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Il doping in mano alle Mafie. Un giro d’affari di 50 miliardi l’anno

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Dietro la filiera dei farmaci contraffatti c’è la criminalità perché i ricavi sono enormi. Un euro investito su uno stupefacente rende 16 volte, sui farmaci 2500. Il giro d’affari accertato è di 50 miliardi l’anno. Il doping è reato penale che nuove gravemente alla salute, è il lato oscuro dello sport. Da Il Messaggero.

Dai palazzi del potere ai campi di calcio. Passando per le pista in terra battuta. I tentacoli della mafia non affondano solo nel cuore delle istituzioni, ma spalancano anche gli armadietti dei farmaci vietati che gonfiano le gambe degli atleti e smuovono un volume d’affari da capogiro. Il grido d’allarme arriva direttamente dal generale dei Carabinieri e comandante dei Nas, Cosimo Piccinno, intervenuto ieri al convegno Coni ‘Lotta al doping, peculiarità normative e strategie di contratti: aspetti giuridici e operativi: «Ci preoccupa il dato in crescita legato ai medicinali illegali contraffatti, anche attraverso la vendita on-line. Dietro la filiera dei farmaci contraffatti c’è la criminalità perché i ricavi sono enormi. Un euro investito su uno stupefacente rende 16 volte, sui farmaci 2500. Il giro d’affari accertato è di 50 miliardi l’anno». Niente più incontri in zone isolate con la paura di essere colti in flagrante: oggi, a fare da raccordo tra chi vuole comprare un farmaco e chi lo vende, sono gli angoli buii del web, difficili da scovare. «È nata la figura del cyber pusher», ha detto il generale di divisione Piccinno, che ha anche parlato espressamente di «mafia, n’drangheta, mafia giapponese, cinese, russa”. Le farmacie online sono “circa 40mila – ha spiegato il militare – l’acquisto di farmaci è anonimo, facile, e i prezzi economici, abbattuti anche del 60%-70%. Non c’è supervisione e c’è un elevato rischio contraffazione». Importante da questo punto di vista la politica dei controlli: «Oggi la pianificazione avviene con scelta mirata, dal gennaio 2013 grazie all’attività di militari qualificati con master “ispettore investigativo antidoping”. Questi i dati: 4397 denunciati, 612 arrestati, oltre 2 milioni e mezzo di fiale sequestrate. Con indicazione dei NAS la percentuale di positivi sale da 2% a circa il 13%».

LE ISTITUZIONI. La lotta al doping è un argomento che sta molto a cuore al Presidente del Coni, Malagò che da quando è stato eletto si è sempre esposto in prima linea: «L’argomento lo sto aggredendo, nessuno lo ha fatto come l’ho sto facendo io, anche nelle scuole e nelle università». Ma il mondo dello sport per lottare in modo efficace ha bisogno di un aiuto esterno ribadisce il numero uno dello sport italiano: «Io penso che nel mondo dello sport, tante leggi dello stato dovrebbero cambiare perché sono anacronistiche e forse anche sbagliate, una ad esempio quella del professionismo. In attesa che questo un giorno si possa avverare, io penso che la parola integrazione (l’obiettivo del Coni è di integrare il sistema antidoping italiano con nuove professionalità, ndr) vuol dire molto, non è abbastanza ma ci saranno novità salienti in questo senso».

I NUMERI.  Basta scrivere comprare anabolizzanti su un qualsiasi motore di ricerca che immediatamente spuntano 80 mila risultati in italiano. Ciclismo, atletica, calcio, tennis il fenomeno del doping arriva ovunque e non si persegue solo il campione affermato ma anche il soggetto che va nelle palestre, per dare un messaggio diverso. Dal 1° luglio 2013 al 30 giugno 2014 sono stati disposti 116 deferimenti, negli ultimi 5 mesi ben 103. Numeri che vengono snocciolati dal Procuratore Capo della Procura Antidoping del CONI e Vice Procuratore Generale della Corte dei Conti, Tammaro Maiello che poi ha spiegato come siano state valorizzate anche le tecniche di audizione: «Prima l’atleta veniva e raccontava la sua versione. Oggi vengono preparate domande circostanziate, sulla base della lettura approfondita degli atti. In questo ambito abbiamo utilizzato anche l’uso del questionario con persone all’estero». Proprio come è avvenuto recentemente negli interrogatori di Alex Schwazer e Carolina Kostner. Un’idea arriva direttamente da un ex atleta come Massimiliano Rosolino: «Bisognerebbe fare l’antidoping subito dopo la gara, rinviando al giorno successivo la premiazione».

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Immigrazione e Mafia: 4000 euro per attraversare lo stretto di Gibilterra

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Invece di rischiare la vita per giorni nel Mediterraneo su barconi a rischio di affondare da un momento all’altro, esiste un’alternativa meno rischiosa, ma molto più costosa di lasciare l’Africa e sbarcare in Europa. La “mafia marocchina” offre per 40.000 dirham (4.000 euro) un passaggio lampo in acqua-scooter, e in soli 15 minuti si raggiunge dallo Stretto di Gibilterra la Spagna. Lo rivela El Pais.

C’è un modo molto più breve per attraversare lo Stretto di Gibilterra ed arrivare in Europa. Senza spendere intere giornate e notte su imbarcazioni di fortuna e canotti a remi. Ma ci vogliono soldi. Un sacco di soldi. Cifre che non sono quasi mai nella disponibilità della maggior parte degli immigrati africani che hanno aspettato mesi per attraversare quella sottile striscia di mare che separa l’Africa dalla speranza di una vita migliore.

Per il “modico” importo di 40.000 dirham (4.000 euro) i piloti delle mafie che operano in Marocco offrono viaggi in Spagna di soli 15 minuti a bordo di potenti moto d’acqua. La fascia di prezzo comprende occhiali da sole ed abiti puliti di ricambio al fine di confondersi con i turisti, appena sbucati fuori dall’acqua. Il prezzo assolutamente proibitivo per la generalità degli stranieri che partono con nulla nelle proprie tasche dalle di Tangeri, dal Senegal, Mauritania e Algeria, è passibile di uno “sconto” effettuare se si vuole rischiare di beccarsi un paio di anni di carcere. Portandosi appresso un pacco di 20 chilogrammi di hashish si può ottenere una riduzione del prezzo di 3.000 dollari.

La notizia arriva dalla Spagna dopo che la Customs Enforcement ha rilevato decine di casi negli ultimi mesi. E soprattutto, la Guardia Civil, che giovedì 7 agosto scorso ha beccato tre membri di una rete che aveva introdotto un uomo sulla spiaggia di La Macotilla, a pochi chilometri da Tarifa. Quando gli ufficiali arrivarono videro un uomo saltare in acqua e nuotare a riva. Il conducente della moto cambiò direzione, ha accelerato e ha preso la strada del ritorno per le spiagge marocchine.

La motovedetta della Guardia Civil lo inseguì e lo intercettò in acque spagnole. Sulla terra, gli altri due sono stati arrestati a bordo di una vettura per facilitare il viaggio dell’immigrato che è stato condotto in un Centro per l’area stranieri su ordine del tribunale. Portavano con loro un abbigliamento pulito per camuffare il loro cliente. I tre sono stati arrestati e imprigionati con l’accusa di traffico di esseri umani. Uno degli ufficiali che ha partecipato all’operazione che ha rilevato come il trasporto con le moto d’acqua è divenuta ormai una routine di tutti i giorni. Presso la spiaggia di La Macotilla, un facile accesso per fuggire verso l’interno, il servizio marittimo del Comando di Algeciras ha intercettato 67 chili di hashish in due valigie che gli occupanti di una moto d’acqua avevano gettato in mare dopo essere stati inseguiti da una motovedetta. La droga era stata mimetizzata all’interno di involucri e plastilina.

Tra le oltre 90 imbarcazioni soccorse dal Marine Rescue tra martedì e mercoledì scorso, c’erano anche notevoli differenze. La maggior parte erano zattere giocattolo di plastica di quelle che è possibile comprare in qualsiasi negozio a Casablanca o Tangeri per 810 dinhares (81 euro). Ma in mezzo a questo pericolosi gonfiabili è stato scoperto anche un gommone a motore.

Se l’Italia rappresenta, quindi, uno dei maggiori approdi verso l’Europa, anche la Spagna si conferma uno dei principali “hub” per l’immigrazione dai paesi del Sud, dove organizzazioni criminali sfruttano la disperazione di migliaia di persone per lucrare ed ottenere facili guadagni.

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La Mafia alla conquista della Germania

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Chi ha detto che in Germania la mafia non c’è? I reporter di Irpi raccontano l’indagine della polizia tedesca e italiana che ha svelato un network che abbraccia edilizia, droga e corruzione politica.

La mafia non esiste. Men che meno in Germania. Questo è ciò che dichiara il governo tedesco, e cio a cui crede la gente. Ma i dati ufficiali sono inesatti, e la verità è tristemente all’opposto. La Mafia è sempre più presente in Germania. Ed è forte, molto forte. Soltanto analizzando le carte giudiziarie di indagini ancora in corso, portate avanti in collaborazione dai pool antimafia italiani e dalla Polizia Federale Criminale Tedesca, la BKA, che il quadro complessivo emerge. Ci potrebbero essere addirittura più di 1200 membri della Mafia, in Germania. La Mafia c’è. Ma nelle statistiche si troverà solo se la si cerca.

“La mafia in Germania ha infiltrato ogni settore. Dalle costruzioni, alle energie alternative, dalla gestione dei rifiuti all’azionariato di grandi aziende o banche. Comprano voti e influenzano le elezioni tramite la corruzione,” dice Roberto Scarpinato, Procuratore Generale del pool antimafia di Palermo.

Operazione scavo: molto più di un evasione fiscale. È il 17 gennaio 2013, e 17 persone vengono arrestate. Alcune in Germania, alcune su rogatoria internazionale a Licata, una piccola cittadina dell’agrigentino. ‘Operazione Scavo’, la battezzano gli inquirenti. Sembrava solo un’operazione contro l’evasione fiscale, aziende edili aperte da siciliani in Germania che non versavano le tasse. Ma presto si scopre che sotto c’era molto di più.

Romagnolli

Grazie a documenti ottenuti in esclusiva da FUNKE Mediengruppe e da ricerche congiunte portate avanti dal caporedattore David Schraven e dai giornalisti del centro di giornalismo d’inchiesta IRPI in collaborazione con Grandangolo il Giornale di Agrigento, Wired può oggi raccontare una storia inedita.

Qualcuno, un giorno, deve avere incaricato Gabriele Spiteri, originario di Licata e frequentatore di Colonia dagli anni ’90, e Rosario Pesce, di Riesi ma in Germania dal 1972, di gestire quella che gli investigatori tedeschi hanno soprannominato la Baumafia, la ‘mafia delle costruzioni’. Spiteri a Colonia, Pesce a Dortmund. Quello che c’era nel mezzo, ovvero Essen e Bochum, veniva spartito a seconda degli affari e dei momenti.

I due dovevano coordinare i cosiddetti ‘procacciatori di prestanome’, i quali dovevano trovare tra parenti e amici in Sicilia dei poveri diavoli che si vendessero per poche migliaia di euro. I procacciatori erano senza dubbio il commercialista pregiudicato Massimo Erroi, Biagio Schiliro, Agatino Farinato, Vincenzo Spiteri fratello di Gabriele e Salvatore Vedda (fino a che non ha deciso di iniziare a collaborare con le autorità tedesche). Dopodiche, tra gli arrestati e indagati ci sono Domenico Iacopinelli, Giuseppe Cannizzaro, Lisa Maria Farruggio, Giovanni De Caro, Salvatore Animamia, Fabrizio Randazzo, Antonio Cavaleri, Angelo Cambiano, Michele Farchica, Antonio Donato, Giuseppe Micchiche e Gabriele Fiordaliso.

Usando questi prestanome, Spiteri e Pesce aprivano una serie di aziende edili che avevano il solo scopo di operare come ‘shell companies’, ovvero come scatole per il riciclaggio. Il meccanismo funzionava in questo modo: il denaro veniva trasferito sui conti correnti delle aziende in questione per pagare delle fatture false, a cui non corrispondeva alcun servizio di costruzione. A quel punto il prestanome ‘titolare’ li ritirava in contanti. Il 90% della somma veniva riconsegnata all’imprenditore che aveva comprato la fattura falsa, il 10% invece va ai ‘manager’ Spiteri e Pesce, che li usano per pagare i commercialisti, i prestanome, e i macchinoni per se stessi.

Un sistema geniale. Da milioni di soldi trasferiti legalmente, creano milioni di fondi neri, rimpiegabili o nella Baumafia, o per corrompere politici o per finanziare altre attività illecite. Un passaggio di denaro che viene prima ‘sporcato’ e poi prontamente ripulito. Questo, emerge dalle indagini della BKA, e’ stato fatto per almeno 430 aziende. Di certo, non è Spiteri – bocciato tre volte alle elementari – l’ideatore di questo sistema.

La Baumafia di Spiteri e Pesce era crimine ‘disorganizzato’. I due discutevano praticamente ogni giorno, e spesso, venivano fissati degli incontri per risolvere i contenziosi. Le discussioni dovevano avvenire in alcuni specifici luoghi d’incontro: il Bistrot “La Mirage” a Dortumund, e il Bar Italia90 a Colonia, gestito, quest’ultimo, da Mario Giangreco.

Gabriele Spiteri stesso dalla fine del 2011 gestiva un bar a Colonia, il Jolly Bar, anch’esso luogo di incontro della Baumafia. Il banco di prova lo avevo avuto dal 2009 al 2010 a Licata, quando anche li aveva gestito un bar. Più che un bar, ci dicono i Carabinieri, un buco nero del traffico di cocaina. Un affare, quello della cocaina, che Spiteri aveva importato anche in Germania, e più precisamente, nella sua panetteria a Colonia, la Pasticceria Centro Italia. I clienti ordinavano coca via telefono: “pasta in bianco senza salsa”. O, in caso di grossi quantitativi, si parla di auto bianche. Cento, duecento grammi di coca a settimana le vendite.

Ma Spiteri è egli stesso un consumatore. Un vizio che porta anche a casa in Sicilia, nelle feste che da a Licata, nella villa – oggi sequestrata – che si è costruito grazie ai guadagni di anni di presunta illegalità in Germania.

“Spiteri consumava tanta cocaina quanta l’intera Colonia”, racconta agli investigatori Calogero Di Caro di Ravanusa, classe 1963. Arrestato assieme ai fratelli Spiteri egli è, per gli investigatori tedeschi, un collaboratore di Spiteri, uno allo stesso piano. Eppure viene chiamato ogni qualvolta ci sia un problema da risolvere e – aggiungono le indagini – sembrerebbe quello con contatti più in alto. Per chi conosce la Mafia, è lampante che né Spiteri né Pesce agissero per conto proprio. I due erano stati messi li, con ordini precisi, e avevano un bel mastino alle calcagna, Calogero Di Caro.

Calogero Di Caro: il mastino.  Di Caro ai tedeschi dice di non essere mafioso: “Alcuni anni fa le autorità italiane si erano sbagliate, ma è stato tutto chiarito.”

Non esattamente. Di Caro viene scarcerato nel 1994 dopo due anni e quattro mesi di carcere per avere preso parte ad un omicidio di mafia. All’epoca, conosciuto col soprannome di Lillo Aglialuoro, era guardaspalle di Vito Mirabile, un uomo del boss Angelo Ciraulo, poi fatto ammazzare da Giuseppe Falsone in una guerra di potere che ha spostato il comando del mandamento da Ravanusa a Campobello di Licata per molti anni.

Morto Ciraulo, Di Caro decide di collaborare con la giustizia e fa trovare un arsenale. Ma il suo pentimento è considerato parziale dalle autorità, che non lo considerano affidabile. Seppure in primo tempo ‘condannato a morte’ dai boss rimasti Di Caro, viene lasciato vivere ed, evidentemente, crescere. Nell’ombra, deve avere fatto carriera fino ad arrivare in Germania. Si reca infatti a Colonia appena riesce, alla fine degli anni novanta, uscito dal carcere.

Treffen Kneipe

Lì si fa strada aprendo un’azienda di pulizie, e poi si da alla Baumafia. Il fascicolo della polizia tedesca su Di Caro si ispessisce. Viene condannato per evasione fiscale, estorsione, rapina, truffa, aggressione. Dal fascicolo emergono anche contatti nel mondo del traffico di droga e prostituzione.

Ma chi aveva dato a Di Caro il potere d’azione all’interno della Baumafia? Un suggerimento emerge grazie ad un curioso episodio che si svolge attorno al Jolly Bar di Spiteri a Colonia, a metà gennaio 2013. Appena prima dello scattare delle manette. È il 14 gennaio, e in un’intercettazione Spiteri parla con Biagio Schiliro di un nuovo arrivo, un ragazzo, Angelo Bugiada, classe 1977, di Gela.Molto probabilmente un nuovo prestanome. La polizia interviene. È il momento in cui scattano gli arresti per tutti i 17 della Baumafia. Viene fermato anche Bugiada, interrogato, e rilasciato. Ma poche ore dopo viene fermato nuovamente, mentre si trova in un auto speciale. Un’auto registrata a nome di Angelo Occhipinti.

Non un uomo qualsiasi. Nato a Licata nel 1954, Occhipinti ha una caratura criminale ben più significativa di Calogero Di Caro. Già a fine anni ‘80, secondo la DIA, Occhipinti operava in Germania in strettissimi rapporti con Carmine Ligato, un influente boss della ‘Ndrangheta. Referente di tutte le operazioni commerciali fra mafia agrigentina e ‘Ndrangheta, Occhipinti già nel 1997 era sotto il radar della polizia tedesca.

Absperrung

In Sicilia era uomo di Giuseppe Falsone, e pare fosse stato il boss agrigentino in persona ad indicarlo come capomandamento di Licata in suo nome.

Occhipinti, assieme a Pasquale Cardella, aveva preso il controllo della cittadina dopo il quadruplice omicidio di Brunco-Lauria-Greco-Cellura. Nel 2011, Occhipinti finisce in carcere per estorsione, e Cardella cerca di tenere il mandamento per se. Poco dopo Occhipinti esce, ma il suo riferimento, il boss Giuseppe Falsone, latitante per molti anni, era stato catturato. A quel punto, Occhipinti mira a scavalcare i suoi partner e a prendere per se il controllo di Licata, andando a chiedere la benedizione dell’allora capomandamento di Canicattì, Calogero Di Caro (omonimia con il Di Caro della Baumafia, n.d.r.). Perchè la sua auto fosse a disposizione del giovane Angelo Bugiada non è chiaro, ma la presenza di Occhipinti in Germania potrebbe indicarlo come il capo mandamento di Colonia. E si spiegherebbe a chi risponde Di Caro, e tutta la ‘squadra scavo’ di Colonia.

Chi sgarra muore. Gabriele Spiteri deve forse la vita alla BKA tedesca. Perchè per comportamenti paragonabili ai suoi, l’abuso di cocaina e l’inaffidabilità, in passato era stato eliminato qualcuno di ben più importante di lui.

“Si, la Mafia oggi non uccide più, visto che seguiamo la pax mafiosa e il ‘business model’ dettato da Matteo Messina Denaro”, racconta un ex-killer di Cosa Nostra sentito in esclusiva dal progetto Mafia in Deutschland. “Ma se le cose si mettono male, si uccide. E certo, non lo si fa in Germania, dove è importante non destare alcun sospetto.”

L’omicidio è quindi una soluzione di extrema ratio, ma sempre utilizzata se serve a proteggere gli affari. Lo dicono chiaramente due recenti ed efferati omicidi di palmesi di Manneheim, entrambi voluti in Sicilia. Uno, quello di Calogero Burgio, crivellato di colpi a Palma, sotto casa, come avvertimento. L’altro, poco dopo, una tipica lupara bianca, per gli sfortunati Giuseppe Condello e Vincenzo Priollo. Quest’ultimo solo un autista, ma l’altro, Condello, niente meno che il capo mandamento di Mannheim.

Interview AufmacherMa perché Condello è stato eliminato?

Ce lo racconta in esclusiva l’ex-killer di Cosa Nostra trapanese, che i due morti ammazzati li aveva conosciuti in passato e incontrati di nuovo in Germania.

“Condello era il capo mandamento a Mannheim. Sono stiddari, ma ormai Stidda e Cosa Nostra sono la stessa cosa. Da quando comanda Matteo Messina Denaro la regola è una: il business. Oggi non si spara più, a meno che non sia strettamente necessario. E la condanna a morte di Condello è stata discussa tra tutti gli altri capi mandamento dell’agrigentino. Nessuno si decideva. Ma Condello era ormai un cane pazzo, fuori controllo, usava troppa cocaina ed era uscito di testa, non era più affidabile.” Condello cane-pazzo aveva infastidito il capo di capi, Denaro, ci racconta l’ex-killer: “Che aveva detto ai capi mandamento agrigentini o ci pensate voi, o ci penso io.”

E così, la condanna a morte è stata firmata. A fine gennaio 2012 Condello è stato ammazzato assieme a Priolo e infilato in un cunicolo di uno scolo d’acqua nelle campagne di Palma di Montechiaro. Condello faceva la spola, nonostante una misura restrittiva, seguendo quella logica mafiosa che necessita prima di tutto la presenza costante nel mandamento italiano, e, in secondo luogo, nel suo riflesso tedesco.

Ma quello che conta non è l’omicidio in se, bensì che sotto Matteo Messina Denaro la mafia abbia cambiato volto, e abbia fatto un patto, perfettamente funzionante in Germania, tra varie province mafiose. Parliamo di Trapani, che tiene le redini, Palermo ed Agrigento.

Questo è stato confermato anche dalle nostre ricerche. In particolare emerge dai legami che l’azienda tedesca CEON intratteneva con alcune delle aziende della galassia Di Caro in Germania. Questa azienda è controllata dalla famiglia Bologna-Perlongo, parenti molto stretti di Matteo Bologna, condannato a 22 anni per traffico internazionale di droga. La famiglia Bologna, di Partinico, è riconosciuta essere vicina ai Vitale, boss di quella zona del Palermitano.

Quanto sia sbagliato pensare che la Baumafia sia solo un piccolo gruppo di criminali auto-organizzati ce lo confermano le dichiarazioni di un nuovo pentito. Parliamo di Giuseppe Tuzzolino, un architetto che – nonostante le indagini della DDA di Palermo nascondano ancora la maggior parte dei dettagli – si è scoperto essere stato il braccio destro di Condello nell’organizzare truffe milionarie proprio nel Comune di Palma di Montechiaro. Truffe che però, assicura Tuzzolino, vanno ben oltre il Comune di Palma. Arriverebbero infatti proprio fino in Germania, nella rete di milioni di fondi neri che la BKA ha soprannominato Baumafia.

Le connessioni con la politica. La Baumafia della Nord-Reno Westfalia sembra avere capito come trovare supporto anche al di la dei semplici affiliati mafiosi. Ha capito che per nascondere meglio il suo volto, deve lavorare anche sulla politica. E lo fa in due modi. Innanzitutto cercando di permeare quella tedesca: o con la corruzione, o la compravendita di voti.

A Norimberga alcuni anni fa si è messa a punto una vera e propria strategia della mafia per la compravendita dei voti. Gli italiani in Germania potevano votare il candidato prescelto e guadagnarsi in cambio 50 euro, una pratica ben conosciuta in Sicilia. Il secondo metodo che sembrerebbe essere stato adottato è quello del sostegno ai politici italiani in Germania, almeno a giudicare dagli innumerevoli bigliettini da visita di politici italiani, tutti vicini alla destra di Berlusconi, che Calogero Di Caro, l’uomo di punta della ‘squadra scavo’, aveva nella sua agenda sequestrata.

Contatti con politici italiani in Europa. Interrogato dagli inquirenti il Baumafioso dice: “Si trattava solo di politica”. Un grande senso civico, quello di Calogero Di Caro, che, racconta lui stesso, si occupava “di tirare su voti per i parlamentari italiani all’estero”. E lo ha fatto anche per il pidiellino siciliano Massimo Romagnoli, durante la scorsa campagna elettorale. Riscuotendo un certo successo. Nel 2006 infatti, Romagnoli viene eletto deputato alla Camera con 8.700 voti provenienti dall’estero. La maggior parte di questi erano stati raccolti proprio a Colonia.

È possibile che Massimo Romagnoli non sospettasse minimamente con chi se la facesse Di Caro, ma quest’ultimo lo cita anche durante l’interrogatorio con la BKA tedesca. Agli inquirenti racconta di avere avuto una richiesta di aiuto da parte di Massimo Erroi, il commercialista della Baumafia, quando questo si trovava in carcere in Germania. Gli serviva un passaporto. Di Caro dice di avere pensato a Romagnoli. Poi, dice di essersi “mosso con i miei contatti e in quattro settimane glielo ho fatto avere.”

Massimo Romagnoli nega di aver mai ricevuto tale richiesta. “Conosco Calogero Di Caro, mi ha aiutato con la campagna elettorale,” ha spiegato a IRPI, “aveva un’impresa di pulizie. Ma questo Massimo Erroi è la prima volta che lo sento nominare.” “Personalmente non ho mai ricevuto richieste di questo tipo” continua Romagnoli, al momento impegnato con Forza Italia nella campagna elettorale per le elezioni europee “ne da Di Caro, ne da nessun altro.”

ScarpinatoRoberto Scarpinato, Procuratore Generale a Palermo, è categorico quando parla del potere di seduzione intrinseco a Cosa Nostra. “La mafia in Germania vuole che i tedeschi pensino che non esista. Non ha più bisogno di essere violenta. Può sedurre con il capitale. Certo, c’è ancora una faccia violenta della Mafia, in Italia, ma si mostra solo quando il potere di convincimento dei soldi non basta. In realtà, il mondo oggi rischia di essere conquistato dalla Mafia tramite la seduzione del capitale, e paesi come la Germania sono ad alto rischio. Quando non si cerca di capire la fonte dei soldi, e si accetta l’ingresso indiscriminato di capitale nel proprio paese, allora è la moralità stessa di un popolo che è a rischio. In tempi di crisi come oggi, il potere del denaro e della corruzione possono diventare un’epidemia che scuote una società dalla fondamenta. La Germania deve decidere se accogliere la Mafia, o combatterla.”

Foto di Funke Mediagruppen
I disegni a fumetto sono di Vincent Burmeister. Grazie a Jenny Mainusch per l’aiuto con la traduzione di documenti giudiziari dal tedesco all’italiano.
(Fonte irpi)

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Rifiuti: La testimonianza del pentito Carmine Schiavone


La mafia e la camorra non potevano esistere se non era lo Stato … Se le istituzioni non avessero voluto l’esistenza del clan, queste avrebbe forse potuto esistere?….All’epoca tenevo ancora il relativo registro, in cui figurava che per  l’immondizia entravano 100 milioni al mese, mentre poi mi sono reso conto che in realtà il profitto era di almeno 600-700 milioni al mese….Sono inoltre al corrente del fatto che arrivavano dalla Germania camion che trasportavano fanghi nucleari, che sono stati scarica nelle discariche, sulle quali sono stati poi effettuati rilevamenti aerei tramite elicotteri: da qualche verbale dovrebbe risultare che ho mostrato quei luoghi…..Vi erano fusti che contenevano tuolene, ovvero rifiuti provenienti da fabbriche della zona di Arezzo: si trattava di residui di pitture.…I rifiuti venivano anche da Massa Carrara, da Genova, da La Spezia, da Milano….Vi sono molte sostanze tossiche, come fanghi industriali, rifiuti di lavorazione di tutte le specie, tra cui quelli provenienti da concerie….. è diventato un affare autorizzato, che faceva entrare soldi nelle casse del clan. Tuttavia, quel traffico veniva già attuato in precedenza e gli abitanti del paese rischiano di morire tutti di cancro entro venti anni; non credo, infatti, che si salveranno: gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via avranno forse venti anni di vita!….Qui si parla di milioni, non di migliaia. Se lei guarda l’elenco che le ho consegnato, vedrà che ci sono 70-80 camion di quelli che smaltivano dal nord, tra i quali vi era anche un mio camion. Si tratta di milioni e milioni di tonnellate. Io penso che per bonificare la zona ci vorrebbero tutti i soldi dello Stato di un anno…..Fino al 1992 noi arrivavamo nella zona del Molise (Isernia e le zone vicine), a Latina … Non so cosa è accaduto dopo. Se vogliono, possono arrivare anche a Milano ….In tutti i 106 comuni della provincia di Caserta. Noi facevamo i sindaci, di qualunque colore fossero. C’è la prova … Io, ad esempio, avevo la zona di Villa Literno e sono stato io a fare eleggere il sindaco. Prima il sindaco era socialista e noi eravamo democristiani. Dopo la guerra con i Bardellino… Ci avrebbe fatto piacere anche se fosse rimasto socialista, perché era la stessa cosa. Per esempio, a Frignano avevamo i comunisti. A noi importava non il colore ma solo i soldi, perché c’era un’uscita di 2 miliardi e mezzo al mese. Posso raccontare un aneddoto, anche perché è già stato verbalizzato ed i protagonisti sono agli arresti, tranquilli. A Villa Literno, che era di mia competenza, ho fatto io stesso l’amministrazione comunale. Abbiamo candidato determinate persone al di fuori di ogni sospetto, persone con parvenze pulite ed abbiamo fatto eleggere dieci consiglieri, mentre prima ne prendevano tre o quattro. Un seggio lo hanno preso i repubblicani, otto i socialisti ed uno i comunisti (un certo Fabozzo). La sera li abbiamo riuniti e ne mancava uno. Io li ho riuniti e ho detto loro: “tu fai il sindaco, tu fai l’assessore e via di questo passo. Mi hanno detto: “ma manca un consigliere per avere la maggioranza”. All’epoca c’era Zorro, il quale era capo zona e dipendeva da me; ho detto: andate a prendere Enrico Fabozzo e lo facciamo diventare democristiano. Infatti, lo facemmo assessore al personale. La sera era comunista e la mattina dopo diventò democristiano. E così che si facevano le amministrazioni. Il patto era che gli affari fino a 100 milioni li gestiva il comune, oltre i 100 milioni, con i consorzi, ci portavano l’elenco dei lavori e noi li assegnavamo. Ai comuni dicevamo che sui grandi lavori avrebbero trattato direttamente con noi al 2,50 per cento. C’era una tariffa: 5 per cento sulle opere di costruzione e 10 per cento sulle opere stradali. Perché le strade si debbono rifare ogni anno? Perché non venivano fatte bene, perché se il capitolato stabiliva che vi dovessero essere sei centimetri di asfalto, in realtà ne venivano messi tre, perché il cemento utilizzato non era quello previsto, e così via. Il sistema generale era così. Speriamo che cambi….Il mercato dei rifiuti in Italia è uno solo e veniva tutto gestito da poche persone. Poi i clan si sono intromessi e hanno detto (come hanno fatto per le strade): noi vi facciamo passare i camion, non ve li distruggiamo, ma ci dovete dare tanto. Poiché era più conveniente dare ai clan che lavorare di nascosto … Ma per poter fare ciò serviva gente che entrasse in queste associazioni culturali, quindi gente intelligente, che studiava…..” Carmine Schiavone – audizione dell’ottobre del 1997 davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo di rifiuti.

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Mafia e politica: Mauro De Mauro 43 anni di bugie

Mauro-De-Mauro

Sonia Alfano (Presidente della Commissione Antimafia Europea e dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia) ricorda il giornalista Mauro De Mauro, scomparso il 16 settembre del 1970 e mai ritrovato. “Chi oggi si occupa di informazione – aggiunge Sonia Alfano – ha il dovere di onorare la memoria di De Mauro e degli altri coraggiosi e onesti giornalisti uccisi per essere stati troppo vicini alla verità sui legami tra mafia e politica”. “Sono passati 43 anni dalla scomparsa di Mauro De Mauro, 43 anni di depistaggi, misteri e bugie che hanno coperto i responsabili politico-mafiosi di questa scomparsa. De Mauro pagò con la vita il suo essere un giornalista libero e indipendente, che conosceva troppe scomode verità, che non rispondeva ai dettami di quel potere politico-affaristico-mafioso che, al contrario, denunciava”. La storia di Mauro De Mauro tratta da un articolo di Antimafia Duemila del 16 Settembre 2010.

Palermo, Via delle Magnolie 58, ore 21 e 10 del 16 settembre 1970. Il giornalista del quotidiano ”L’Ora”, Mauro De Mauro, parcheggia e sul portone scorge la figlia Franca ed il fidanzato Salvatore, anche loro appena giunti. Avrebbero dovuto mangiare assieme a pochi giorno dal loro matrimonio. Anche loro si accorgono di lui e lo aspettano davanti all’ascensore. Passa qualche attimo. Franca torna sui suoi passi perché il padre, che avrebbe dovuto averli raggiunti, non arriva. Giusto in tempo per sentire qualcuno dire “Amuninni!” e vedere il padre “con la faccia tirata”, allontanarsi in macchina in compagnia di altre persone. “Amuninni”, una parola detta con tono fermo, quasi di comando. E’ l’ultima volta che Franca vede il padre. Undici ore dopo la famiglia denuncia la scomparsa ed iniziano le indagini. Da allora sono passati 40 anni e la scomparsa di De Mauro è ancora avvolta nel mistero. Un caso che scotta e che nel tempo è stato studiato sempre a singhiozzo. Le indagini infinite, scenari contorti, archiviazioni e riaperture d’indagini. Ogni tanto qualche giornale lo ricorda dando voce alla famiglia, lasciata senza giustizia, non rassegnata, ma stanca, segnata da una ferita sempre aperta. Nel 2001, finalmente, una nuova svolta. Sul giornale “La Repubblica” vengono pubblicate le dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo, ex padrino di Altofonte, ai magistrati: “De Mauro è stato ucciso perché sapeva del golpe. Lo seppellimmo alla foce dell’Oreto”. Tali dichiarazioni sono similari a quelle fatte qualche anno prima dal pentito Gaspare Mutolo, ma allora venne vagliato senza trovare risconti. Anche per questo la Procura di Palermo sobbalza ed immediatamente chiede al gip la riapertura dell’inchiesta, soprattutto alla luce delle nuove dichiarazioni dell’ex boss di Altofonte. Durante le indagini preliminari vengono rispolverati tutti gli atti riguardanti la scomparsa del giornalista. Dalla Procura di Pavia vengono inviate le carte sul caso Enrico Mattei, presidente dell’Eni, sulla cui morte stava indagando lo stesso De Mauro nel lontano 1970. Vengono così ripercorse tutte le tappe che segnarono le prime indagini degli anni successivi a quel 16 settembre e rianalizzate le tre piste che portavano ai già citati “Caso Mattei” e “Golpe Borghese” oltre al traffico di droga. Su quest’ultima nel 1970 indagò soprattutto il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa convinto che De Mauro avesse scoperto i luoghi dove cocaina ed eroina sbarcavano e ripartivano verso altri lidi, dato che in passato lo stesso giornalista aveva scritto più volte sul tema. Nel giugno del 2005 l’inchiesta su uno dei primi delitti eccellenti di Palermo viene conclusa con la richiesta, da parte dei pm Antonio Ingroia e Gioacchino Natoli, di rinvio a giudizio per Totò Riina, al tempo al vertice di Cosa Nostra come sostituto di Luciano Liggio, congiuntamente a Gaetano Badalamenti e Stefano Bontade, entrambi morti. Era l’epoca del famoso triunvirato.

Il processo. Martedì 4 Aprile 2006 si è aperto il processo d’innanzi alla Corte d’Assise di Palermo presieduta da Giancarlo Trizzino che è tutt’oggi in fase di dibattimento. Imputato unico Totò Riina, difeso dagli avvocati Luca Cianferoni e Riccardo Donzelli. Dall’altra parte l’accusa, rappresentata dal pm Antonio Ingroia, le parti civili (famiglia e quotidiano “l’Ora”) rappresentate dall’avvocato Francesco Crescimanno, e la Provincia di Palermo rappresentata dall’avvocato Concetta Pillitteri. E’ toccato proprio ad Ingroia esporre il filone d’indagine che condurrà il processo di questo “giallo senza soluzione”. Il sequestro e l’omicidio di Mauro De Mauro si colloca in un periodo storico di grande fermento segnato da due particolari eventi come il tentativo di colpo di Stato (Golpe Borghese) e la morte di Enrico Mattei. “L’eliminazione di De Mauro faceva gola non solo a Cosa nostra” ha detto Ingroia. Un riferimento ai burattinai senza nome e senza volto che favorirono i depistaggi nel corso delle indagini. Poi il pm, all’apertura del processo, ha evidenziato come il boss corleonese Riina fosse sì in cabina di regia, ma non l’unico a dirigere determinati eventi dato che c’erano dietro interessi precisi “della destra eversivo – golpista, della massoneria deviata, oltre a quelli della finanza, dell’economia e della politica corrotta”. Pochi dubbi quindi vi sarebbero che De Mauro sia stato sequestrato e ucciso per le sue inchieste giornalistiche, quelle già archiviate o che avrebbe potuto ancora scrivere. Durante il processo è emersa anche un’ulteriore movente, seppur complicato, per la scomparsa del giornalista. Secondo le testimonianze dell’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada (sentito a più riprese come testimone per esigenze della Corte, naturalmente tenendo conto della condanna definitiva a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa), e ancor prima del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, dietro la scomparsa e la morte del cronista giudiziario de “L’Ora” ci sarebbe stato l’interesse di Nino Salvo. Lo scorso 2 luglio, dopo quattro anni di dibattimenti, si e’ conclusa l’istruttoria del processo.

La corte d’assise ha quindi rinviato al 22 ottobre l’inizio della requisitoria dei pm Sergio De Montis e Antonio Ingroia. Forse con la conclusione del processo la famiglia potrà avere un minimo di giustizia grazie all’individuazione delle responsabilità concrete sulla morte di De Mauro. Golpe Borghese, caso Mattei, gli interessi dei cugini Salvo. Uno scoop che avrebbe fatto tremare l’Italia. Difficile, forse impossibile, dire quale fosse la notizia che il giornalista de “L’Ora” stesse seguendo. Troppi i pezzi mancanti per chiudere il puzzle. Anche per questo il caso De Mauro resta un mistero di Stato.

“… Quel rompicoglioni di De Mauro aveva ficcato il naso negli affari dei Salvo e nel legame con i fascisti di Borghese. Il 9 agosto (1970) Vito Guarrasi, che morì del tutto impunito due anni or sono (nel 1999), dopo aver parlato a Roma col principe Junio Valerio Borghese, coi generali del SID Vito Miceli e Gianadelio Maletti. Al ritorno, in una riunione tenuta a casa del boss Giuseppe Giacomo Gambino, assieme ai capimafia Bernardo Provenzano, Pippo Calderone,Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti, Totò Riina, Stefano Bontate e Giuseppe Di Cristina, decisero per la sua eliminazione.”
Testimonianza ai magistrati di Palermo di Francesco Di Carlo boss pentito.

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