni di euro dall’UE, trasformerà i rifiuti alimentari, in particolare frutta, verdura e latticini, in mangimi a basso costo, mantenendo al contempo basso il consumo energetico.

L’équipe, costituita da centri di ricerca, da un’università e da imprese di sei paesi dell’UE Spagna, Belgio, Italia, Germania, Francia, Paesi Bassi e Turchia, ha iniziato nel 2012 a valutare il valore di diversi tipi di rifiuti, realizzando una banca dati di potenziali ingredienti dei mangimi, e al termine del progetto, previsto per il 2016, avrà inoltre individuato le migliori tecnologie per ricavare e migliorare le sostanze utili da ogni tipo di rifiuti.

I processi elaborati dal progetto aiuteranno le aziende agroindustriali a recuperare le calorie contenute negli alimenti gettati via e l’energia impiegata per produrli, e porterà inoltre a una significativa riduzione del consumo idrico (i rifiuti alimentari sono responsabili di oltre un quarto del consumo totale mondiale di acqua dolce). Riducendo la necessità di produrre separatamente i mangimi, l’approccio del NOSHAN potrebbe attenuare la crescente concorrenza tra la produzione di alimenti e quella di mangimi, che necessitano entrambe di suolo e acqua. Ciò contribuirebbe, a sua volta, a creare nuovi posti di lavoro “verdi” nei settori della raccolta e del trattamento dei rifiuti e in quello della produzione di mangimi.

Inoltre studiando degli ingredienti funzionali dei mangimi derivati dai rifiuti alimentari atti a soddisfare esigenze specifiche degli animali, quali la salute e la prevenzione delle malattie. Ad esempio, i ricercatori attualmente stanno individuando fibre e peptidi (composti chimici) funzionali nei rifiuti. Questi verranno poi utilizzati per sviluppare mangimi specifici per i suini e il pollame. La sicurezza è garantita grazie a un’intensa attività di monitoraggio, che copre ogni passaggio dai rifiuti grezzi al prodotto finale.

La bioeconomia in Europa ha un valore di 2.000 miliardi di euro e rappresenta 22 milioni di posti di lavoro, motivo per cui è il fulcro di Orizzonte 2020“, ha dichiarato il commissario per la ricerca, l’innovazione e la scienza Máire Geoghegan-Quinn.

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La carne sotto processo

 

Gli italiani mangiano sempre meno carne, soprattutto rossa, di manzo. Colpa della crisi, certo, e poi dell’aumentata consapevolezza dei pesanti costi ambientali degli allevamenti, e dei possibili danni alla salute derivanti da un consumo che ecceda le due porzioni settimanali. Ma forse non solo. Forse la colpa va attribuita anche alla mucca pazza, ai polli ripieni di antibiotici, alle uova e ai maiali tedeschi e irlandesi alla diossina, agli hamburger americani con salmonella incorporata, e a molti altri casi che hanno suggerito che quelle fettine così rosee, quei polli tutti uguali e così economici, quei salumi dall’aspetto invitante nascondano in realtà sostanze chimiche, magari non sempre salubri. Eppure, le norme per la produzione di carni e insaccati sono molto severe, così come i sistemi di allerta, che mostrano di funzionare abbastanza bene, se è vero che le crisi verificatesi negli ultimi anni nei singoli Paesi non si sono allargate ad altri membri di un mercato sempre più globale. Ma se le autorità vigilano, a inquietare i consumatori restano le notizie su adulterazioni e contaminazioni. Vediamo i punti più critici.

Prima che sia bistecca

La bistecca, così come la si acquista, deve essere “pulita”. Come spiega François Tomei, direttore generale di Assocarni: “La legge prescrive che dal macello fino al punto vendita vengano mantenuti i quattro gradi per la carne fresca e i due gradi per quella macinata, e basta”. Non sono dunque ammessi né conservanti né tantomeno coloranti o altro. Ma cosa accade prima del macello? Le maggiori preoccupazioni riguardano i mangimi come l’eventuale somministrazione di farmaci e ormoni. Pratiche vietate, come ricorda lo stesso Tomei: “I mangimi sono sempre di origine vegetale: la somministrazione di proteine animali è vietata in Europa da più di dieci anni. Da noi i controlli sui mangimi funzionano, come dimostra il fatto che tutti gli scandali che si sono susseguiti negli ultimi anni non hanno mai coinvolto animali allevati in Italia”. Anche i farmaci non dovrebbero essere dati se non in caso di necessità, come chiarisce ancora Tomei: “Sono somministrati solo sotto stretto controllo del veterinario, che deve annotare quanto prescritto in un registro specifico e attendere un periodo fissato prima dell’invio dell’animale al macello, per garantire che i residui del farmaco siano scomparsi. E anche in sede di macellazione ci sono controlli: qualora siano rinvenuti residui di farmaci, l’animale è subito escluso, e qualora siano trovate sostanze illecite scatta la segnalazione alle autorità giudiziarie”. E per quanto riguarda l’import: arrivano in Italia 400 mila tonnellate di carni bovine all’anno quasi esclusivamente dai Paesi dell’Ue e quindi sottoposte alle stesse norme igienico-sanitarie applicate da noi.

Ma basta un numero a inquinare questa agiografia della fettina. Mentre le percentuali di capi anomali riscontrati dai controlli standard si aggirano attorno allo 0,1-0,2 per cento, quando si vanno a fare studi specifici molti più animali sono fuori norma, tra il 20 e il 40 per cento. Le ragioni le spiega Elena Bozzetta, ricercatrice del laboratorio di SC Istopatologia e Test Rapidi dell’Istituto zooprofilattico del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria: “Ci sono almeno due ordini di problemi. Il primo è che gli allevatori disonesti hanno imparato ad assortire piccolissime quantità di molte sostanze diverse, a volte decine, tra le quali ormoni, antidiabetici, antibiotici, e altro ancora, e questo rende molto difficile identificarle, anche perché alcune di esse come certi ormoni spariscono dopo poche ore, ed è pertanto sufficiente sospenderli un paio di giorni prima della macellazione per non trovarne più traccia. E poi dobbiamo ammettere che i controlli ufficiali vanno alla ricerca solo di singole sostanze e oggi non sono più adeguati”.

Per scovare le adulterazioni, però, l’Istituto, insieme con il Centro di Orbassano nato per studiare il doping degli atleti delle Olimpiadi invernali del 2006 e riconvertitosi a questo genere di analisi, ha messo a punto un metodo sempre più usato in Italia e in attesa di un riconoscimento ufficiale a livello europeo. Spiega ancora Bozzetta: “Per capire se un animale è stato trattato con ormoni e farmaci che ne accelerano lo sviluppo si deve fare l’analisi istologica di tessuti come quelli mammari, del timo, della prostata. Se un vitello ha un tessuto da adulto è evidente che qualcosa non va”. Applicando questo metodo a un campione di 200 capi, i ricercatori piemontesi hanno trovato anomalie in più di un animale su tre. “In Italia il metodo è riconosciuto dal ministero”, aggiunge Bozzetta: “Ma fino a quando non sarà recepito a livello europeo non potrà portare al sequestro dei capi anomali”. Ci sono alcuni gruppi italiani come la Coop che eseguono questi test in proprio, per fornire al consumatore carni certificate, e lo stesso fanno alcuni gruppi emiliani che allevano animali da latte per il parmigiano. Continue Reading

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