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Telecom Italia diventa spagnola: Ennesimo (in)successo per l’economia italiana

telecom-Italia

Il passaggio di Telecom agli spagnoli, precede di pochi giorni un ulteriore passaggio di quote di Alitalia ai francesi. Ecco cosa sono state le privatizzazioni italiane: un gigantesco passaggio di ricchezza, tecnologie, competenze e potere fuori dall’Italia. Adusbef e Federconsumatori chiedono di impedire la svendita di Telecom Italia agli spagnoli di Telefonica esercitando i poteri conferiti dalla legge al governo, quando sono in gioco gli interessi di aziende strategiche italiane.

La svendita di Telecom Italia agli spagnoli di Telefonica (che finanzierà l’operazione accumulando altri debiti oltre i 66,8 miliardi di euro iscritti a bilancio) rappresenta una grave sconfitta per il capitalismo di relazioni dominato da Mediobanca e per il Governo Letta, ma soprattutto lede gravemente i diritti e gli interessi dei consumatori. Sono loro, infatti, che hanno finanziato con le bollette la rete telefonica, costruendo un assetto strategico per il paese nel settore delle telecomunicazioni. A rimetterci sono stati anche i 600.000 piccoli azionisti, come al solito tagliati fuori da operazioni sottobanco, concretizzate nel buio della notte tra gli azionisti di Telco, il tutto rigorosamente al riparo dai doverosi e preventivi accertamenti di autorità di controllo che, ancora una volta, si sono dimostrate inerti ed inefficienti. Telefonica dello spagnolo Cesar Alierta, ha infatti accumulato 66,8 miliardi di debiti finanziari e un patrimonio netto tangibile negativo per 22,4, contro i 40 miliardi di debiti e un patrimonio netto tangibile negativo per 17 di Telecom Italia, un margine operativo lordo sceso nell’ultimo triennio da 25,7 miliardi a 21,2 di euro per gli iberici, acquisterà Telecom Italia a debito a prezzi di saldo e per ripagare le banche, oltre a non fare gli investimenti necessari che servono per ammodernare la rete in Italia, sarà costretta a smembrare le partecipate come Tim Brasile ed Argentina, mediante con il solito spezzatino. Per Adusbef e Federconsumatori le banche di “sistema” (Banca Intesa ed il salotto buono di Mediobanca e Generali) sono tra le maggiori responsabili di un’operazione a perdere che portò la spagnola Telefonica ad assumere il controllo di Olimpia (rinominata Telco), sulla pelle del mercato e dei piccoli azionisti, finanziando l’ennesima scatola a debito. Gravi anche le responsabilità del Governo, incapace di difendere un’azienda strategica per il Paese mediante la Cassa Depositi e Prestiti, ma che non ha esitato ad impiegare i sudati risparmi postali per acquisire le quote di Generali detenute dalla Banca d’Italia. Ma è soprattutto la classe politica ad uscire sconfitta da una colonizzazione spagnola delle Tlc italiane: è questo il frutto, infatti, di anni di lottizzazione dei vertici delle Autorità di controllo (come Consob e AGCOM), che sono state private, così, delle necessarie competenze e professionalità, rese del tutto impotenti e inadeguate, con danni enormi agli interessi dell’Italia ed ai diritti dei consumatori ed utenti.

Anche i sindacati sono sul piede di guerra: “E’ evidente, che se i contorni di un possibile piano industriale fossero la vendita di Tim in Brasile e Argentina, riorganizzando l’azienda attraverso la cessione di assets strategici quali le attività di customer e quelle dell’informatica per poi procedere alla fusione per incorporazione di Telefonica e Telecom Italia saremmo in presenza di un’operazione che fa uscire l’Italia dal settore delle telecomunicazioni, togliendo al Paese la possibilità di indirizzare gli investimenti e potenziare la rete, condizioni imprescindibili per il rilancio dell’economia. In tal caso le ricadute occupazionali sull’attuale perimetro di Telecom Italia potrebbero essere incalcolabili”. Per Michele Azzola della Slc Cgil la situazione determinatasi è la “conseguenza diretta degli errori commessi durante la privatizzazione le cui conseguenze negative hanno portato Telecom Italia a passare da 5° operatore mondiale di telefonia con 120.000 dipendenti a un’azienda sottocapitalizzata e indebitata in misura spropositata, deve vedere una pronta reazione al fine di evitare i rischi per il Paese e ridare un quadro di certezze e di trasparenza nei confronti dei 46.000 dipendenti diretti e delle altre decine di migliaia di lavoratori indiretti che dipendono dall’azienda stessa”.

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Record italiano: Negli ultimi 40 anni l’Iva è aumentata 8 volte

Imu-Iva-Letta

Già oggi condividiamo con Spagna, Olanda e Belgio il gradino più alto del podio dei principali Paesi Ue che applicano l’aliquota Iva più elevata. Se dal 1° ottobre il Governo Letta non riuscirà ad evitare l’ennesimo aumento, siamo destinati a staccare tutti e ad aggiudicarci la palma dei più tartassati da questa imposta tra i paesi dell’Unione europea.

La CGIA ricorda che l’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto è avvenuta ben 40 anni fa: in questo periodo di tempo l’aliquota ordinaria è variata ben 8 volte raggiungendo il valore massimo del 21%, quello attualmente in vigore. L’ultimo ritocco è avvenuto nel 2011: tuttavia, nonostante l’aliquota ordinaria sia salita dal 20 al 21%, il gettito Iva ha subito un progressivo calo.

Dal 1973 al gennaio di quest’anno, l’incremento più importante si è registrato proprio in Italia. Nel 1973 l’aliquota era al 12% e ora si attesta al 21%, con un aumento di ben 9 punti. Seguono la Germania, con una variazione di + 8 punti (era all’11%, adesso si attesta al 19%), l’Olanda, con un aumento di 5 punti (16% nel 1973, 21% nel 2013), l’Austria e il Belgio, con degli aumenti registrati nel periodo preso in esame rispettivamente del +4 e del +3. La Francia è l’unico Paese preso in considerazione dall’analisi che ha visto diminuire il peso dell’aliquota di questa imposta: se nel 1973 era al 20%, ora si attesta al 19,6% (-0,4).

“Certo – segnala il segretario della CGIA Bortolussi – la situazione economica generale ha influito moltissimo su questo risultato, tuttavia anche l’incremento dell’aliquota ha contribuito a penalizzare il gettito complessivo dell’imposta sul valore aggiunto”. “Se è vero che in questi 40 anni – conclude Bortolussi – abbiamo registrato l’incremento d’aliquota più significativo, è altresì vero che nel 1973 quella applicata in Italia era, ad esclusione della Germania, la più contenuta. Tuttavia, se l’aumento previsto dal prossimo mese di ottobre non verrà scongiurato, i consumatori italiani si troveranno a subire l’aliquota Iva ordinaria più elevata tra tutti i principali paesi dell’area dell’euro, con il pericolo che questa decisione penalizzi ancor più la domanda interna che in questi ultimi anni ha subito delle contrazioni pesantissime. Si pensi che nel 2012 i consumi delle famiglie italiane sono crollati del 4,2% e quelli relativi ai beni durevoli quasi del 13%”.

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Siamo a oltre 3 milioni di disoccupati. Meno lavoro per tutti!

Governo Letta disoccupazione

Nel corso del 2013 le condizioni del mercato del lavoro italiano sono peggiorate progressivamente. Nei primi sei mesi del 2013 l’occupazione si è ridotta del 1,8% rispetto al 2012 (-407mila occupati nella media dei primi sei mesi) mentre è aumentato considerevolmente il numero dei disoccupati (+16,4%, pari a +431mila unità). La crisi del mercato del lavoro potrebbe aggravarsi nella seconda metà dell’anno. 

Nei primi sei mesi del 2013 le condizioni del mercato del lavoro sono ulteriormente peggiorate. L’occupazione si è ridotta del -1,8% rispetto al 2012 (-407mila unità) mentre è aumentato considerevolmente il numero dei disoccupati (+16,4%, pari a +431mila unità). A giugno il numero degli occupati (22,5 milioni) ha raggiunto il valore più basso del nuovo secolo. Di questi, calcola l’Istat, 605mila sono sottoccupati part-time, un trend incredibilmente in aumento, tanto che rispetto a un anno prima, il 2011, se ne sono 154mila di più, ossia il 34,1%, e rispetto al 2007 ce ne sono 241mila in più. In cinque anni dunque l’aumento dei sottoccupati part-time è stato del 66,1%.

I disoccupati sono oltre 3 milioni, a fine anno potrebbe raggiungere 3,5 milioni. Per effetto di queste dinamiche il tasso di disoccupazione ha toccato il valore record del 12,1%. La mancanza di lavoro colpisce soprattutto le fasce più deboli: donne e giovani, per i quali i tassi di disoccupazione sono rispettivamente pari al 12,9% e al 39,1%. La crisi dell’occupazione sembra ben lontana dall’esaurirsi. I pochi posti di lavoro vengono creati dalle piccole imprese. Dei 711.178 nuovi occupati totali registrati in questo decennio, il 64,3% ha trovato lavoro nelle piccole aziende con meno di 50 addetti, il 5,8% nelle medie ed il 29,9% nelle grandi.

Nei primi sei mesi del 2013, il numero di ore autorizzate di Cassa Integrazione (457,2 milioni) ha segnato un aumento del 4,6% rispetto al 2012, toccando il livello più alto dal 2009. Se utilizzate per intero, si tradurrebbero nella perdita di circa 332mila posti di lavoro. L’aumento delle ore autorizzate è determinato dai settori delle costruzioni (+13,7%, pari a +7,8 milioni di ore) e dell’industria in senso stretto (+6,4%, pari a +22,3 milioni di ore), che da sola assorbe circa il 67% delle ore autorizzate complessivamente. La crisi occupazionale delle costruzioni e dell’industria si riflette anche nell’artigianato. Nei primi sei mesi dell’anno le ore autorizzate di Cassa Integrazione per il comparto sono state 46,1 milioni con un incremento (+4,1 milioni) di circa il 10% rispetto ai primi sei mesi del 2013.

“Per uscire dalla crisi abbiamo bisogno di aiutare tutto il mondo delle imprese”, dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA, “anche se in questa fase è alle piccole e micro realtà produttive che va rivolta una particolare attenzione. Quelle con meno di 50 addetti sono l’asse portante della nostra economia: costituiscono il 99,5% del totale delle aziende presenti nel nostro Paese e occupano oltre 11 milioni di addetti. Al netto degli addetti del pubblico impiego e dell’agricoltura, il 67% del totale dei lavoratori italiani presta servizio in una piccola o micro impresa. Stiamo parlando di aziende artigiane/commerciali, di piccole imprese e di attività guidate da liberi professionisti che non chiedono aiuti o prebende, ma una pressione fiscale e un peso della burocrazia in linea con la media europea e la possibilità di accedere con maggiore facilità al credito“.

Il Governo Letta ha pronto l’asso nella manica, la disoccupazione per tutti! Vuole arrivare a 10 milioni di disoccupati entro la fine del suo Governo. Riuscirà nell’impresa?

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L’eventuale caduta del Governo ci costerebbe 7 miliardi di tasse in più

Caduta Governo Letta

Il Governo Letta durerà? Chi lo sa. Ma quello che sappiamo con certezza è il salasso che un eventuale dimissioni del  Premier comporterebbe. Gli italiani, dichiara il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi, “subirebbero una vera e propria stangata concentrata soprattutto nell’ultimo quadrimestre di quest’anno. Tra il pagamento dell’Imu sulla prima casa, l’aumento dell’Iva e l’applicazione della Tares si troverebbero a pagare oltre 7 miliardi di euro in più. In una fase economica così difficile e con il tasso di disoccupazione destinato a crescere ulteriormente, molte famiglie non sarebbero in grado di reggere questo choc fiscale”.

Vediamole nel dettaglio le previsioni della CGIA di Mestre. Nel caso la maggioranza di Governo non dovesse reggere, il rischio che corriamo è il seguente:

Imu: i proprietari della prima casa dovranno versare entro il 16 settembre la prima rata IMU e a dicembre il saldo. Anche i proprietari di terreni, fabbricati rurali e alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale saranno chiamati al pagamento dell’imposta. Pertanto, ai 4 miliardi di Imu relativi all’abitazione principale se ne aggiungono altri 770,6 milioni di euro;

Iva: dal 1° ottobre è previsto l’aumento dell’aliquota ordinaria Iva che salirà dal 21 al 22%. Per i soli tre mesi di quest’anno saremmo chiamati a pagare un miliardo di euro in più;

Tares: è previsto che la nuova imposta sull’asporto rifiuti dia un maggior gettito, rispetto al 2012, di 1,94 miliardi di euro. Un miliardo è dovuto dalla maggiorazione prevista dalla nuova tassa per la copertura dei servizi indivisibili dei Comuni: pertanto, i contribuenti pagheranno 0,3 euro al metro quadrato. I restanti 943 milioni di euro sono stati da noi stimati quale aggravio minimo corrispondente alla differenza tra il costo del servizio di smaltimento rifiuti (derivante dal bilanci dei Comuni) e il gettito Tia/Tarsu contabilizzato l’anno scorso. Si ricorda che il gettito della Tares deve assicurare l’integrale copertura del costo di asporto e smaltimento dei rifiuti, obbligo che la Tarsu non prevedeva.

GLI AUMENTI

Descrizione

milioni

di euro

IMU abitazione principale

4.082

IVA aumento aliquota dal 21% al 22% da ottobre 2013

1.059

TARES e relativa maggiorazione

1.943

TOTALE

7.084

Elaborazione: Ufficio Studi CGIA su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze, ISTAT

Gli aumenti, calcolati su tre diverse tipologie familiari, saranno molto pesanti: nell’ultima parte di quest’anno un pensionato single si troverà a pagare 149 euro in più; una famiglia bi-reddito 293 euro e una famiglia monoreddito 388 euro.

CASO 1 – PENSIONATO SINGLE (valori in €)

Pensionato, reddito 15.520 euro (pari a 996 euro al mese). Abitazione di 60 mq, con rendita catastale di 423,18 euro

Descrizione

2013

IMU (Imposta municipale propria)

+116

TARES Maggiorazione

+24

IVA

+10

Totale aumento 2013

+149

Elaborazione Ufficio Studi CGIA

L’IMU è stata calcolata applicando l’aliquota media delle abitazioni principali del 2012 (4,44 per mille).

L’incremento IVA evidenziato nella tabella si riferisce agli ultimi tre mesi dell’anno. A partire dal 2014 l’aggravio Iva sarà pari a 38 euro. L’incremento della TARES rispetto alla TARSU/TIA è stato ottenuto applicando l’aggravio del 15,5% (incremento medio nazionale necessario affinchè la TARES, come previsto dalla legge copra completamente i costi del servizio) alla Tarsu/Tia. Il valore economico di quest’ultima corrisponde al prelievo medio rilevato su un campione di 8 Comuni capoluogo di Regione. A nostro avviso l’aumento complessivo previsto con l’introduzione della TARES è estremamente prudenziale.

CASO 2 – FAMIGLIA BIREDDITO (valori in €)

Famiglia bireddito composta da due lavoratori dipendenti: un impiegato con reddito di 22.000 euro (pari a 1.400 euro al mese per 13 mensilità) e una commessa con reddito di 19.000 euro (pari a 1.124 euro per 14 mensilità), con 1 figlio a carico. Abitazione di 115 mq, con rendita catastale di 624,79 euro.

Descrizione

2013

IMU (Imposta municipale propria)

+216

TARES Maggiorazione

+51

IVA

+26

Totale aumento 2013

+293

Elaborazione Ufficio Studi CGIA

L’IMU è stata calcolata applicando l’aliquota media delle abitazioni principali del 2012 (4,44 per mille).

L’incremento IVA evidenziato nella tabella si riferisce agli ultimi tre mesi dell’anno. A partire dal 2014 l’aggravio Iva sarà pari a 102 euro. L’incremento della TARES rispetto alla TARSU/TIA è stato ottenuto applicando l’aggravio del 15,5% (incremento medio nazionale necessario affinchè la TARES, come previsto dalla legge copra completamente i costi del servizio) alla Tarsu/Tia. Il valore economico di quest’ultima corrisponde al prelievo medio rilevato su un campione di 8 Comuni capoluogo di Regione. A nostro avviso l’aumento complessivo previsto con l’introduzione della TARES è estremamente prudenziale.

CASO 3 -FAMIGLIA MONOREDDITO (valori in €)

Famiglia monoreddito composta da impiegato direttivo con reddito di 50.000 euro (pari a 3.000 euro al mese per 13 mensilità) con moglie e due figli a carico. Abitazione di 140 mq, con rendita catastale di 800 euro.

Descrizione

2013

IMU (Imposta municipale propria)

+297

TARES Maggiorazione

+63

IVA

+29

Totale aumento 2013

+388

Elaborazione Ufficio Studi CGIA

L’IMU è stata calcolata applicando l’aliquota media delle abitazioni principali del 2012 (4,44 per mille).

L’incremento IVA evidenziato nella tabella si riferisce agli ultimi tre mesi dell’anno. A partire dal 2014 l’aggravio Iva sarà pari a 113 euro. L’incremento della TARES rispetto alla TARSU/TIA è stato ottenuto applicando l’aggravio del 15,5% (incremento medio nazionale necessario affinchè la TARES, come previsto dalla legge copra completamente i costi del servizio) alla Tarsu/Tia. Il valore economico di quest’ultima corrisponde al prelievo medio rilevato su un campione di 8 Comuni capoluogo di Regione. A nostro avviso l’aumento complessivo previsto con l’introduzione della TARES è estremamente prudenziale.

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Queste leggi Il Governo non le farà mai

Enrico Letta

Mancano nel governo Letta misure per il recupero di risorse da destinare al lavoro e ai giovani.


1) L’eliminazione , fin da subito, del finanziamento pubblico dei partiti, che abrogato nel 1993 da un referendum popolare, è stato ripristinato con il pagamento di una somma quintupla rispetto alle spese effettive. Si tratta di recuperare centinaia di miliardi di euro ogni anno. Sono noti gli scandali nelle varie regioni italiane che hanno portato all’utilizzo di ingenti somme di danaro pubblico, destinato ai partiti, per fini privati. Ciò ha dato luogo solo al lieve reato di appropriazione indebita e non al più grave delitto di peculato, perchè i partiti sono associazione non riconosciute e non soggetti di diritto pubblico. Per cui occorre una legge sui partiti che disciplini la gestione pubblica dei bilanci sotto il controllo della Corte dei Conti.
2) L’Italia è al 72 posto ( su 182 Paesi) nella lotta alla corruzione insieme al Ghana e alla Macedonia. Manca , nel programma Letta, una immediata legge contro la corruzione pubblica e privata, che costa ai cittadini 70 miliardi di euro all’anno , dando piena attuazione alla convenzione di Strasburgo del 27 gennaio 1999: la legge Severino ha ridotto le pene per la concussione fraudolenta, facendo prescrivere decine di processi contro i grandi ladri di Stato. Occorre ripristinare la pena esistente per questo gravissimo delitto, la cui diffusione ha provocato e determina la fuga dall’Italia di migliaia di investitori stranieri. La Corruzione fa aumentare il costo delle opere pubbliche del 50% , come ha accertato la Corte dei Conti. Un governante che evade il fisco emana leggi a favore delle proprie aziende con condoni che eliminano le evasioni fiscali.
3) Lotta all’evasione fiscale che costa agli italiani 154 miliardi di euro l’anno: manca una efficace legge contro gli evasori; ci sono proclami del Ministro Saccomanno, ma non si è visto niente di concreto in termini di leggi repressive dell’evasione fiscale.
4) Un accordo dell’Italia con la Svizzera, come quelli di Germania e Gran Bretagna, per imposte sui capitali trafugati all’estero. Il fisco italiano recupererebbe 100 miliari di euro all’anno.
5) Omologazione di indennità dei parlamentari italiani, a quelle di altri paesi europei, oggi le indennità sono triple rispetto a quelle dei parlamentari di Francia, Germania e Gran Bretagna.
6) Un capitolo importante riguarda il patrimonio immobiliare della Chiesa che, pur rappresentando un quinto del patrimonio nazionale, sfugge a ogni imposizione fiscale.  Occorre sottoporre a controllo con leggi ad hoc la spesa degli organi Costituzionali ( Quirinale) e parlamentari ( Camera e Senato), che aumentano senza limiti le indennità a proprio favore.

Ferdinando Imposimato

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