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Video censurato: La Terza Guerra Mondiale silenziosa



“Quando si tratta di controllare gli esseri umani non c’è miglior strumento della menzogna. Perché, vedete, gli esseri umani vivono di credenze. E le credenze possono essere manipolate. Il potere di manipolare le credenze è l’unica cosa che conta” disse Michael Ende. Diffondere la verità da molto fastidio ai potenti della Terra. Loro sanno che io so e, adesso lo sapete anche voi. Condividete il video anche attraverso i social network. 

“Per chi non lo avesse ancora capito, siamo in guerra! E’ la terza guerra mondiale silenziosa, devastante, “come una nube tossica” che avvolge l’intera umanità. Lo scopo è sempre lo stesso, distruggere e conquistare. Solo che le armi non si chiamano più fucili, bombe o missili.

Si chiamano spread, derivati, BCE, SWAP, austerity, fiscal compact, MES, rating e altre ancora. Ma sono tutte armi di distruzione di massa, sono le milizie armate della finanza speculativa, quelle che strozzano l’economia, che insidia le democrazie, che ci rende timorosi e schiavi, che ci impone una vita che non vorremmo!

Sembra l’alba di una nuova era, un periodo in cui le scoperte nei vari settori della scienza e della medicina, avrebbero reso più facile la vita a tutti, debellato le malattie e la fame nel mondo. Tutti avremmo avuto più tempo libero perché le macchine avrebbero lavorato al posto nostro … ma non è andata così.

Il mondo contemporaneo indubbiamente ha bisogno di qualche modifica. Le morti per cancro aumentano, come le epidemie, le pandemie, le allergie, così come aumentano gli utili delle case farmaceutiche. La fame nel mondo non è stata sconfitta, la violenza continua a devastare intere regioni della Terra, la situazione di povertà spinge interi popoli ad emigrare sia negli Stati Uniti che nella vecchia Europa, le differenze sociali si ampliano, i ricchi sono sempre più ricchi, mentre la classe media è spinta verso la povertà e quella meno abbiente verso la miseria.

L’America risente ancora dei mutui subprime che ha minato definitivamente le certezze del popolo americano e generato una reazione negativa oltreoceano, sull’altro versante, quello europeo, gli stati europei sono strozzati dal debito di bilancio, tanto che grossa parte della spesa statale è destinata al pagamento dei soli interessi, senza nessuna possibilità di ridurre il debito stesso.

L’America e l’Europa che devono trainare il mondo, sono state travolte dalla più imponente crisi finanziaria della storia con risvolti sociali e culturali ancora da decifrare. Siamo sicuri che la situazione americana ed europea siano così di natura diversa da come vogliono far credere i media? Oppure sono solo facce della stessa medaglia? Forse è l’attacco definitivo per il dominio del mondo da parte di un organismo che non ha bandiere né stato di appartenenza.

Il Nuovo Ordine Mondiale, quello della finanza, che ha preso lentamente il potere, sottraendolo alla politica, che è diventata sua serva. Nessuno osa alzare la voce, nessuno del popolo sovrano. Ma io lo farò. Dobbiamo riprenderci il potere, strapparlo alla finanza, quella che si permette di creare Denaro dal Nulla, e restituirlo ai cittadini e all’economia, in nome della prosperità, del benessere e della libertà. Nessun polito dice che il denaro è stampato dalle istituzioni private: la Banca Centrale Europea è privata, la Federal Reserve è privata, e le banche aleggiano nel nulla.

Sapete che se domani tutti i titolari di conti correnti e depositi di vario tipo si presentano in banca a ritirare il contante, solamente il primo 3% potrebbe essere soddisfatto prima di esaurire la liquidità? Non ci credete? Date un’occhiata a ciò che sta affrontando adesso Cipro! E altri paesi sono destinati alla stessa sorte.

Maurice Allais, Premio Nobel per l’economia scrisse nel 1999 che l’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. In concreto i risultati sono gli stessi, la sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto. Più di ottant’anni fa Bertold Brecht, scrisse in Santa Giovanna dei Macelli che era più criminale fondare una banca che rapinarne una. Ah che profeta! E non erano ancora state impiegate le armi di distruzione di massa create dalla grande finanza.

Quali? Tra menzogne e inganni, tutte al servizio della finanza, c’è una vasta scelta, il MES, a esempio, il Meccanismo Europeo di Stabilità, il nuovo Fondo Salva Stati, ma che in realtà è già diventato ufficialmente un fondo salva banche, o gli aiuti. Basta guardare la Grecia. Di questi aiuti il 52% va alle banche internazionali e commerciali, per premiarle, aiutarle, salvarle”, il 23% della Banca Centrale Europea, il 20% è destinato alle banche greche e, solo il 5% allo stato greco e ai suoi cittadini.

Sapete, l’usuraio teme solo una cosa, che l’usurato muoia, lo deve tenere per il collo, lo può schiavizzare, ma non deve morire. Tenete a mente la frase ormai quasi sacra, quando ci chiedono di stringere la cinghia: ce lo chiede l’Europa, cazzate, ce lo chiede a volte un signore, un certo Van Rampuy, presidente del Consiglio Europeo, eletto dai governi, non dalla gente. Uno che un deputato inglese nel 2010 ha chiamato pubblicamente “competente, capace e pericoloso, assassino silenzioso della democrazia europea e degli stati nazionali europei.”

No, nooooo si sbaglia è solo un servo della Finanza e dei grandi banchieri, dei Goldman Sachs, uno per tutti, dei gruppi Bilderberg, Aspen, Trilaterale. E questi da perfetti manipolatori, vi vogliono far credere che siano tutte fandonie, complottismi, come li chiamano, invece è tutto vero. Ne sa qualcosa anche uno dei grandi potenti del mondo: cinquant’anni fa, nel 1963 il presidente Kennedy, firmò l’atto 1110, nel quale toglieva l’esclusiva alla Federal Reserve e dava al ministro del tesoro la facoltà di stampare denaro. Un colpo decisivo allo strapotere della FED, (che è una banca privata), e al sistema bancario. Era il 4 giugno del 1963, meno di sei mesi dopo il presidente Kennedy venne ucciso, coincidenze, naturalmente.

Sapete, non basta e sopratutto non serve cambiare i politici, anche i vecchi tromboni di età e di presenza parlamentare, la vera rivoluzione è sopratutto un fatto interiore, è nelle nostre coscienze e consiste nel mutamento dei nostri schemi mentali, nel superamento dell’egoismo e nella consapevolezza di quale sia lo scopo della nostra società. No il guadagno di pochi ma il benessere di tutti.

Tu, dimmi, sei felice? E allora da questo momento, visto che è stata la finanza a iniziare la guerra, io la dichiaro a gran voce, … ai suoi uomini di potere così grandi … così pochi … così schivi, con quali armi? Con l’informazione, con la comunicazione, attraverso la condivisione del mio sapere con tutta la gente del mondo. Loro sanno che io so e, adesso lo sapete anche voi … Amici miei, la felicità è libertà, la libertà è ancora lontana, ma la scelta è fatta”.

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La crisi spiegata a mio figlio

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“Che dire di Repubblica? Dopo avere invocato la Troika con Scalfari, cede il passo al mio collega Bisin che riesce a dire:

“La questione concettuale importante da porsi è perché una prevista politica di domanda aggregata, di nuovi investimenti pubblici (suggerita dalla richiesta all’Europa di non includere gli investimenti nel computo del deficit) non abbia avuto gli effetti desiderati?”

Excuse me?

L’Italia, per gestire questa crisi, ha fatto esattamente il contrario di quello che dice Bisin, governo Renzi compreso, ed ecco perché si trova in queste condizioni assurde.

I numeri sono numeri, ed il PIL è il PIL. Purtroppo va chiarito ancora una volta che nel PIL non entrano né la spesa per interessi né la spesa pensionistica: sono trasferimenti da un cittadino ad un altro che non richiedono più produzione alle imprese. La spesa pubblica che incide sul PIL, perché genera servizi, beni, lavori è quella per stipendi pubblici e appalti. Ed allora, per venire incontro a Bisin, facciamogli vedere cosa è successo alla spesa pubblica che incide sul PIL, su quel PIL che non c’è più, dal 2009, anno in cui la politica economica ha dovuto combattere, più male che bene, la crisi finanziaria del 2008.

Basta vedere questo perfetto grafico Istat. Anche ad un bambino verrebbe spontaneo chiedere: “Papà che è successo al PIL nel 2008?”.

“E’ sceso per la crisi mondiale, figliolo, dal tondo verde a quello celeste.”

“E nel 2009 come mai risale al tondo viola? E poi come mai riscende nel 2011 e non si ferma più fino al tondo arancione?”

Già, come mai?

Il papà dovrà spiegare che deve essere successo qualcosa di diverso tra quanto avvenuto tra il 2009 ed il 2010 e quanto avvenuto dal 2011 in poi. Ma non farà gran fatica: è successa una sola cosa diversa, tra 2009 e anni successivi, nella politica economica, con buona pace dell’ideologia di Bisin, persona simpaticissima ma che ha smesso di fare l’economista da quando scrive per Repubblica. E’ successo che nel 2009 si è fatto quello che si fa sempre nelle crisi da mancanza di domanda interna di questo tipo: si è sostituita la domanda privata scomparsa e terrorizzata di imprese e famiglie con quella certa e visibilissima dello stato, fatta di maggiori appalti.

Cito il Ragioniere Generale dello stato: nel 2009 la spesa primaria corrente in termini reali (senza tener conto dell’inflazione) aumenta del 3,4% e la spesa in conto capitale (gli investimenti pubblici) 12,2%. E i risultati, dirà il papà, si vedono: il PIL riprende la sua marcia. E se solo avessimo continuato…

“Perché? Non l’abbiamo fatto?” dirà l’ingenuo pargolo.

“E no, è entrato in gioco un meccanismo europeo assurdo che si chiama Fiscal Compact, che ci obbliga a non usare la spesa pubblica quando l’economia soffre. Così la spesa primaria senza contare le pensioni ed i sussidi, quella che contiamo nel PIL è scesa da 432,6 miliardi del 2010 ai 420,7 del 2014. In termini nominali!! E i famosi investimenti pubblici? Tieniti forte figlio mio, da 51,8 a 45,4, una diminuzione di più del 10% in termini nominali, molto di più in termini reali tenendo conto dell’inflazione. Abbiamo smesso purtroppo per te di costruire ponti e abbiamo smesso di spendere soldi per la scuola e l’università. Pensa soltanto che oggi ci vogliono 3 professori universitari che vanno in pensione per assumere un giovane ricercatore e che quest’ultimo viene pagato la metà dei suoi colleghi stranieri.”

“Papà ma questo Signor Bisin dice diversamente.”

“I dati sono i dati figlio mio, non si può cambiarli a piacimento. Te li rimetto qui eccoli:

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“Ma papà, forse è perché gli italiani non vogliono questo tipo di spese?”

“Beh figlio caro, direi di no: guarda i risultati di questo sondaggio dell’Istituto Piepoli…”

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“Ma papà questo Sig. Bisin dice che non ci sono i soldi per fare tutte queste spese…”

“Beh, bisognerebbe dirgli che intanto i margini ci sono eccome: queste stupide regole europee a cui abbiamo aderito almeno prevedono che quando quella linea rossa del PIL comincia a scendere si possa interrompere la corsa a ridurre le spese e aumentare le tasse. E sai cosa? Con la crescita che esse genereranno daranno forza al Paese per essere ripagate senza maggiori tasse, anzi con meno in percentuale! Oggi invece il Paese è debole e per ottenere le stesse entrate bisogna tassare sempre di più in percentuale le persone. E i conti pubblici continuano a peggiorare. Poi certo non c’è dubbio che dobbiamo dare l’assalto a quella parte di PIL dovuto agli appalti o agli stipendi che PIL non è perché non genera maggiore risorse ma solo trasferimenti verso gente che non lavora o verso imprese che corrompono. Ma questo non si fa in un battibaleno, e comunque bisognerebbe decidersi a cominciare a farlo…”

Che papà saggio. Invece di ridurre il deficit nel 2015, in recessione, dal 3% all’1,6% di PIL, siamo certi che consiglierebbe a Renzi di rimanere al 3% (o arrivare al 4 come Francia e Spagna) e usare questa opportunità per non aumentare le tasse, non tagliare a casaccio stipendi a maestri e ricercatori, poliziotti e medici, fare investimenti a Taranto per la bonifica del territorio, fare appalti per dare tecnologia avanzata ai nostri ospedali e per ricostruire molte più scuole di quanto non se ne intendano rimettere a nuovo oggi.

E’ così che ripartono le nostre imprese, i consumi delle famiglie, la riduzione del debito pubblico e della disoccupazione.

E nel contempo cominciare, ma veramente, la battaglia indefessa della spending review perché i nostri ospedali e le nostre scuole siano luoghi dove non si sprecano risorse e dove il servizio al cittadino è semplicemente eccellente.

Ecco, come si fa, caro Bisin”. Gustavo Piga

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Il nuovo Pil, Prodotto Interno Lurido

Pil-droga-prostituzione

“In questi anni la nostra dipendenza dal Pil è aumentata sempre di più. Non vorrei essere frainteso. Il Pil non è un numero da prendere e buttare, non fosse altro perché aumenta insieme all’occupazione e al reddito delle persone. Dobbiamo però uscire dalla logica perversa secondo la quale il Pil deve crescere a tutti i costi, perché è il riferimento principale per i mercati finanziari e le agenzie di rating e perchè ci consente di tenere sotto controllo i parametri della finanza pubblica (il deficit e il debito), divenuti sempre più stringenti con il fiscal compact e i vincoli imposti dai regolamenti europei. E’ da tempo riconosciuto che il Pil misura l’insieme delle attività economiche in termini monetari, ma non il benessere e il reale progresso di un Paese.

I cittadini, infatti, non percepiscono il Pil come un’entità in grado di modificare il loro standard di vita, a differenza di altri eventi che li toccano più da vicino, come l’insicurezza del posto di lavoro, il degrado ambientale, la difficoltà ad accedere ai servizi sanitari pubblici, la carenza di posti all’asilo nido o la riduzione del tempo pieno a scuola. E, siccome il Pil ignora tutto ciò che non ha un valore di mercato, si escludono le attività non remunerate: la produzione domestica, le cure prestate ai bambini o agli anziani, il volontariato, e così via.

Inoltre, poiché non distingue le spese in base alla loro utilità, cresce anche se aumentano gli incidenti stradali, la criminalità, i costi sociali e sanitari conseguenti all’inquinamento dell’aria, della terra e dell’acqua. E se l’inverno è stato più mite e si è risparmiato sul riscaldamento il Pil ne soffre.

Ma, cosa forse ancora più grave, non distingue i consumi rispetto alla loro sostenibilità nel tempo, come l’uso di risorse non rinnovabili, il deterioramento dell’ambiente e la perdita della biodiversità. Il Pil aumenta anche se distruggiamo le ricchezze naturali sottraendole alle generazioni future. Dovremmo poter distinguere tra Pil “buono” e Pil “cattivo” e utilizzare solo il primo come parametro di valutazione della politica economica. E invece no. Tutto fa Pil, tutto ciò che smuove moneta è considerata crescita.

Ora abbiamo appreso dall’Istat che, secondo le regole internazionali del nuovo sistema dei conti economici (SEC 2010), saranno conteggiate nel Pil anche le attività illegali: traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (sigarette, alcool). Forse sarebbe stato più saggio, anche per le indubbie difficoltà di misura, aggiungerle in via sperimentale senza influire sul Pil ufficiale. Ma, ormai, il dato è tratto.

Secondo le prime stime di Eurostat, il Pil italiano (anche quello degli anni passati) aumenterà tra l’1% e il 2%, ma bisognerà attendere il 3 ottobre per conoscere le cifre ufficiali. Certamente scenderanno i rapporti debito/Pil e deficit/Pil dando un minimo di respiro al percorso di consolidamento fiscale. Ma a quale prezzo visto che ad aumentare è solo il Pil “cattivo”?

Supponendo che in Italia le attività illegali siano superiori alla media europea, finiremo per finanziare ancora di più il bilancio dell’Unione europea. Alcune regioni svantaggiate, in cui si concentrano maggiormente determinate attività illegali, vedranno crescere più di altre il proprio Pil; saranno considerate più ricche e rischieranno di vedersi ridotta l’assegnazione dei fondi strutturali.

La lotta alla prostituzione, al traffico di stupefacenti e al contrabbando sarà antieconomica perché produrrebbe una caduta del Pil. Per favorire il rispetto dei parametri di Maastricht sarà meglio chiudere un occhio e lasciar prosperare le attività illegali. Paradossalmente, il sequestro di una ingente partita di droga o una retata di prostitute nuocerebbero all’economia e potrebbero far cadere le borse o salire lo spread.

Ci vuole poco per rendersi conto che una siffatta visione della realtà economica, che insegue solo i movimenti di denaro è priva di senso etico, pericolosa e non ha nulla a che vedere con il benessere, il progresso sociale e la qualità della vita.” Franco Mostacci

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L’Europa al bivio

Euroregimi - Fonte Limes

 

Si è cominciato due settimane fa con il primo turno francese. Poi giovedì scorso le amministrative nel Regno Unito. Ieri il ballottaggio in Francia, le legislative in Grecia e le regionali in Schleswig-Holstein (Germania). Oggi amministrative in Italia. Il prossimo weekend si vota nel ben più importante Land del Nord-Reno Vestfalia (Germania). Poi ancora il 20 e 21 maggio il secondo turno delle amministrative in Italia. Il 31 maggio, invece, l’Irlanda vota il referendum sul Fiscal compact, il nuovo trattato europeo. A giugno (10 e 17) ci saranno le legislative francesi e a settembre le elezioni in Olanda, entrata in crisi sulle misure d’austerità.

Sopravviverà l’Europa a questo esercizio di democrazia?

No, se non ci sarà un cambio significativo di rotta. Il dato generale mostra che i governi in carica pagano la crisi e le misure di austerità. In Francia Hollande vince secondo le aspettative dopo una campagna contro il duo Merkozy e il Fiscal compact. In Schleswig-Holstein la CDU, pur essendo il primo partito, perderà probabilmente il controllo del Land. Anche domenica prossima in Nord-Reno Vestfalia si attende un risultato favorevole alle opposizioni.

Il successo di Hollande e l’indebolimento della Merkel porteranno a un cambiamento dei pesi al tavolo del Consiglio e alla geopolitica europea. Anche in Olanda, la miglior alleata del rigore tedesco, secondo i sondaggi la maggioranza attuale composta da cinque partiti non sarebbe confermata. Infine, non è scontata una vittoria del sì in Irlanda sul Fiscal compact. Già nel 2008 il paese aveva votato contro a un primo referendum sul trattato di Lisbona. In questo caso perderebbe accesso ai fondi di salvataggio europei, ma non metterebbe in pericolo il trattato stesso che non necessità della ratifica unanime (sarebbe pur sempre una sconfitta grave per i promotori).

Il tema della crescita sarà (e da almeno due settimane è già) il punto di discussione principale. Il Fiscal compact non sarà messo nel cassetto, ma completato con degli strumenti per promuovere la crescita, il cosidetto “Growth compact”. Hollande, come ha detto durante il dibattito televisivo di mercoledì scorso, punta a un coinvolgimento più importante della Banca europea degli investimenti (Bei), alla nascita dei project bonds europei per finanziare infrastrutture e ricerca a livello comunitario e a un uso più efficace dei fondi strutturali.

All’elettore bavarese non farà piacere, ma forse renderà più facile il cambio di rotta della Merkel che ha ben capito che non si può percorrere ulteriormente la strada dell’austerità fine a se stessa. I lavoratori tedeschi chiedono aumenti e salari minimi e la Merkel, approfittando della sconfitta eclatante del suo partner di coalizione, i liberali della FDP, è disposta a sostenerli. Per altro, anche la SPD ha condizionato il voto favorevole al Fiscal compact (in Germania servono i due terzi del Bundestag) all’adozione contestuale di un pacchetto di crescita.

La Grecia preoccupa di più. I due partiti maggiori sono annientati dalle estreme. Nea Demokratia, il partito conservatore, è primo ma con quasi la metà dei voti della scorsa volta, in cui perse. Samaras, il leader di destra, sarà incaricato del mandato esplorativo per formare un governo. Il Pasok, socialista, è solo terzo e insieme non hanno la maggioranza per fare una grande coalizione pro-europea. Secondo è il partito di sinistra radicale Syriza con il 16%. I comunisti raccolgono l’8%, i nazionalisti il 10% e i neonazisti il 6%. I veri vincitori sono i partiti anti-Bruxelles (insieme sono al 40% contro il 34% di Nea Demokratia e Pasok).

Se non ci sarà un accordo, il governo non sarà più in grado di pagare gli stipendi e le commesse pubbliche, il collocamento dei nuovi buoni del tesoro nazionali è ad alto rischio e l’uscita dall’euro per nulla remota. Lo spettro del default torna in scena prepotentemente. Come già scritto tre mesi fa, “le prospettive macroeconomiche della Grecia non sono buone, con o senza default: la bancarotta imporrebbe una perdita per tutti i cittadini e imprese possessori di titoli di Stato greci, ma porterebbe anche al fallimento le banche greche e quindi a una forte restrizione del credito per le imprese. Inoltre un default non risolverebbe per magia i problemi strutturali: i livelli di spesa pubblica continuano a eccedere di molto i livelli delle entrate. Senza riforme strutturali del servizio pubblico, del mercato del lavoro, della fiscalità (e soprattutto dell’evasione fiscale) che sono quelle che impongono i sacrifici più grandi, la Grecia non riuscirà a ripartire”. Inoltre, il default greco pone un serio rischio contagio per gli altri paesi in difficoltà a partire da Portogallo e Spagna – e di conseguenza Italia ma anche Francia.

Quindi “crescita” è il mantra del momento. Tra i giornalisti di Bruxelles c’è già chi si diverte a contare quante volte la parola magica viene pronunciata nelle conferenze stampa. Ma come scriveva il premio Nobel Robert Solow, il padre della teoria della crescita, “conosciamo gli ingredienti della crescita, ma non la ricetta esatta”. Per di più molti di questi “ingredienti” sono immateriali (capitale umano e sociale), mentre altri richiedono molti anni prima di avere effetti tangibili (infrastrutture, ricerca e sviluppo).

Qualunque piano sarà adottato, quindi, non potrà avere effetti immediati anche nel migliore dei casi. Però potrà ridare una prospettiva e un senso ai sacrifici attuali. Manca una visione chiara al di là delle note contabili di pareggio di bilancio. Questa visione, elemento intangibile e un po’ retorico, non aiuterà solo a riconquistare gli elettori, ma anche a far capire ai famigerati “mercati” che la leadership europea esiste e ha un piano. Fino ad ora il messaggio è stato esattamente l’opposto e né i mercati né gli elettori si sono fatti fregare.

(Fonte Limes)

2012: l'Italia deve uscire dall'Euro?

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