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Le 192 Grandi Truffe

Infrastrutture Italia

È notizia di questi giorni i 130 milioni di investimento per mettere in sicurezza le nostre strade, ma il tema ben più importante delle infrastrutture è incredibilmente scomparso dal dibattito politico dopo 10 anni durante i quali, attraverso la Legge “truffa” Obiettivo, aveva preso il centro della scena. 1,5 miliardi di Euro buttati, 192 infrastrutture tra strade, autostrade, linee ferroviarie e solo il 9% realizzato 17 su 192. Perché nessuno parla di questo debito pubblico nascosto (per ora) dentro i bilanci dello Stato?

Dalla campagna elettorale del 2001 il tema infrastrutturale nel nostro Paese è stato assoluto protagonista del dibattito politico, come non ricordare Berlusconi a “Porta a porta” alla prese con la lavagna e pennarelli disegnare le grandi opere da realizzare, e poi al centro di dibattiti e di provvedimenti come appunto la “Legge Obiettivo“. Forse mai come in questi ultimi anni si è parlato tanto di infrastrutture in Italia e mai così in tanti hanno sottolineato il ruolo fondamentale che queste possono svolgere per recuperare i ritardi del Paese. Studi, ricerche, pubblicazioni hanno sviscerato ogni aspetto della situazione e sottolineato i costi pagati dal sistema delle imprese a causa dei ritardi nella realizzazione delle opere causati, si sosteneva, da localismi esasperati e dai veti ambientalisti. Oggi chi blocca le infrastrutture realmente utili in Italia sono le lobby delle costruzioni. Lobby che hanno tutto l’interesse a continuare a tenere in vita questi progetti, a distribuire poltrone e consulenze.

Nessuno ne parla ma il crack della Legge Obiettivo sta assumendo aspetti realmente drammatici:

  • 1,5 miliardi di Euro buttati: dal 2001 ad oggi è questo l’ammontare di Euro spesi per studi o progettazioni preliminari e definitive di opere che mai vedranno la luce. Dal progetto dell’autostrada Lucca-Modena al Tunnel del Mercantour, dalla Pedemontana Abruzzo-Marche fino al Ponte sullo Stretto di Messina. La bulimia di opere, grandi e piccole, ma tutte definite “strategiche” è stata tale in questi anni da aver fatto lievitare l’elenco fino a 192 infrastrutture tra strade, autostrade, linee ferroviarie, porti, aeroporti. Dal 2001 ad oggi, di questo elenco di opere solo il 9% è stato realizzato (17 su 192) ma per tutte le altre l’iter va avanti e quindi continuano le spese, malgrado in molti casi sia assolutamente evidente che non potranno mai essere realizzate. Vengono infatti portati avanti studi e consulenze pagati direttamente dallo Stato oppure attraverso ANAS e FS o al limite attraverso concessioni o project financing. Per alcune di queste opere sono anche stati nominati commissari, create società ad hoc, con ulteriori spese e stipendi e finché queste opere non verranno fermate si continueranno a buttare soldi pubblici.
  • 304 miliardi di Euro di debiti è la spesa prevista (e giudicata sottostimata) per le 175 opere trasportistiche ancora da realizzare contenute nell’elenco (dati ufficiali della Camera dei Deputati). Pur essendo del tutto evidente che risorse di questa entità sono assolutamente impossibili da reperire persino in un arco di venti anni, le opere non vengono fermate, tutte quante stanno procedendo, seppur lentamente, per arrivare fino alla progettazione esecutiva, in alcuni casi aprendo qualche cantiere e molto spesso firmando impegni e contratti che stanno creando debiti occulti di decine di miliardi di euro. Eppure nessuno ne parla. Non solo, questa folle spesa andrebbe a finanziare in larga parte strade e autostrade, come avvenuto dal 2001 ad oggi quando hanno beneficiato del 67% delle risorse stanziate dal CIPE. Città come Roma, Milano, Napoli, Firenze, Palermo, solo per citare le più grandi, non avrebbero alcuna possibilità di realizzare nuove metropolitane e linee di tram perché assenti dall’elenco o relegate agli ultimi posti. Eppure in Italia è proprio nelle aree urbane che si trova l’80% della domanda di trasporto delle persone ed è qui che si evidenzia il più rilevante ritardo rispetto all’Europa.
  • Fallito il project financing si chiedono soldi pubblici per le autostrade del Nord, che dovevano essere pagate dai privati. Le notizie trapelano da qualche tempo in forma più chiara: Pedemontana lombarda, nuova tangenziale Est di Milano, Bre.Be.Mi. sono in crisi. Servono dunque risorse pubbliche e urge l’intervento della Cassa depositi e prestiti per garantire aumenti di capitale. Dopo anni di retorica sui privati pronti a investire nelle infrastrutture, fermati in passato solo dai veti ambientalisti, ora il bluff si svela. Queste opere hanno enormi problemi di finanziamento e quindi si chiede l’intervento dello Stato che dovrebbe garantire non solo questi progetti ma anche, possibilmente, salvare le altre autostrade che si vorrebbero costruire in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna (Pedemontana veneta, Valdastico, Passante Nord di Bologna, Val Trompia, Tangenziale sud di Brescia, Ti.Bre. Parma-Verona, Pedemontana piemontese, Nogara-mare, Autostrada Romea, Valdastico Nord, Campogalliano-Sassuolo) per complessivi 26 miliardi di Euro. Ma è politica la scelta di finanziare queste autostrade con soldi pubblici. Per realizzarle si dovrà rinunciare a altri investimenti, come si è già fatto in questi anni con il Passante autostradale di Mestre, pagato con soldi pubblici (900 milioni), quando Nel Decreto Sviluppo, approvato lo scorso dicembre, il Ministro delle Infrastrutture Corrado Passera ha inserito ulteriori risorse per le grandi opere sotto la forma di credito d’imposta fino al 50% del valore dell’opera a valere su IRES e IRAP. L’aspetto incredibile è che queste risorse pubbliche andranno a opere per le quali “è accertata la non sostenibilità del piano economico finanziario”. Ci troviamo quindi di fronte a un autentico regalo, in soldi pubblici, per opere che non servono (non sono prioritarie) e che non si ripagano neanche con i pedaggi. La beffa è che questo riguarderà in particolare le autostrade e l’interesse da parte dei concessionari sarà tutto nell’utilizzare il credito di imposta come primo sussidio per cominciare i lavori e poi andare a bussare al Ministero delle Infrastrutture per accedere a finanziamenti pubblici per concludere i lavori. Quindi, cantieri infiniti per opere inutili..

Nonostante tutto questo nessuno ne parla, come mai? La spiegazione è forse, persino banale: su quell’elenco di 192 opere c’è un vastissimo consenso, Ponte sullo Stretto e Torino-Lione escluse, trasversale agli schieramenti. Sono tutti d’accordo, hanno interessi di portafoglio. Se Berlusconi è stato l’inventore della Legge Obiettivo, quando al Governo è tornato il Centrosinistra con Di Pietro Ministro delle Infrastrutture, l’elenco è addirittura cresciuto e si è continuato ad investire in nuove autostrade e in Alta Velocità.

L’operazione verità sarebbe quindi urgente ma certo non semplice da realizzare, perché tutti hanno inseguito il sogno lanciato nel 2001 da Berlusconi, per cui tutto era possibile e qualsiasi infrastruttura era a portata di mano perché tanto erano stati tolti i veti locali e la crescita del traffico avrebbe ripagato ogni investimento. Eppure oggi che i numeri dimostrano il contrario, perché il traffico scende per via della crisi e quindi nulla si ripaga, ci vorrebbe il coraggio di dire che quell’elenco di opere è semplicemente impossibile da realizzare. E che finché quell’elenco non verrà cancellato si continueranno a fare gli interessi esclusivamente di grandi aziende delle costruzioni e di progettisti, intermediari e banche. Ed è significativo che nei grandi cantieri siano sempre gli stessi grandi soggetti a figurare, a partire da Impregilo e CMC di Ravenna, e il ripetersi dell’inestricabile intreccio di interessi e partecipazioni incrociate di banche, imprese di costruzioni, concessionarie autostradali.

*Dossier Legambiente “Chi ha ha visto la legge obiettivo?”

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