I migliori servizi segreti del Mondo

migliori servizi segreti del Mondo

Quali sono le agenzie di intelligence più famose e migliori del mondo? Non esiste un “servizio segreto” migliore del mondo, ma vari “servizi segreti” molto bravi in una determinata area strategica. 

Comunque volendo stilare una classifica e basandoci sulle principali riviste specializzate del settore, ecco la lista dei migliori servizi segreti nel mondo.
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L’aeroporto più sicuro del mondo

Ben Gurion Airport

Il “Ben Gurion International Airport” di Tel Aviv, in Israele, è l’aeroporto più a rischio del mondo, eppure è il più sicuro: mai un attentato dal 1972, giorno in cui l’Armata rossa giapponese realizzò un attacco terroristico per conto del Fronte popolare di liberazione della Palestina uccidendo 24 persone. Continue Reading

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Il J’accuse dell’ex agente dell’intelligence belga

servizi segreti belgi

“Scandalizzato dagli eventi di Bruxelles, accuso il Belgio di aver applicato una strategia “wait and see” per anni e di non aver mai dato ai servizi d’intelligence i mezzi per fare il loro lavoro con professionalità per provare a evitare questo tipo di attacchi.

Accuso i politici di non aver mai voluto capire l’ascesa dell’islam estremista e di averla ignorata deliberatamente perché temevano di perdere voti e di essere considerati “politicamente scorretti”. Li accuso di aver lasciato che in molte città belghe proliferasse l’estremismo jihadista per anni (L’Emirato Islamico in Belgio), al punto che un leader socialista mi disse che “sappiamo che il problema è a Molenbeek, ma cosa ci vuoi fare, dobbiamo tenerci buoni quegli elettori”. Accuso i politici a tutti i livelli per non aver dato le risorse necessarie ed essenziali ai servizi d’intelligence e di polizia, per averli costantemente privati di fondi e non aver varato le leggi che avrebbero potuto permettere loro di essere più efficaci. La comunità d’intelligence manca delle giuste risorse umane. Accuso i politici di non aver dato addestramento efficace allo staff dei servizi d’intelligence e di aver nominato la dirigenza unicamente in base alla loro affiliazione politica.

Accuso l’ex ministro della Difesa di non aver autorizzato un’investigazione approfondita sull’islam radicale nelle Forze armate per “non stigmatizzare la popolazione musulmana nell’esercito”, anche se sappiamo che ci sono estremisti islamici nell’esercito. Continue Reading

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Io il richiestissimo Black Bloc

black-bloc

“Salve, sono un black bloc. Vengo da fuori, ma non vi dico da dove, tanto lo sapete benissimo (mi riferisco all’intelligence italiana, che è sempre molto intelligente). E niente, vorrei parlarvi un po’ del mio lavoro, che mi dà tante soddisfazioni, soprattutto in Italia. È un bell’impiego, non c’è che dire, specie con questi chiari di luna. Ben pagato, anche. Io peraltro sono una vocazione precoce: sognavo di spaccare tutto fin da piccolo. I miei matusa, ingenui, mi dicevano: “Così non vai da nessuna parte, devi smetterla di sfasciare ogni cosa che vedi, fatti una posizione”. Ho fregato anche loro: mi son fatto una posizione sfasciando tutto. Sono richiestissimo, indosso una divisa strafica (il nero della tuta mi slancia e acchiappo un casino), giro il mondo. Prima, ai tempi del G8 di Genova, avevo un contratto Co.Co.Co (acronimo di Cosa Colpire a Cottimo), poi trasformato in Co.Co.Pro (Cosa Colpire a Progetto). Ora invece, grazie al Jobs Act, mi han fatto un tempo indeterminato a tutele crescenti: più vetrine sfascio, più macchine incendio, più negozi devasto, più poliziotti meno,più le autorità italiane mi proteggono.

Avete mai visto un black bloc manganellato o arrestato in Italia? Io mai (parlo di noi col marchio Doc, diffidate dalle imitazioni e dai franchising). È una sensazione eccitante: accendi un fumogeno, ti cambi d’abito nella nuvola di gas, metti a ferro e a fuoco la città, e sfili indisturbato fra due ali di folla, di polizia, di cameramen e di fotografi professionisti e dilettanti: nessuno ti tocca, neppure una pieghina sulla tuta, bello lindo e liscio come l’olio. Meglio di Mosè tra le acque del Mar Rosso.

Nel 2001, quando ho debuttato a Genova, non ci volevo credere. I miei istruttori mi avevano detto: “Andiamo là, sfasciamo tutto, non ci fanno niente e torniamo a casa”. Parlavano anche di un contratto nero su bianco, ma io quando vidi tutta quella polizia in tenuta antisommossa pensai a una frottola per convincermi a partire. Invece avevano ragione loro: la polizia menava i ragazzini, i vecchietti, persino qualche suora, ma a noi non ha torto un capello. Non per nulla avevamo la divisa: per farci riconoscere. Alcuni dei nostri entravano e uscivano dalla Questura e fuori le solite zecche coi telefonini filmavano la scena. Ho detto: “Siamo fritti”. Invece poi le zecche sono andate a dormire alla Diaz e la polizia ha distrutto tutto: crani, nasi, ossa, cartilagini, braccia, gambe, toraci, e naturalmente cellulari e filmati. Un lavoro da manuale, roba che mi son sentito un dilettante: però ho imparato molto. Da allora, con un po’di amici, abbiamo messo su un’agenzia, la GEPI: Grandi Eventi Pronto Intervento. Siamo richiestissimi.

In Italia facciamo sempre comodo a qualcuno per sputtanare quelli che nei movimenti antagonisti si battono pacificamente (pensa quanto sono coglioni) contro le mafie e le bande nascoste dietro le sigle Tav Torino-Lione, Expo Milano 2015, Mose, ecc. Appena si muovono, arriviamo noi e sfasciamo tutto. All’inizio era un secondo lavoro, ora è diventato il primo: abbiamo proprio una tessera-coupon con lo strappino da staccare di volta in volta. E i capi dei No-Qualcosa ci lasciano fare. Un po’ perché non hanno ancora capito che a noi non frega una beneamata cippa del Tav, di Expo, del Mose (veniamo da Belgio, Germania, di qua e di là e manco sappiamo che roba è, quella). Un po’ perché non hanno ancora capito che noi lavoriamo contro di loro. O, se l’hanno capito, fanno pippa perché hanno paura di noi, o perché gli facciamo comodo, li facciamo sentire importanti e temuti, con tutti quei titoli sui tg e i giornali. Se sfilassero pacificamente, non se li filerebbe nessuno. E la stampa parlerebbe d’altro: dei disoccupati che aumentano, delle bugie del governo sulla crescita, dell’Expo tutto calcinacci e cartongesso per nascondere i cantieri mai finiti, degli inquisiti candidati alle Regionali.

Noi siamo l’offerta a una domanda di mercato: facciamo comodo a tutti, al governo e agli antagonisti. Non c’è neppure bisogno che ci chiamino: lo sappiamo noi quando serviamo, partiamo da soli senz’avvertire nessuno. Tanto lo sanno tutti che arriviamo: gli antagonisti come il governo.

Scusate, ma che altro han mai fatto i servizi segreti italiani dagli anni 60 a oggi se non infiltrare i gruppi antigovernativi di destra e di sinistra? Nel 1969 sapevano che i fascisti avrebbero piazzato la bomba in piazza Fontana, e gliela lasciarono piazzare. Nel 1978 sapevano che le Br avrebbero rapito Moro, e glielo lasciarono rapire. Nel 2001 sapevano che avremmo distrutto Genova, e ce la lasciarono distruggere. È una tecnica vecchia come l’Italia: si chiama “destabilizzare per stabilizzare”. E funziona ancora: dopo 50 anni, la pista anarchica è un evergreen.

L’altro ieri lo sapevano benissimo che avremmo fatto quei danni a Milano, e ce li hanno lasciati fare. Non parlo dei poveri e ignari poliziotti da strada, mandati allo sbaraglio con l’ordine di non caricare (tant’è che sono riuscito a incendiarne uno così, en passant). Parlo di chi, dietro e sopra di loro, sapeva da mesi del nostro arrivo, e l’ha pure fatto scrivere dai giornali e dire dai tg per fare bella figura, poi ci ha spianato la strada come sempre. Con la differenza che con Berlusconi l’ordine era di menare qualcuno purchessia, a caso (esclusi noi, ci mancherebbe). Ora invece, dopo la sentenza di Strasburgo sulle torture alla Diaz, la consegna è non menare più nessuno: prenderle e basta. Così poi le vostre solite teste di Twitter possono dare la colpa a Fedez (un rapper mandante nostro? Uahahahahah). E quel genio di Alfano può dire che “abbiamo evitato il peggio”. Ma come si permette di svilire così il nostro onesto lavoro? Che si aspettava, i bombardamenti di Dresda? Comunque, messaggio recepito: al prossimo grande evento, faremo meglio”. Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano del 03 Maggio 2015.

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Ok, il prezzo è giusto per tutti

Ok-prezzo giusto

“Non c’è un prezzo oggettivamente giusto per una merce, ci sono solo singole valutazioni individuali. Arthur Cecile Pigou, economista britannico che insegnava a Cambridge, chiamò “discriminazione di prezzo” le distinzioni tra i consumatori basate sul prezzo che ciascuno è disposto a pagare per lo stesso prodotto.

Fino a oggi la discriminazione di prezzo, in cui ad esempio, una compagnia ferroviaria può imporre a ogni passeggero il prezzo più alto per il viaggio in treno, era considerata impossibile nel mercato di massa. I prezzi fissi producono un contratto sociale invisibile: nei supermercati o nei negozi di detersivi tutti i consumatori devono essere uguali. I prezzi fissi creano vincitori e perdenti: per qualcuno una merce potrebbe costare anche di più, per qualcun altro è troppo cara. Così, dallo yogurt ai taxi, ci sovvenzioniamo a vicenda. A trarre maggior vantaggio da questo meccanismo è il consumatore comune, la classe media.

Fino a poco tempo fa nella vita di ogni giorno i prezzi corrispondevano alla stima della cifra media che i consumatori più diversi erano pronti a pagare per qualcosa. Poi sono arrivati i computer, internet, Facebook, Google, gli scanner, i codici identificativi, le telecamere a circuito chiuso, gli smartphone: un arsenale per raccogliere dati sulle persone, sulle loro preferenze, sui loro rapporti di parentela, sul loro lavoro, sui loro spostamenti abituali, sui loro valori. Negli Stati Uniti ormai un prezzo su venti è personalizzato e più della metà delle imprese della distribuzione sta già sperimentando le cosiddette tecniche di price intelligence.

La discriminazione di prezzo totale è una tendenza globale praticamente inarrestabile, perché in mercati saturi come quello dei generi alimentari la concorrenza tra prezzi è l’unico modo di aumentare le vendite. “Questo detersivo lava più bianco” non funziona più. E le promozioni tradizionali, come i tagliandi o le raccolte punti, non hanno più effetto a causa della grande dispersione. Le offerte personalizzate sono praticamente l’ultima possibilità di aumentare le vendite. Ormai i negozi si sono trasformati in servizi di sorveglianza che cercano di analizzare nei minimi dettagli i comportamenti dei consumatori. In tutto il mondo sparisce un prezzo fisso dopo l’altro. Secondo alcune previsioni, negli Stati Uniti tre prezzi su dieci saranno personalizzati entro il 2020. Oltre ad Amazon e alla Coca­Cola, sperimentano queste tecniche anche i fornitori di energia elettrica, i supermercati e grandi magazzini del fai da te. Anche alle Olimpiadi di Londra del 2012 i prezzi dei biglietti si adattavano alla domanda.

Come ha scritto Tyler Cowen, autore del saggio Average Is over (La media è finita), questo modello potrebbe favorire i ricchi e colpire duramente il cittadino medio. Potrebbe condannarci a una vita d’insicurezza e di dipendenza.

L’eventualità più allarmante sarebbe il collegamento di tutte le informazioni sulle aziende e sulle reti: in quel caso ogni nostra azione ed espressione, anche passata, influenzerebbe il prezzo che paghiamo per qualcosa. Internet si trasformerebbe in una sorta di storia creditizia, come teme chi critica Atlas, la nuova piattaforma pubblicitaria di Facebook.

In futuro le persone potrebbero cominciare a scambiarsi le identità per pagare prezzi più bassi. In effetti i prezzi sono uno degli strumenti di controllo più importanti della nostra società. La questione è politica: il prezzo del pane può far scoppiare una rivoluzione. Ma cosa succede quando in una società cambia completamente il sistema che determina i prezzi?” Hannes Grassegger, giornalista ed economista svizzero

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