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Internet, siamo solo agli inizi

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“Quando parliamo di cyber politica internazionale facciamo riferimento alle regole del gioco del futuro ordine globale. Internet è già diventata di gran lunga la più importante infrastruttura dell’economia globale, ma siamo appena agli inizi. Nei prossimi 5-10 anni, Internet non solo sarà la più importante infrastruttura del mondo, sarà l’infrastruttura sulla quale poggeranno tutte le altre. Rotte commerciali marittime o sistemi finanziari: dipenderanno tutti dal funzionamento della rete.

Capacità e disponibilità sono in rapida crescita per soddisfare la domanda. Entro cinque anni il 90 per cento del mondo sarà coperto da reti mobili a banda larga che avranno una capacità molto superiore a quella che abbiamo oggi in Europa. Con l’eccezionale i ncremento di importanza del cyber mondo, assistiamo all’entrata in scena in modo altrettanto eccezionale di altri attori. Due Paesi in particolare, Cina e Russia, hanno concluso un accordo in materia di “sicurezza dell’informazione” che stanno attuando su larga scala. Rispecchiando la filosofia che applicano ad altri aspetti delle loro società, puntano a esercitare il controllo su Internet gestendo i flussi di informazione per garantire la sicurezza dei rispettivi regimi. Altri hanno adottato questo approccio e si tratta spesso, come nel caso degli iraniani e dei sauditi, di Paesi sospettosi nei confronti dell’Occidente. Quanto accadrà ora sarà di estrema importanza.

La Internet Assigned Numbers Authority (IANA) si avvia a passare il prossimo autunno dal controllo americano al controllo di un gruppo di soggetti globali, un mutamento che potrebbe essere, al tempo stesso, irrilevante e di enorme importanza simbolica. Irrilevante perché il governo americano conserva una funzione di salvaguardia nella governance della rete, un ruolo di “ultimo intervento” che finora non ha mai usato e che può essere utilizzato solo nel caso in cui le cose si dovessero mettere veramente male. Simbolicamente, tuttavia, è di enorme importanza in quanto ha portato in tanti, nel mondo, a credere che il governo degli Stati Uniti controlli il cyber-mondo. Ciò ha indotto il cyber-mondo a cedere quote di sovranità, sempre che ci sia un organismo in grado di salvare il sistema qualora si presentasse lo scenario peggiore tra quelli possibili. Il processo consistente nel creare un tale organismo è attualmente in corso. Qualora la transizione della IANA dovesse fallire, cinesi e russi ne riceverebbero una grossa spinta a cercare di imporre la loro versione di ordine in materia di regole globali a disciplina di Internet.

La Cina in particolare è un attore importante e aggressivo tanto che Internet rappresenta una delle cinque aree prioritarie di governance del Paese. Finora l’Europa ha fatto molto poco. È ora di accelerare il passo. Non solo abbiamo bisogno di sviluppare una strategia esterna, ma dobbiamo abbandonare l’approccio difensivo e protezionistico se vogliamo sperare di essere competitivi in campo digitale. In Europa abbiamo il problema che alcuni settori sono gravati da un eccesso di normative. Quando si parla di deregulation, forse le battaglie più aspre si combattono in ogni Paese nel campo dei taxi, un settore gestito da corporazioni di carattere medievale. Facendo il nostro ingresso nell’era dell’economia collaborativa (la sharing economy), incontriamo di frequente residui di tipo corporativo nell’economia europea. E non di meno i giovani fuggono dalle corporazioni medievali verso l’economia collaborativa creando una serie di problemi. Questi problemi non si risolvono regolando il settore digitale, ma affrontando l’eccesso di regole in altri settori. Tuttavia non dobbiamo dimenticare i punti di forza di cui dispone l’Europa.

Il settore di Internet in più rapida espansione è quello della tecnologia mobile e la spinta viene dalla tecnologia europea e non da quella americana. Prendiamo ad esempio la tecnologia della telefonia cellulare: mentre americani e giapponesi hanno tentato di fissare standard globali, gli europei li hanno di fatto progettati. C’è inoltre il dato secondo cui circa il 50 per cento del traffico mobile su Internet nel mondo passa per infrastrutture europee. Ciò dimostra che indubitabilmente c’è del talento imprenditoriale in Europa; il problema è che i talenti emigrano verso la più potente cultura innovativa di Silicon Valley. Un atteggiamento più difensivo non servirebbe a scoraggiare la fuga dei cervelli. Dobbiamo mettere i discussione il timore esistente nei confronti dei giganti tecnologici americani. Dopo tutto dieci anni fa non c’erano e in un settore così tremendamente dinamico, non si può affermare con certezza che tra dieci anni saranno ancora in prima linea. L’Europa non dovrebbe guardare al presente, ma creare le condizioni giuste in vista del futuro. Internamente o esternamente l’Europa deve creare l’ambiente che consenta ad un Internet aperto, libero, dinamico e globale di prosperare. È un vitale interesse europeo e finora non siamo stati all’altezza della sfida”. Traduzione di Carlo Antonio Biscotto ad un articolo di Carl Bildt, copresidente del think tank paneuropeo European Council on Foreign relations sul cui sito è presente la versione integrale in inglese

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