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Expo 2015 sarà un fallimento: 300 milioni di debiti

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Expo è il grande esempio di come sprechi, corruzioni e infiltrazioni mafiose arrivino puntualmente in Italia in ogni evento o grande opera. Da studiare per chi vuole le Olimpiadi in Italia.

Grande evento del 2015, previsto fin dal 2006, assegnato all’Italia nel 2008, è subito diventato un’emergenza, come fosse una calamità naturale, un terremoto, un’inondazione, un’invasione di cavallette. Per tre anni (2008-2011) la politica perde tempo a litigare su chi comanda senza avviare neppure una gara. Nei tre anni successivi (2012-2014) si accorge di essere in terribile ritardo e allora via alle deroghe, in nome dell’emergenza. “Ben 82 disposizioni del codice degli appalti sono state abrogate con quattro ordinanze della presidenza del Consiglio”, si lamentava già il predecessore di Cantone, Sergio Santoro: “È emergenza perenne”. I risultati si sono visti.

Per infiltrazioni mafiose, la prefettura di Milano ha escluso, per ora, 46 aziende dai cantieri di opere connesse a Expo. Di queste, tre lavoravano direttamente sull’area dell’esposizione (Elios, Ventura, Ausengineering). Per reati come corruzione, turbativa d’asta, rivelazione di segreti e associazione a delinquere, sono scattate, sui quattro grandi appalti, quattro grandi inchieste, con arresti e accuse che hanno coinvolto il numero uno di Ilspa (Antonio Rognoni), oltre a manager di Expo spa (Angelo Paris, Antonio Acerbo, Andrea Castellotti) e di Arexpo, la società che possiede le aree (Cecilia Felicetti). L’impresa che ha avuto più successo nelle gare Expo, la Maltauro, ha ben tre appalti commissariati.

In questo clima, arriva anche la segnalazione della Corte dei conti: Expo 2015 Spa, nel 2013, ha chiuso l’esercizio con una perdita economica di 7,42 milioni di euro, 2,39 milioni in più rispetto al 2012. Una perdita, questa, riconducibile “in gran parte al pianificato aumento dei costi della produzione”. Il bilancio è in profondo rosso. E ora a Comune di Milano e Regione Lombardia restano sul gozzo (e sui bilanci futuri) oltre 300 milioni di debiti per terreni acquistati, dal destino incerto e che nessuno vuole comprare.

Chiude la Corte dei Conti: “Si rivela ora indispensabile, a pochi mesi dall’inaugurazione dell’Esposizione, che la società gestisca in modo incisivo e trasparente i problemi ancora presenti, tra i quali quelli conseguenti ai procedimenti giudiziari in corso, assicurando la legalità delle procedure di affidamento delle opere e dei servizi, al fine di salvaguardare, con il corretto impiego delle risorse impegnate, anche l’immagine del Paese nel contesto internazionale”.

Auguri, comunque vada Expo 2015 sarà un fallimento per tutti tranne che per la Mafia. E per favore nessuno parli di Olimpiadi….

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Mafia al pesto

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Nemmeno la Liguria può essere definita un’isola felice estranea alla malavita organizzata, in quanto anche qui esistono inquietanti insediamenti delle mafie tradizionali italiane e di mafie straniere. La particolare conformazione geografico-economica della Liguria ha attirato ed attira infatti l’interesse di numerose e variegate realtà criminali, che hanno individuato nella regione un paradiso dove poter riciclare le ingenti ricchezze prodotte dalle attività illecite, una piazza tranquilla dove svolgere con sistematicità le più proficue attività di estorsione ed usura, il tutto all’ombra del paravento legale offerto dal casinò di Sanremo. Non solo: il fatto del tutto precipuo che la regione confini con la Francia ed offra un agile attraversamento del confine, ha consentito fin dagli anni ’70 a molti criminali di colonizzare la Costa Azzurra e di fondare le basi logistiche per la gestione di importanti latitanti sfruttando un rapporto di amicizia con la criminalità marsigliese.

E` noto che l’arrivo a nord di alcuni soggetti organici alle cosche è legato al provvedimento che negli anni ’50 ha mandato al confino alcuni soggetti sospettati o condannati per gravi fatti e comunque inseriti in contesti mafiosi, con la prospettiva di sradicarli dal territorio ove avevano esercitato la loro influenza, e che invece ha determinato all’opposto il radicamento degli stessi nei nuovi luoghi ove si era pensato di isolarli. Inoltre, è altrettanto noto che diverse presenze calabresi e siciliane risalgono alla rinascita economica del Paese nell’immediato secondo dopoguerra, allorchè in tutto il nord si è trasferito un notevole numero di immigrati attirati dall’attività di ricostruzione di strutture ed infrastrutture e dalla possibilità di lavorare nella vicina Francia.

Le infiltrazioni mafiose sono forse il pericolo maggiore che sta correndo questa regione in questo momento: le organizzazioni criminali hanno scelto una via di estrema prudenza: sono molto silenziose. Sono organizzazioni che non hanno trasferito su questo territorio le fenomenologie mafiose e il comportamento tipico delle regioni di origine: lavorano sotto traccia, sembrano prevalentemente interessate ad acquisire un ruolo nell’economia legale, ad infiltrarsi in essa, a condizionare anche la vita complessiva di questa collettivita`, ad esempio attraverso interessi nel mondo delle istituzioni e una partecipazione ai processi elettorali” ; “le famiglie sono attive su tutto ciò che dà un ritorno economico: questo territorio viene utilizzato soprattutto per il ritorno economico che deriva dalla attività di riciclaggio e di mimetizzazione per la stessa possibilità di svolgere attività imprenditoriali nascondendosi dietro il paravento della legalità”Prefetto dott. Musolino.

La realtà territoriale ligure, tradizionalmente impermeabile rispetto all’azione di gruppi criminali orientati a praticarvi forme di controllo e di intimidazione, ha conosciuto una presenza criminale riferibile sia a «cosa nostra», attiva con numerose «decine» sparse sul territorio, sia alla ’ndrangheta calabrese, organizzata attraverso «locali» soprattutto a Genova e nel Ponente Ligure.

Con particolare riferimento alla ’ndrangheta, e` stata accertata l’esistenza di almeno quattro locali: Ventimiglia, Genova, Lavagna e Sarzana. Una camera di controllo a Genova ed una camera di compensazione a Ventimiglia.

Più specificatamente, la presenza mafiosa in Liguria può essere descritta come segue.

Il territorio di Genova

L’attività della criminalità organizzata è qui indirizzata per lo più alla conquista silenziosa di spazi di azione sul territorio. L’assetto dell’organizzazione risulta piuttosto variegato e riferibile sostanzialmente alle seguenti componenti:

– un gruppo di vertice riconducibile a Antonio Rampino e al suo contesto familiare, collegato ad altre realtà criminali;

– un gruppo originario di Mammola e riconducibile al clan Macrì, impegnato nella gestione dei videogiochi e nel narcotraffico;

– la fazione dissidente capeggiata da Domenico Gangemi e Savoca Giuseppe, nel cui ambito si collocano anche Pronestì Salvatore, Barbuto Angelo e Barbuto Francesco;

– la figura di Stefanelli Vincenzo, originario di Oppido Mamertina (RC), impegnato autonomamente nel narcotraffico, con i suoi compaesani orbitanti nell’hinterland milanese.

La provincia di Imperia e il Ponente ligure

Per Ponente ligure si intende la provincia di Imperia, con i comuni di Sanremo, Bordighera e Ventimiglia, confinante con la Francia ed, in particolare, con la Costa Azzurra. In queste zone vi è la presenza storica di forme di criminalità organizzata, prevalentemente la ’ndrangheta ed, in passato, anche la camorra. Imperia è la parte più esposta perchè, già dal 1947, è cominciata la colonizzazione criminale, con le famiglie Morabito, Palamara e Martone su Ventimiglia, collegate alle cosche Piromalli e Alvaro-Palamara, i De Marte, Ventre, Marcianò ed Asciutto. Con riferimento alla ’ndrangheta oggi spicca, per importanza, la famiglia Pellegrino, originaria di Seminara (RC), collegata attraverso vincoli familiari con elementi di spicco della criminalità locale e con la cosca calabrese Santaiti-Gioffrè ed, in particolare, con Barillaro Fortunato. Un breve cenno sulla criminalità che prolifera intorno al casinò di Sanremo impone di menzionare la famiglia di Tagliamento Giovanni, già appartenente al clan della camorra Zazza e Cuomo dagli anni ’80.

Il casinò di Sanremo è una società per azioni partecipata dal Comune di Sanremo e dalla Provincia di Imperia, e rappresenta, come i vicini casinò francesi di Mentone e Montecarlo, uno dei frequenti poli di attrazione per le criminalità mafiose che necessitano di reimpiegare i denari derivanti dalle attività illecite. Complesse indagini svolte nel 2009, oltre ad accertare la responsabilità di due croupier che si appropriavano di ingenti somme di denaro simulando sistematicamente un cambio di fiches per un importo di molto superiore a quello reale, hanno evidenziato la sussistenza di complicità negli organismi di controllo interno e nella amministrazione di vertice della casa da gioco. Risulta infatti accertato che, benchè i due croupier avessero violato tutte le procedure, nessuno degli addetti al controllo della sala regia ha mai sollevato alcuna contestazione: ed effettivamente le indagini hanno accertato il coinvolgimento dei direttore dei giochi del casinò, Giovannini, del suo assistente di direzione Roberto Mento e del direttore amministravo Salvatore Caronia. In particolare, il Mento percepiva una percentuale sulle provvigioni riconosciute dal casinò al porteur (procacciatore di giocatori); arrestato e sottoposto a custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere e furto aggravato in relazione alla gestione dei casinò di bordo delle navi da crociera della società di navigazione MSC, il Mento risultava avere rapporti continuo con Giovanni Tagliamento, già appartenente al clan della camorra napoletana Zaza e Cuomo dagli anni Ottanta.

Il Procuratore dott. Cavallone ha definito il Tagliamento «il punto di riferimento per ogni criminale italiano che voglia operare nel settore del narcotraffico. Anche i calabresi, quando intendono operare nella zona di Mentone o Nizza, si appoggiano a Giovanni Tagliamento, che ha assunto una posizione egemone anche da un punto di vista imprenditoriale». Inserito in una pericolosa organizzazione criminale operante in Liguria, e già raggiunto nel 2009 dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale personale e patrimoniale erogata nei suoi confronti dal Tribunale di Imperia, il Tagliamento, in un primo tempo, dagli anni Novanta, si era reso latitante, ma poi nel 2009 è stato arrestato attraverso una rogatoria eseguita con la Francia. La dott.ssa Canepa, in sede di audizione avanti alla Commissione, ha ricordato che il Tagliamento è stato arrestato in seguito ad una indagine molto significativa relativa a speculazioni immobiliari, per le quali lo stesso aveva assunto il ruolo assolutamente defilato del prestanome tipico dei boss, in quanto si era fatto assumere come dipendente di una società francese di costruzioni edili di soggetti calabresi trasferiti a Mentone. La missione eseguita in Liguria ha inoltre esplicitato che strettamente connesso al tema del casinò di Sanremo è quello del gioco legale o illegale, settore che ha destato tale particolare interesse nella criminalità mafiosa, da indurla, come si è visto, a minacciare direttamente alcuni esponenti politici di Bordighera che si erano opposti alla apertura di una sala giochi in un locale di quella città. Sul punto, il Procuratore dott. Cavallone ha infatti riferito che il volume di affari che ruota intorno ad una sala giochi «rimane un grandissimo affare, e ciò ha suscitato il grandissimo interesse della criminalità organizzata; anche se il gioco rimane lecito, il problema è che spesso alcuni soggetti vogliono eliminare gli altri concorrenti ed avere il monopolio esclusivo del settore. La vicenda dei Pellegrino nel Ponente ligure è emblematica di ciò che accade con altre organizzazioni criminali in altre zone nel nostro territorio». Un altro tema importante legato al casinò di Sanremo ed al circuito delle sale gioco, è quello della commissione dei reati di riciclaggio ed usura legata alla necessità di far fronte a perdite di gioco. Il Procuratore dott. Cavallone ha infatti ricordato che «intorno al casinò e alle case da gioco ruotano tutti quei pescecani che sfruttano i momenti di difficoltà di chi non riesce a resistere alla sirena del gioco». Pescecani che trovano così il modo per disfarsi del contante guadagnato illegittimamente (ad esempio dal narcotraffico o da altre attività criminose perpetrate dalla organizzazione criminale), e per farsi promettere in cambio interessi usurari e rilasciare a titolo di promessa di restituzioni cambiali per somme ingenti. Proprio per contenere, se non evitare, la proliferazione di simili personaggi legati a varie forme di criminalità organizzata, presso il casinò di Sanremo è stata collocata di recente una sezione distaccata della Squadra Mobile di Imperia, che valuta, anche se sommariamente, l’affidabilità sociale ed economica dei frequentatori del casinò. D’altra parte, sul territorio ligure sono state rinvenute anche situazioni opposte: vale a dire casi di istituti bancari che hanno rilasciato con estrema facilità credito ad uno o più soggetti e società, sicuri che il credito sarebbe stato onorato: il dott. Cavallone ha riferito trattarsi della Banca di Caraglio del Cuneese e della Riviera dei Fiori, che avrebbe «concesso ad Ingrasciotta Giovanni, legato al boss Matteo Messina Denaro, mutui per centinaia di migliaia di euro praticamente in assenza di qualsiasi garanzia» 

Il territorio della provincia del Levante ligure

Di questo territorio fanno parte i Comuni di Lavagna (dove vive da tempo la famiglia ’ndranghetista Nucera, originaria di Condofuri, dedita all’edilizia ed allo smaltimento di rifiuti) e Sarzana (dove vivono le famiglie Romeo-Siviglia, De Masi di Roghudi, Sinopoli e Roccaforte del Greco), cittadine nelle quali l’operazione “Il Crimine” ha individuato due locali di ’ndrangheta, nonchè Chiavari e Sestri Levante. Gli altri reati commessi sono: narcotraffico, racket, gestione illegale dei videopoker, usura e favoreggiamento dei latitanti.

A La Spezia, invece, si registra, da tempo, una capillare azione di penetrazione di «cosa nostra» nelle strutture economiche che ruotano intorno ai cantieri navali.

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Dal 1991 al 2012 sciolti 229 comuni per infiltrazioni mafiose

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Dal mese di maggio 1991 al 31 dicembre 2012 i governi che si sono succeduti alla guida del Paese hanno emesso ben 229 provvedimenti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni e/o condizionamenti di tipo mafioso. L’esperienza di questi ventuno anni ha dimostrato quanto il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata negli enti locali sia radicato ed esteso e come lo stesso sia riuscito a diffondere tra i cittadini la percezione del predominio mafioso.

Le indicate cifre rappresentano in tutta la loro interezza la dimensione di un fenomeno cospicuo ed allarmante e che fa emergere con estrema chiarezza come nelle realtà amministrative locali si annidano i luoghi ove corruzione, minacce e violenza condizionano ed influenzano le pubbliche decisioni. 

La distribuzione geografica dei 229 decreti di scioglimento vede in prima fila le Regioni meridionali, che fino all’anno 1995 hanno assorbito la totalità dei provvedimenti. A Calabria, Campania (i primi comuni sciolti furono, con D.P.R. del 2 agosto 1991, Taurianova in provincia di Reggio Calabria e Casandrino in provincia di Napoli), Sicilia e Puglia, nel 1994 si aggiunge la Basilicata, in quanto con D.P.R. del 26 gennaio viene sciolto il Consiglio comunale di Montalbano Jonico, in provincia di Matera.

Questa egemonia del Meridione si interrompe nel 1995, quando con D.P.R. del 2 maggio viene sciolto il Consiglio comunale di Bardonecchia (TO). Negli anni successivi, sino al 2011, con la sola eccezione del 2005, quando con D.P.R. del 13 dicembre, il Consiglio dei Ministri delibera lo scioglimento dell’Amministrazione comunale di Nettuno (Roma), vengono interessate dai provvedimenti di scioglimento soltanto le regioni Calabria, Campania e Sicilia.

Nell’ultimo biennio si assiste, invece, ad un notevole cambio di tendenza, tra i 30 provvedimenti emessi, il 13,3 per cento di essi vede coinvolte quattro amministrazioni del Settentrione. I quattro consigli comunali sciolti sono due liguri, Bordighera, il provvedimento è stato successivamente annullato dal Consiglio di Stato, e Ventimiglia, in provincia di Imperia e due piemontesi, Leinì e Riolo Canavese in provincia di Torino.

Esaminando i dati disaggregati per regione si osserva che il primo posto è occupato dalla Campania, con 91 amministrazioni comunali sciolte, seguita dalla Calabria con 63, dalla Sicilia con 61, dalla Puglia con 7, dal Piemonte con 3 e dalla Liguria con 2, chiudono il Lazio e la Basilicata con un solo provvedimento.

Le province di Napoli, Reggio Calabria, Caserta e Palermo sono le più colpite da provvedimenti di scioglimento. Per dare un’idea della rilevanza del fenomeno delle infiltrazioni mafiose in queste province, basti pensare che su un totale di 375 comuni, ben 140 sono stati raggiunti da un provvedimento di scioglimento per infiltrazioni mafiose, raggiungendo un dato percentuale intorno al 37%.

I dati aiutano ad evidenziare come le infiltrazioni mafiose nei governi locali non siano un fenomeno marginale o da sottovalutare. Al contrario, in alcune aree, purtroppo molto estese del nostro Paese, il condizionamento delle amministrazioni locali da parte dei gruppi criminali sembra essere il modo ordinario del funzionamento della politica. 

Nell’attuale legislatura (29 aprile 2008 – 31 dicembre 2012) sono stati sciolti 49 consigli comunali: la Calabria e` stata interessata da 24 provvedimenti, a fronte dei 12 della Campania, dei 9 della Sicilia e dei due provvedimenti a testa che hanno raggiunto consigli comunali delle regioni Liguria e Piemonte.

Dall’esame dei dati emergono, in particolare, due elementi di rilievo rispetto agli anni precedenti.

Il primo elemento è rappresentato dallo scioglimento, in soli 14 mesi, di quattro consigli comunali del Nord Italia. La circostanza assume maggior rilievo se si pensa che nei venti anni precedenti nelle regioni settentrionali era stata sciolta per infiltrazioni mafiose solamente l’Amministrazione comunale di Bardonecchia (TO). Questo dato rappresenta, soprattutto, una sorta di conferma di come le organizzazioni criminali non considerino le regioni del Nord solo un luogo di transito occasionale per i propri affari, bensì una sorta di luogo non secondario nella articolazione e gestione del proprio potere in ambito nazionale.

Il secondo elemento, riguarda la conferma del potere assunto in quest’ultimi anni dalla ’ndrangheta rispetto alle altre organizzazioni mafiose. A testimonianza di ciò, si può osservare come nel periodo preso ad esame gli scioglimenti che hanno interessato la Calabria si siano attestati prepotentemente in testa alla classifica con 24 provvedimenti. Un numero destinato a salire a 28 se si aggiungono i quattro comuni del Nord Italia, Bordighera, poi annullato dal Consiglio di Stato, e Ventimiglia, in provincia di Imperia, e Leinì e Rivarolo Ticinese, in provincia di Torino, dove a condizionare la politica locale è sempre stata la ’ndrangheta. 

Anche durante l’attuale legislatura si è assistito, da parte degli amministratori raggiunti da provvedimenti di «scioglimento», ad un diffuso ricorso al Giudice amministrativo, pertanto non appare fuori luogo ricordare che il Consiglio di Stato ha riconosciuto che la natura del provvedimento di scioglimento, ovviamente di carattere straordinario, non è di tipo sanzionatorio, ma preventivo. Questo comporta che quale presupposto per lo scioglimento si richieda solo la presenza di “elementi” su “collegamenti” o “forme di condizionamento” che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata, che non devono necessariamente concretarsi in situazioni di accertata volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, nè in forme di responsabilità personali, anche penali, degli amministratori.

In particolare a parere del Consiglio di Stato, lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non esige nè la prova della commissione di reati da parte degli amministratori, nè che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili; sono sufficienti, invece, semplici “elementi” (e quindi circostanze di fatto anche non assurgenti al rango di prova piena) di un collegamento e/o influenza tra l’amministrazione e i sodalizi criminali, ovvero è sufficiente che gli elementi raccolti e valutati siano “indicativi” di un condizionamento dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata.

(Fonte Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia)


I nuovi boss. Mafia, ‘ndrangheta e camorra. Come sono cambiate Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra negli ultimi anni, dopo arresti importanti che ne hanno decapitato i vertici? Esistono ancora i boss o il fenomeno mafioso si è frammentato in mille realtà locali che controllano solo piccole parti del territorio? O, viceversa, è diventato globale, allungando i suoi tentacoli ben al di là dell’Italia? E chi sono oggi i capi delle cosche? 

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106 amministratori calabresi hanno subito intimidazione mafiose nel 2012

Consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose

Consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose

Sono 106 gli amministratori calabresi che hanno subito almeno un’intimidazione nel corso del 2012. Un dato drammatico, che si conferma per il terzo anno consecutivo, e che riguarda tutte le province della regione, considerato che la ripartizione ha un segno più marcato in quella di Reggio Calabria (31 episodi), ma si conferma anche a Cosenza (28), Catanzaro (18), Vibo Valentia (17) e Crotone (12). A darne conto e’ il report di Legautonomie Calabria presentato ieri a Catanzaro da cui emerge che i sindaci sono stati i soggetti politici più esposti alla violenza intimidatrice, interessati al 38% del totale degli episodi. Inoltre quasi meta’ del totale (47%) degli episodi censiti dal 2000 in poi, e che sono oltre mille, è stata compiuta in un piccolo comune. Il 2012 e’ stato anche anno record per il numero di scioglimenti di consigli comunali per infiltrazioni mafiose, con 11 consigli sciolti in Calabria, il dato piu’ elevato di sempre. San Procopio (Rc), con i suoi 573 abitanti, è il più piccolo comune italiano disciolto per infiltrazioni mentre Reggio Calabria è il più grande. Per Briatico e Platì si è trattato del secondo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Tra i motivi generali dello scioglimento anticipato, le dimissioni dei consiglieri incidono per il 56% dei casi, mentre al secondo posto ci sono le dimissioni del sindaco (17%) e al terzo le infiltrazioni mafiose (13%).

Anche per l’anno appena trascorso i numeri parlano chiaro. Per la terza volta consecutiva il 2012 ci consegna un numero di atti intimidatori nei confronti di amministratori locali calabresi superiore ai cento episodi, una media di due a settimana. Gli episodi contro gli amministratori di Monasterace hanno conquistato le cronache nazionali ma non si possono sottacere i reiterati casi nei Comuni di Isola di Capo Rizzuto, San Giovanni in Fiore, Taurianova, San Pietro a Maida e altri. Anche nel corso del 2012 i Sindaci sono stati i soggetti politici più esposti alla violenza intimidatrice, interessati a circa il 40% degli totale degli episodi.

Il rapporto tra intimidazioni e classe demografica dei comuni offre una duplice chiave di lettura. Il fenomeno si manifesta in rapporto diretto alla demografia considerato che in tutti i comuni calabresi con popolazione superiore a 10 mila abitanti è stato rilevato almeno un episodio a partire dal 2000. La percentuale di comuni interessati al fenomeno decresce col decrescere della popolazione. Se il dato viene rapportato alla popolazione residente il numero delle intimidazioni per mille abitanti cresce con la diminuzione della demografia comunale. In ogni caso quasi metà del totale (47%) degli episodi censiti dal 2000 in poi -e che sono oltre mille – è stata compiuta in un piccolo comune. Il dato di un numero sempre crescente di Comuni calabresi interessati dal fenomeno, con un andamento di crescita costante, merita qualche riflessione.

E’ un indicatore, questo, di una pressione sempre maggiore sulle autonomie locali calabresi da parte di una criminalità intenzionata ad imporre le proprie regole di produzione della politica.

Per questo la domanda apparentemente semplice di cosa spinge la ‘ndrangheta ad occupare Comuni abitati da poche centinaia di persone, di quali i possibili guadagni, occasioni di arricchimento, di appalti, in municipi con bilanci di poche centinaia di migliaia di euro se non già dissestati è mal posta.

Non bisogna cadere nell’errore di pensare che solo le grandi opere pubbliche, i grandi appalti, possano essere oggetto di interesse criminale. Anche le piccole opere di manutenzione, gli appalti di modesta entità economica sono funzionali non tanto e non solo al lucro, bensì alla necessità di marcare sempre più strettamente una presenza.

Piccole e grandi occupazioni, dalle grandi opere pubbliche all’appalto della strada vicinale abbisognano di un controllo ferreo di tutti i centri decisionali politico-amministrativi. Pensiamo, inoltre all’infiltrazione anche nella gestione dei servizi – mense scolastiche trasporti, raccolta rifiuti, ecc. proprio e soprattutto questi ultimi rivestono particolare importanza in quanto, trattandosi di servizi rivolti ai cittadini, hanno una evidenza “sociale” che offre consenso alle ditte che gestiscono il relativo servizio. Solo così si può spiegare la circostanza che “sotto tiro” ci sono anche gli amministratori dei Comuni di piccolissime dimensioni, in alcuni dei quali gli episodi intimidatori si ripetono con cadenza impressionante.

Nel 2013 cadrà il ventennale di una delle prime e più importanti riforme istituzionali del Paese, l’elezione diretta dei Sindaci che, per un decennio, ha spostato il baricentro politico dal centro ai territori. C’è da chiedersi cosa è rimasto oggi di quella importante innovazione, considerata la sempre maggiore marginalizzazione degli enti locali, costretti a fare i conti con risorse sempre più ridotte e ad abbandonare il ruolo di soggetti di cambiamento. E’ indubbio che nell’attuale declino dei territori, che erode l’autorità dei primi cittadini e rende sempre più problematico il governo virtuoso delle comunità, il ripetersi degli atti di violenza contro gli amministratori locali può indurre esiti ancora più dissolventi ed imprevedibili in carenza di reti solide di relazioni istituzionali. Ripartire dagli enti locali significa, dunque, dare certezze alle prospettive delle istituzioni più radicate sul territorio che sono state, nella storia del paese, portatori di uno sviluppo che è stato sempre di quantitativa ricchezza di soggetti e di qualitativa ricchezza di vitalità soggettiva.

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