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Le “Lavatrici” di Genova: Da ecomostro a modello di sviluppo urbano

Lavatrici di Genova

Le Lavatrici, un complesso di quattro edifici e oltre 370 appartamenti prefabbricati che dominano la collina di Genova, come molti altri ecomostri made in Italy, rappresentano fedelmente un ventennio molto tetro di questo Paese, caratterizzato da abusivismo, corruzione e degrado. Basti pensare che negli ultimi 20 anni l’Italia ha perso il 15% delle campagne e oltre il 56% delle coste italiane è cementificato. Continue Reading

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20 luglio 2001, il mondo è cambiato per sempre

g8 genova

Questo testo è uno stralcio tratto dalla introduzione inedita del libro “Non lavate questo sangue”, edito per la prima volta nel 2001 e che Einaudi Stile Libero ha appena ripubblicato.

“Il 20 luglio 2001 ero in piazza Alimonda, a Genova, il 21 luglio ero davanti ai cancelli e poi dentro la Diaz, la notte. Da fuori quella scuola sembrava una vecchia scuola da libro Cuore, quadrata, tre scalini per entrare e il giardino intorno, la cancellata verde: c’è da qualche parte nella memoria di tutti una scuola così. Il Comune di Genova l’aveva data come dormitorio, c’erano ragazzi del Social Forum. Continue Reading

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Impetroliati fino al collo

Vauro-vignetta-petrolio-Genova

Le immagini scioccanti dello sversamento di petrolio a Genova, causato da un incidente nella raffineria Iplom. L’editoriale della presidente di Legambiente chiede di riflettere sui danni della convivenza tra cittadini e fonti fossili.

I torrenti della città di Genova sono nuovamente al centro dell’attenzione nazionale. Questa volta non sono il dissesto idrogeologico e l’ennesima alluvione a ferire la città ma il petrolio che si è riversato nel piccolo rio Penego, sotto il quale passa l’intricata rete dell’oleodotto di collegamento tra il Porto petroli della città, lo stabilimento di stoccaggio e trasferimento di oli minerali di Fegino e la raffineria Iplom di Busalla, comune alle spalle di Genova. Continue Reading

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La triste classifica delle 10 linee ferroviarie peggiori d’Italia

trasporto-ferroviario-italiano


La fotografia di Legambiente del trasporto ferroviario italiano è ormai da anni sempre la stessa: treni vecchi, lenti, su linee che vedono troppo spesso tagli e accumulano ritardi. In Italia attualmente sono circa 3.300 i treni in servizio nelle regioni con convogli di età media pari a 18,6 anni, con differenze però rilevanti da regione a regione. Rispetto al 2009 le risorse da parte dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma sono diminuite del 25% con la conseguenza che le Regioni, a cui sono state trasferite nel 2001 le competenze sui treni pendolari, hanno effettuato in larga parte dei casi tagli al servizio e aumento delle tariffe.

La situazione del trasporto ferroviario italiano è sempre più divisa in due, tra una Alta Velocità con servizi più veloci e moderni e un servizio locale con diffusa situazione di degrado che spinge purtroppo i cittadini all’uso dell’auto privata, con aggravio dei costi, del traffico veicolare, dell’inquinamento. Eppure, sono circa 3 milioni le persone che ogni giorno utilizzano i treni per raggiungere i luoghi di lavoro o studio.

Tra il 2010 e il 2015 il taglio ai servizi ferroviari è stato pari al 26% in Calabria, 19% in Basilicata, 15% in Campania, 12% in Sicilia. Mentre il record di aumento del costo dei biglietti è stato in Piemonte con +47%, mentre è stato del 41% in Liguria e del 25% in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento.

Le classifica delle 10 peggiori linee ferroviarie d’Italia nel 2015, stilata nel report Pendolaria di Legambiente. Continue Reading

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Io il richiestissimo Black Bloc

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“Salve, sono un black bloc. Vengo da fuori, ma non vi dico da dove, tanto lo sapete benissimo (mi riferisco all’intelligence italiana, che è sempre molto intelligente). E niente, vorrei parlarvi un po’ del mio lavoro, che mi dà tante soddisfazioni, soprattutto in Italia. È un bell’impiego, non c’è che dire, specie con questi chiari di luna. Ben pagato, anche. Io peraltro sono una vocazione precoce: sognavo di spaccare tutto fin da piccolo. I miei matusa, ingenui, mi dicevano: “Così non vai da nessuna parte, devi smetterla di sfasciare ogni cosa che vedi, fatti una posizione”. Ho fregato anche loro: mi son fatto una posizione sfasciando tutto. Sono richiestissimo, indosso una divisa strafica (il nero della tuta mi slancia e acchiappo un casino), giro il mondo. Prima, ai tempi del G8 di Genova, avevo un contratto Co.Co.Co (acronimo di Cosa Colpire a Cottimo), poi trasformato in Co.Co.Pro (Cosa Colpire a Progetto). Ora invece, grazie al Jobs Act, mi han fatto un tempo indeterminato a tutele crescenti: più vetrine sfascio, più macchine incendio, più negozi devasto, più poliziotti meno,più le autorità italiane mi proteggono.

Avete mai visto un black bloc manganellato o arrestato in Italia? Io mai (parlo di noi col marchio Doc, diffidate dalle imitazioni e dai franchising). È una sensazione eccitante: accendi un fumogeno, ti cambi d’abito nella nuvola di gas, metti a ferro e a fuoco la città, e sfili indisturbato fra due ali di folla, di polizia, di cameramen e di fotografi professionisti e dilettanti: nessuno ti tocca, neppure una pieghina sulla tuta, bello lindo e liscio come l’olio. Meglio di Mosè tra le acque del Mar Rosso.

Nel 2001, quando ho debuttato a Genova, non ci volevo credere. I miei istruttori mi avevano detto: “Andiamo là, sfasciamo tutto, non ci fanno niente e torniamo a casa”. Parlavano anche di un contratto nero su bianco, ma io quando vidi tutta quella polizia in tenuta antisommossa pensai a una frottola per convincermi a partire. Invece avevano ragione loro: la polizia menava i ragazzini, i vecchietti, persino qualche suora, ma a noi non ha torto un capello. Non per nulla avevamo la divisa: per farci riconoscere. Alcuni dei nostri entravano e uscivano dalla Questura e fuori le solite zecche coi telefonini filmavano la scena. Ho detto: “Siamo fritti”. Invece poi le zecche sono andate a dormire alla Diaz e la polizia ha distrutto tutto: crani, nasi, ossa, cartilagini, braccia, gambe, toraci, e naturalmente cellulari e filmati. Un lavoro da manuale, roba che mi son sentito un dilettante: però ho imparato molto. Da allora, con un po’di amici, abbiamo messo su un’agenzia, la GEPI: Grandi Eventi Pronto Intervento. Siamo richiestissimi.

In Italia facciamo sempre comodo a qualcuno per sputtanare quelli che nei movimenti antagonisti si battono pacificamente (pensa quanto sono coglioni) contro le mafie e le bande nascoste dietro le sigle Tav Torino-Lione, Expo Milano 2015, Mose, ecc. Appena si muovono, arriviamo noi e sfasciamo tutto. All’inizio era un secondo lavoro, ora è diventato il primo: abbiamo proprio una tessera-coupon con lo strappino da staccare di volta in volta. E i capi dei No-Qualcosa ci lasciano fare. Un po’ perché non hanno ancora capito che a noi non frega una beneamata cippa del Tav, di Expo, del Mose (veniamo da Belgio, Germania, di qua e di là e manco sappiamo che roba è, quella). Un po’ perché non hanno ancora capito che noi lavoriamo contro di loro. O, se l’hanno capito, fanno pippa perché hanno paura di noi, o perché gli facciamo comodo, li facciamo sentire importanti e temuti, con tutti quei titoli sui tg e i giornali. Se sfilassero pacificamente, non se li filerebbe nessuno. E la stampa parlerebbe d’altro: dei disoccupati che aumentano, delle bugie del governo sulla crescita, dell’Expo tutto calcinacci e cartongesso per nascondere i cantieri mai finiti, degli inquisiti candidati alle Regionali.

Noi siamo l’offerta a una domanda di mercato: facciamo comodo a tutti, al governo e agli antagonisti. Non c’è neppure bisogno che ci chiamino: lo sappiamo noi quando serviamo, partiamo da soli senz’avvertire nessuno. Tanto lo sanno tutti che arriviamo: gli antagonisti come il governo.

Scusate, ma che altro han mai fatto i servizi segreti italiani dagli anni 60 a oggi se non infiltrare i gruppi antigovernativi di destra e di sinistra? Nel 1969 sapevano che i fascisti avrebbero piazzato la bomba in piazza Fontana, e gliela lasciarono piazzare. Nel 1978 sapevano che le Br avrebbero rapito Moro, e glielo lasciarono rapire. Nel 2001 sapevano che avremmo distrutto Genova, e ce la lasciarono distruggere. È una tecnica vecchia come l’Italia: si chiama “destabilizzare per stabilizzare”. E funziona ancora: dopo 50 anni, la pista anarchica è un evergreen.

L’altro ieri lo sapevano benissimo che avremmo fatto quei danni a Milano, e ce li hanno lasciati fare. Non parlo dei poveri e ignari poliziotti da strada, mandati allo sbaraglio con l’ordine di non caricare (tant’è che sono riuscito a incendiarne uno così, en passant). Parlo di chi, dietro e sopra di loro, sapeva da mesi del nostro arrivo, e l’ha pure fatto scrivere dai giornali e dire dai tg per fare bella figura, poi ci ha spianato la strada come sempre. Con la differenza che con Berlusconi l’ordine era di menare qualcuno purchessia, a caso (esclusi noi, ci mancherebbe). Ora invece, dopo la sentenza di Strasburgo sulle torture alla Diaz, la consegna è non menare più nessuno: prenderle e basta. Così poi le vostre solite teste di Twitter possono dare la colpa a Fedez (un rapper mandante nostro? Uahahahahah). E quel genio di Alfano può dire che “abbiamo evitato il peggio”. Ma come si permette di svilire così il nostro onesto lavoro? Che si aspettava, i bombardamenti di Dresda? Comunque, messaggio recepito: al prossimo grande evento, faremo meglio”. Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano del 03 Maggio 2015.

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