Azione Nazionale il nuovo partito di Fini e Alemanno

Gianni Alemanno-Gianfranco Fini -Azione Nazionale

L’ex presidente di Alleanza nazionale e l’ex sindaco di Roma sono pronti a varare un proprio partito. L’indiscrezione arriva dal blog di cultura politica curato da Riccardo Fucile rappresentante storico della destra genovese. Il nuovo movimento politico dovrebbe chiamarsi Azione Nazionale.

“I segnali si erano già avuti all’assemblea della Fondazione An, quando la mozione dei quarantenni appoggiata da Alemanno e Fini ebbe la peggio per 222 voti a 266 su quella della grande alleanza Meloni-La Russa-Gasparri- Matteoli.
Una sconfitta di misura che ha però rappresentato la consapevolezza che il binomio tra l’ex presidente di An e il suo colonnello potesse ancora rappresentare una fascia degli ex An e il conseguente desiderio di coltivare questa base.
Da qui il progressivo distacco degli uomini di Alemanno da “Fratelli d’Italia” e le sue dichiarazioni sempre più critiche verso l’isolamento della Meloni e la sua deriva lepenista e salviniana.
Un altro segnale lo aveva dato Gianfranco Fini pochi giorni fa quando, ospite della Gruber, un po’ a sorpresa non aveva escluso un suo ritorno in campo a tempo pieno.
Il progetto è stato messo a punto durante una riunione a Roma 48 ore fa e doveva rimanere segretato fino a fine prossima settimana, quando diventerà ufficiale e presentato alla stampa.
Che sia in stato avanzato lo dimostra il nome scelto, Azione Nazionale, che ricalca la sigla AN, e il fatto che si sta già lavorando sul simbolo.
L’intesa Fini-Alemanno permetterebbe di unire la esposizione mediatica del primo alla presenza territoriale organizzativa del secondo.
Sullo sfondo, la cordata dei quarantenni che hanno bagnato le polveri all’assemblea dlla fondazione An, per lo più dirigenti locali che credono nella necessità di un rinnovamento della destra italiana.
Nodi da risolvere restano sia il progetto politico, anche perchè tra Fini e Alemanno rimangono posizioni differenti su diversi temi, che la forma che andrà ad assumere nel tempo questa loro iniziativa comune, destinata a suscitare, come sempre a destra, discussioni e polemiche”.

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Il business delle campagne elettorali

rimborsi elettorali

La Corte dei Conti ha concluso l’esame delle spese sostenute dalle 87 formazioni politiche che hanno partecipato alle elezioni del 2013. Come riporta Marco Bresolin sulla Stampa, i partiti hanno speso 45,4 milioni di euro per la campagna elettorale, totalmente finanziati con donazioni private o con fondi già presenti nelle casse del partito. Avevano a disposizione 46,8 milioni di euro ma dallo Stato riceveranno 54 milioni (in quattro tranche annuali, dal 2013 al 2016). Ma questi 54 milioni non sono gli unici che i partiti riceveranno da qui al 2016. Questi sono solo per le elezioni Politiche: in totale ne arriveranno 227,5. Meno male che li hanno tagliati, altrimenti sarebbero stati 364.

Secondo Bresolin, il Pdl è stato quello che nel 2013 ha investito più soldi: 12 milioni di euro ma i rimborsi gli garantiranno un ritorno di 18,8 milioni. Ma l’investimento più riuscito è quello del Pd, 10 milioni il costo e ne ha portati nelle casse del Nazareno ben 23.

Comunque, quasi tutti ci hanno guadagnato: Lega Nord 2,7 milioni spesi, 3,3 incassati; Sel 860 mila euro spesi, 2 milioni incassati; la Lista Crocetta solo 22 mila euro di spesa e 256 mila di rimborso; il Centro Democratico, la lista di Tabacci, ha raccolto 84 mila euro in donazioni da privati e aziende, ne ha spesi 47 mila e si prepara a intascare 200 mila euro di soldi pubblici.; l’Unione sudamericana degli emigrati italiani (Usei) zero euro spesi e ne incasseranno 48.748; l’Udc 3,2 milioni spesi, 730 mila incassati; La Destra ha speso 800 mila euro pur avendone a disposizione solo 126 mila; Rivoluzione Civile ha un “buco” di 800 mila euro perché non tutti i soci hanno versato la loro quota; Fratelli d’Italia non ha trasmesso la documentazione dei contributi ricevuti da una cinquantina di aziende ma intanto, nelle casse del partito della Meloni, andranno 843 mila euro.

Come risaputo, il M5S (470 mila euro spesi) non ha ricevuto rimborsi elettorali. Perché non ne ha fatto richiesta, vero. Ma anche perché non ne ha diritto, non avendo uno statuto “conformato ai principi democratici”.

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La Destra morta e sepolta da Berlusconi

Fini-Berlusconi-Alleanza-Nazionale

Il quotidiano Italia Oggi ha intervistato Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, classe 1932, meglio conosciuto come il Barone nero”. Dove il titolo nobiliare era spiegato abbondantemente dal nome e dove “nero” stava proprio per fascista. Staiti fu missino senza infingimenti e tutto d’un pezzo, consigliere comunale negli anni ’60 e ’70 a Milano, e poi deputato. Odiato, più nel suo partito che fuori, forse perché era un critico spietato di quella destra, come scrisse anni fa al Foglio. Oggi è un signore di ottant’anni, che vive sul Maggiore, dove legge molto e scrive. Antiberlusconiano antemarcia, ultra critico con la destra che gli si mise al seguito, oggi osserva il Cavaliere in ritirata e gli ex-compagni di partito, che lo attaccarono, un po’ allo sbando. “Un movimento che voleva difendere lo Stato, la Patria e la legalità, finito a fare le mobilitazioni per un signore ricchissimo in cambio di poltrone e potere.” 

Domanda. Dunque Staiti i fatti le danno ragione: le raccomandazioni che faceva ai suoi ex compagni di partito paio, oggi, un epitaffio…

Risposta. Da un certo punto di vista mi spiace aver avuto ragione. Pur avendo un’enorme prevenzione verso i miei ex-camerati, mi ripetevo: non saremo adeguati ma siamo, tutto sommato, diversi. Se dovessimo davvero governare, mostreremo come quanto siamo onesti, fedeli allo Stato, alla sovranità nazionale. E invece_

D. E invece?

R. Peggio degli altri, abbiamo impersonificato la conquista del potere fine a se stesso.

D. Anche Gianfranco Fini, al quale, quando ruppe con B., lei si riavvicinò?

R. Gli chiesi, nel 2010, come fosse stata possibile quell’alleanza. E lui fu molto chiaro: “Posti e potere”. Ecco la giustificazione.

D. Ad alcuni, oggi, toccherà anche la purga di Forza Italia..

R. Si ritroveranno gli arrivisti di sempre, gli abbarbicati in posti di potere. Anche se vedo qualcun altro che, in un sussulto, dice: ‘Rifaremo Alleanza nazionale’. Ma quella non è neanche una minestra riscaldata, è una sbobba immangiabile. Insiema a Daniela Garnero Santanché, anzi Santancheque come la chiamavo io, una creatura di Ignazio La Russa che l’ha introdotta alla politica milanese direttamente dai salotti di Cortina e Forte dei Marmi.

D. La Russa, suo grande avversario, di cui lei contestava l’amicizia con Salvatore Ligresti, un altro che passa i suoi guai. Oggi sta nei Fratelli d’Italia, la destra “aberlusconiana”, per cui deduco che non le ispirino fiducia.

R. Sì, quella presenza è un peccato originale notevole, e poi c’è Giorgia Meloni, con quell’eterna espressione di ragazzina delle periferie romane, che non mi convince.

D. Insomma, un finale inglorioso?

R. La vita è anche così, per carità, però un movimento che voleva essere sulle barricata per difendere lo Stato, la Patria e la legalità, finito a fare le mobilitazioni per un signore ricchissimo.

D. Ma che effetto le fa B. costretto, se va bene, a far politica da casa?

R. Come diceva Flaiano, se un giorno un marziano arrivasse a Roma, dopo cinque minuti troverebbe tutto normale. Così com’è normale che un presidente della Repubblica torni a spendersi, come ha fatto ancora venerdì scorso, contro la guerra fra magistratura e politica. Ma dov’è questa guerra? Io non la vedo.

D. Insomma, le vicissitudini di B. non la inteneriscono?

R. No, innanzitutto perché non è affatto buono d’animo come si vuol rappresentare e come altri lo rappresentano: è cattivo come quelli che devono esibire la loro potenza e far vedere che possono tutto.

D. Lei lo conosce da tempo?

R. L’ho conosciuto quando ancora non era nessuno e ne ho sempre tratto la sensazione di uno che vuole piacere e che non tollera di non essere simpatico all’interlocutore.

D. Si ricorda quando lo vide la prima volta?

R. Sì alla fine degli anni ’60, quando, con alcuni amici, avevamo scoperto un ristorante a Brera, la Torre di Pisa. C’eravamo fatti riservare permanentemente una saletta. Amici della politica e non solo:c’erano anche Gigi Rizzi (famoso playboy, ndr) Lorenzo Galtrucco (noto industriale, ndr), Teo Teocoli e molti altri.

D. E c’era Berlusconi?

R. No, Berlusconi s’affacciava ogni tanto alla saletta, con l’espressione di chi bramava essere accolto nel gruppo. «Chi è quello?», ricordo che chiese qualcuno. “Un palazzinaro”, rispose qualcun altro.

D. E non lo accettaste a quel convivio?

R. Ma no! Portava quei cappelli un po’ lunghi sul collo e quei doppiopetto che gli stavano male già allora. E poi si notava da lontano quell’altissima opinione di se, che sconfinava nell’esibizionismo.

D. Lo teneste fuori ma qualche anno dopo non fu possibile snobbarlo, immagino…

R. Certo, perché entrò in politica molto prima di arrivare alla politica politicante. Attraverso le tv c’era continuamente dentro: per fortuna sua, avendo sempre al fianco una persona come Fedele Confalonieri, l’unico personaggio con la testa sulle spalle del suo giro. Quello che gli toglieva parecchie patate bollenti e che si occupò, per esempio, della legge Mammì, che minacciava da vicino gli interessi del gruppo.

D. E lei, come politico milanese influente, non ci ebbe a che fare?

R. Poche volte. La prima dopo una partita a San Siro fra Milan e la Juve, di cui sono tifosissimo. Mi chiese di andarlo a trovare.

D. Credo per non parlare di calcio…

R. Ma no. La legge, allora obbligava le tv commerciali a fare i telegiornali e Fininvest non ne voleva sapere, perché c’erano da assumere giornalisti, mettere in piedi redazioni, insomma spendere moltissimo.

D. Paradossale. Poi cambiò idea…

R. Certo. Ricordo che fu in via Rovani, a Milano, a casa sua. Uscì da una porta laterale. Poi l’ho rivisto, tre o quattro volte, e aveva sempre quell’espressione indispettita di non riuscire a piacermi.

D. Torniamo alle sue scelte politiche, a febbraio destò molto clamore la sua dichiarazione di voto pro-Beppe Grillo.

R. Ne avevo seguito la campagna su Sky e, da un certo momento in poi, mi ha convinto il loro riferimento alla “comunità nazionale”. L’Italia non poteva che salvarsi così, tornando a sentirsi comunità. Il M5s mi pareva l’unica alternativa al sistema e ho sperato che dessero una spallata a tutto l’edificio, i cui muri erano e sono marci.

D. È deluso o no?

R. Qualche difficoltà di comprensione l’ho avuta: non posso dimenticare 20 anni di consiglio comunale e 15 di Parlamento: l’abitudine a un tipo di politica c’è ancora. Però tutto sommato, aldilà dell’inesperienza, hanno mantenuto le promesse fatte in campagna: come restituire il soldi del finanziamento pubblico.

D. Col Parlamento da aprire come una scatoletta di tonno, però, è andata peggio…

R. Non ci riescono ma non per colpa loro: ormai le camere discutono solo le iniziative del governo. E d’altra parte non fanno loro gli ordini del giorno dei lavori….

D. E questo Paese come lo vede?

R. Destinato a non risollevarsi più.

D. Oddio…

R. Forse la soluzione può essere andare in Europa, questa Europa dei burocrati che non mi piace, anche se sono un europeista.

D. Non ci siamo già, in Europa?

R. Intendo presentarsi ai vertici e dire: siamo un bellissimo Paese, possiamo essere il parco giochi del Vecchio Continente, ma aiutateci a sistemare il rischio idrogeologico, i musei, i monumenti. Facciamo grande operazione da 200 miliardi di euro.

D. E gli affidiamo le chiavi, dice?

R. Più o meno. D’altra parte a questo punto che facciamo? Siamo un Paese industriale? Non mi pare, neanche la Fiat lo è più. Sì, c’è qualche esempio di made in Italy, nella moda, nell’enogastronomia, ma dove vuol andare un Paese che non ha un progetto industriale e che con la finanza ha complicato tutto?

D. Europa che è sempre stata presente in un certo pensiero di destra…

R. Sì, la Giovane europa fu un’organizzazione che attirò tanti nel dopoguerra. D’altra parte se oggi, con la crisi siriana, non avessimo avuto un’europeista come Emma Bonino agli Esteri, con Berlusconi saremmo stati subito pronti a intervenire. Avremmo fatto il bis dell’Iraq, col Cavaliere che accorse subito nel ranch di George W. Bush, ultra-accondiscendente.

D. Non le piacque?

R. La trovai una mancanza di dignità.

D. L’Europa, quindi, anche come contraltare all’America, lei dice?

R. Quando c’era Charles De Gaulle, certe cose non passavano. C’erano la coscienza di una storia, di una cultura, di una civiltà. Una coscienza europea che oggi manca.

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Fratelli paraculati d’Italia

Fratelli-d'Italia-La-Russa

Fratelli d’Italia in barba ai regolamenti si è costituita in gruppo autonomo alla Camera. Con questa mossa La Russa, la Meloni e Crosetto, fondatori di Fratelli d’Italia, ci costeranno 400mila euro l’anno, quanto un altro segretario di presidenza. Fino a pochi mesi fa nemmeno esisteva come partito, e non ne sentivamo la mancanza. Fondato nel dicembre 2012, ha ottenuto una piccola rappresentanza in Parlamento, 9 deputati, e ora si è costituito come gruppo parlamentare autonomo.

Fratelli d’Italia ce l’ha fatta, l’ufficio di presidenza di Montecitorio ha approvato la deroga al regolamento che prevede che un gruppo parlamentare autonomo si possa costituire nel momento in cui ci siano almeno 20 deputati. Fratelli d’Italia può contare solamente su 9 deputati, ma è il regolamento stesso a prevedere che:

“L’Ufficio di Presidenza può autorizzare la costituzione di un Gruppo con meno di venti iscritti purchè questo rappresenti un partito organizzato nel Paese che abbia presentato, con il medesimo contrassegno, in almeno 20 collegi, proprie liste di candidati, le quali abbiano ottenuto almeno un quoziente in un collegio ed una cifra elettorale nazionale di almeno trecentomila voti di lista validi”.

Il partito di Giorgia Meloni soddisfa tutte queste condizioni. Ad eccezione del Movimento 5 stelle, tutti gli altri partiti hanno votato a favore della deroga. Il risultato è che in deroga al regolamento della camera dei deputati si forma un nuovo gruppo parlamentare denominato ‘Fratelli d’Italia’ composto da 9 deputati e che ci costerà 400 mila euro all’anno in più.

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