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Gli sprechi dell’Inps continuano

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C’è un altro capitolo nella storia non esattamente commendevole del cospicuo patrimonio immobiliare dell’Inps: a distanza di un anno dai proclami di risanamento di un buco nero che costa centinaia di milioni l’anno, ancora non si è fatto niente.

Lo certifica una delibera del Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’ente datata 17 febbraio: nonostante le numerose richieste, scrivono ai vertici Inps, noi il piano complessivo sugli immobili non lo abbiamo ancora visto, quindi non è il caso di svendere pezzi di patrimonio. L’ultimo atto della saga dei palazzi Inps è solo del 23 dicembre scorso, appena un giorno prima della formale indicazione di Tito Boeri a presidente dell’Istituto. Su proposta dell’ex direttore generale Mauro Nori, infatti, il commissario Tiziano Treu (ex ministro di centrosinistra vicino alla Cisl) ha firmato una delibera che rilanciava il piano di vendita dei palazzi dell’ente in tre mosse: il conferimento di immobili al Fondo Gamma di Idea Fimit, una società controllata dal gruppo De Agostini di cui Inps possiede circa il 30%; un’operazione di dismissione fatta con Invimit sgr, il fondo creato dal governo proprio per vendere gli edifici pubblici (bizzarramente si spiega, il 23 dicembre, che s’intende assicurare “il buon esito”della vendita “entro il 2014”); infine la possibilità di dare via le “unità residenziali di pregio” agli inquilini ai prezzi che l’Agenzia del Territorio decise nel 2003 (a una condizione: mettere la parola fine a un contenzioso legale che si trascina da un decennio).

Il Civ, nella decisione di febbraio già citata, ha bocciato la delibera con parole nettissime: “Il Consiglio ha già emanato i propri indirizzi in materia di patrimonio mobiliare e immobiliare e non ha ancora ricevuto, nonostante le numerose richieste, il piano degli investimenti e disinvestimenti dell’Inps”. Tradotto: magari prima capiamo cosa volete fare, poi nel caso si procede.

Che l’Inps non sappia ancora cosa fare dei suoi immobili è abbastanza sorprendente. Per due motivi. Il primo: l’Istituto è, se ci si passa l’espressione, uno dei più grossi “palazzinari” italiani. Il patrimonio è infatti valutato complessivamente 3,2 miliardi: 800 milioni sono il valore delle poco meno di 700 sedi proprie, i restanti 2,4 miliardi invece quello di 25.440 unità immobiliari (palazzi, appartamenti, negozi) destinate alla vendita o alla locazione. Secondo il rapporto consegnato al Parlamento nel novembre 2013 dal dg Nori si tratta di 15.100 unità ex Inpdap, 9.500 ex Inpdai, 750 dell’Inps, 90 ex Ipost. Tutti gli affluenti, insomma, dai quali il governo Monti nel 2012 ha creato l’attuale SuperInps. Il secondo motivo per cui è strano che niente si sia mosso è che la gestione degli immobili nell’ente è un vero e proprio buco nero. Pare incredibile, ma da questa enorme massa di mattoni l’Inps riesce a perderci e pure parecchio. In totale tra il 2008 e il 2013 il buco ammonta a 655 milioni. La situazione, anzi, è andata peggiorando.

Nel 2012, infatti, il governo Monti estese il pagamento dell’Imu anche all’Istituto: una cosetta che pesa per circa 220 milioni l’anno, costo che è andato a sommarsi alle perdite strutturali sul patrimonio, vale a dire una cifra che ha oscillato tra i 30 e i 50 milioni l’anno dal 2008, anno primo dell’èra Mastrapasqua finita un anno fa. Siamo, all’ingrosso, sopra i 250 milioni di “rosso” ogni dodici mesi. Spiegare la cosa alla fine è abbastanza semplice: persino al netto dell’Imu, gli affitti non coprono le spese di gestione. Si potrebbe dire che l’Inps deve fare dell’housing sociale, ma allora sarebbe il caso di specificarlo e far coprire la differenza alla fiscalità generale. In realtà, c’è di peggio: nonostante nell’attuale Inps abbondino professionalità in grado di farlo, per realizzare queste perdite stupefacenti l’ente affida ai privati la gestione. Dal 2010 infatti – e ancora attualmente dopo una faticosa gara d’appalto – sono grandi imprese del settore (Prelios e il gruppo Romeo) a occuparsi dei palazzi Inps: l’ultima gara vale va oltre 41 milioni in un triennio, più eventuali costi variabili. Nel 2010, per dire, l’assegno fu di 23 milioni di euro.

L’Inps, nonostante il popò di patrimonio immobiliare di cui sopra, riesce a spendere pure 120 milioni in affitti. La cosa più sorprendente, però, è che molti dei palazzi in cui paga la pigione sono suoi. È andata così. Con la Finanziaria del 2005 il governo Berlusconi dispose che gli enti previdenziali conferissero alcuni loro palazzi a una cosa chiamata Fondo immobili pubblici, che però è privato: lo gestisce la Immobiliare Finnat della famiglia Nattino. Tra Inps, Inpdap e Inail passarono di mano 396 immobili di pregio valutati all’epoca 3,7 miliardi e pagati al Tesoro (con lo sconto) 3,3. Solo che, essendo per lo più sedi proprie, Fip provvide a fare un bel contratto d’affitto della durata massima di 18 anni: l’Inps si impegnò a traslocare prima, ma si sa come vanno queste cose. Gli uffici sono ancora lì e gli affitti pure, rivalutati ogni anno. La Corte dei conti ha spesso criticato la cosa, ma si sa pure come va coi rilievi della magistratura contabile. Un’ultima cosa: il Fip dei Nattino, ovviamente, i suoi immobili li fa fruttare e così paga piacevoli cedole ogni anno ai suoi azionisti. Chissà com’è che all’Inps non ci riescono.

(Marco Palombi – Il Fatto Quotidiano 11 Marzo 2015)

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Dal 2008 fallite 11.200 imprese edili

imprese edili

“Le imprese sono ridotte allo stremo: dal 2008 abbiamo perso 690mila posti di lavoro considerando tutta la filiera delle costruzioni e si stima che 50.000-80.000 persone, oggi in Cassa integrazione guadagni, potrebbero non essere reintegrate. 11.200 imprese edili sono fallite”. E’ quanto ha dichiarato il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, nel suo intervento all’assemblea dell’associazione.

Convinti di fare bene, i nostri Governi hanno seguito la linea più rigorosa di tutti i paesi avanzati: il più attento rispetto dell’austerità. Tutto il contrario di quello che nel frattempo avveniva non soltanto Oltreoceano, ma anche nelle altre grandi potenze europee. Per esempio gli Stati Uniti, che nel momento in cui bisognava ripartire lo hanno fatto dall’edilizia, prevedendo un grande piano di investimenti a sostegno dei mutui per le famiglie che vogliono comprare casa e grandi investimenti in opere pubbliche. Così ha fatto il Giappone, che con la Abeconomics è uscito dalla stagnazione ventennale nel quale era caduto puntando su grandissimi interventi infrastrutturali. Così la Gran Bretagna, che ha investito 100miliardi di sterline. Ma provvedimenti a sostegno dell’industria delle costruzioni sono stati messi in campo con decisione anche dalla Francia e dalla Germania. Noi siamo gli unici ad aver attuato una politica di rigore assoluto senza alcun sostegno al mercato interno. Le imprese sono ridotte allo stremo: abbiamo perso 690mila posti di lavoro considerando tutta la filiera delle costruzioni e si stima che 50.000‐80.000 persone, oggi in Cassa integrazione guadagni, potrebbero non essere reintegrate. 11.200 imprese edili sono fallite, il 28‐30% delle aziende non sono in condizioni di reggere un altro anno per mancanza di liquidità. Rispetto al 2007 il credito a sostegno delle imprese del settore è diminuito di 77 miliardi. Il mercato della casa è praticamente fermo: l’acquisto di nuove abitazioni da parte delle famiglie ha subito un crollo di 74 miliardi rispetto a 6 anni fa. L’Imu ha contribuito in modo determinante a questa caduta. I lavori pubblici si sono dimezzati. Siamo l’unica nazione che ha fatto il contrario di ciò che si dovrebbe fare: abbiamo immesso risorse nella fase di espansione degli anni 2000 e nel momento della crisi, anziché usare il settore in maniera anticiclica, abbiamo diminuito i fondi di 20 miliardi all’anno. Serve un Piano Marshall per la ripresa, pagare tutte le imprese subito. È necessaria la garanzia che le imprese vengano pagate anche nel 2014. Mancano ancora all’appello 12 miliardi per il settore. Inoltre, con la nuova Direttiva Europea che sancisce l’obbligo di pagare a 60 giorni, si sta attestando una progressiva ma lenta riduzione dei tempi di pagamento sui nuovi contratti. Tuttavia il rischio riscontrato è che le amministrazioni, a corto di fondi, comincino a ridurre le gare pur di non avere l’obbligo del pagamento.

Emergenza Casa. E’ necessario ridare credito a imprese e famiglie. Le banche non credono più nel mercato immobiliare: ci sono tassi di interesse di due punti superiori a quelli degli altri paesi, nonostante una domanda ancora elevata e una percentuale di insolvenza delle famiglie tra le più basse d’Europa. L’Ance ha studiato assieme all’Abi una proposta di obbligazioni garantite per finanziare i mutui alle famiglie per l’acquisto di abitazioni ad alta efficienza energetica. Altrettanto urgente è rivedere in modo sostanziale l’Imu, che ha comportato un aumento del prelievo patrimoniale del 367% e contribuito a bloccare il mercato dell’affitto. E poi far ripartire il grande Piano dell’housing sociale e delle case popolari, come fu il Piano Fanfani, che potrebbe creare migliaia di posti di lavoro e soddisfare le esigenze delle fasce più deboli della popolazione. L’Europa lo comincia a fare con la golden rule, perché non lo facciamo anche a casa nostra?

Le cose da fare non mancano per risanare e ammodernare il Paese: ci sono 30mila scuole a rischio, migliaia di edifici pubblici, a partire dagli ospedali, da mettere in sicurezza. C’è il più grande patrimonio storico‐artistico del mondo da tutelare e valorizzare: un esempio per tutti Pompei, che versa in condizioni disastrose.

Liberare il mercato dalla tassa occulta della burocrazia. Secondo la recente indagine Doing Business 2013 della Banca Mondiale, l’Italia è al 73° posto su 185 paesi analizzati. In Europa siamo addirittura gli ultimi (solo la Grecia è sotto di noi). Abbiamo contato tutte le sigle degli strumenti urbanistici esistenti a livello territoriale: sono ben 62! Al Paese serve una grande manovra di rilancio delle infrastrutture, dell’ordine di 70 miliardi, capace di sostenere la ripresa dell’economia e far aumentare l’occupazione senza sforare il limite del 3% di deficit fissato dalla Ue.

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