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I minatori bambini

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Lo aveva denunciato l’organizzazione non governativa americana Human Rights Watch e lo avevano ammesso i ministri. E allora la notizia dei bimbi cercatori d’oro è uscita sui giornali di Dar es Salaam.  “Ogni giorno e per tutte le settimane dell’anno – ha sottolineato Haji Rehani, esperto dell’ong tanzaniana Agenda for Environmental and Responsible Development – nelle miniere o nelle loro case ragazzini di 12, 13 o 14 anni inalano sostanze altamente nocive”. Sono anzitutto i piccoli minatori della Tanzania, contagiati pure loro dalla “febbre dell’oro”, le vittime dell’avvelenamento da mercurio. “Una sostanza – spiega Rehani – utilizzata nelle miniere di piccole dimensioni per creare un amalgama che viene poi bruciata, consentendo di separare la polvere d’oro dalla terra e dal materiale roccioso”. Per capire le dimensioni del problema basta leggere il rapporto pubblicato da Human Rights Watch alla fine di agosto.

Nelle miniere d’oro della Tanzania, denuncia l’organizzazione, lavorano migliaia di bambini. Accade nelle province di Geita, di Shinyanga e di Mbeya, nel nord e nel sud, non lontano dal Lago Vittoria o ai confini con lo Zambia e il Malawi. Tra le vittime ci sono adolescenti ma anche bambini di appena otto anni. L’allarme è stato lanciato sulla base delle visite in 11 siti e delle interviste a oltre 200 lavoratori effettuate dai ricercatori americani e dai loro colleghi tanzaniani.

Secondo il rapporto, “migliaia di bambini lavorano in miniere d’oro autorizzate o illegali per lo più di piccole dimensioni”. L’impiego dei minori nel settore estrattivo, sottolinea Human Rights Watch, “costituisce una delle forme peggiori di sfruttamento ai sensi di leggi internazionali sul lavoro sottoscritte anche dalla Tanzania”.

Il veleno dei bambini. Il primo problema è il mercurio. Avvelena i minatori bambini, i loro coetanei che vivono nei pressi delle cave dove si estrae la polvere d’oro, villaggi interi. “Le conseguenza delle inalazioni sulla salute e la crescita – sottolinea Rohani – sono devastanti: il mercurio colpisce il sistema nervoso centrale e, in un corpo che si sta sviluppando, può causare disabilità permanenti”. Questo metallo pesante è utilizzato soprattutto nelle miniere di piccole dimensioni, dove la concentrazione di polveri aurifere è minore e dove nella lavorazione – a differenza dei giacimenti più ricchi – non è impiegato il cianuro. Il risultato sono danni alla salute irreparabili, come ha riconosciuto non solo chi di mestiere lotta per far rispettare i diritti umani ma anche il governo di Dar es Salaam. Pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto ha calcolato che l’emergenza riguarda circa 800.000 persone, molte delle quali minorenni. Allo stesso tempo, ha addotto come giustificazione del mancato rispetto delle leggi la mancanza di fondi. Secondo Mkama Nyamwesa, dirigente del ministero per il Lavoro con delega alle questioni giovanili, gli ispettori dello Stato incaricati di garantire l’aderenza alle norme sul territorio nazionale sono appena 81. “Nonostante sulla carta la Tanzania abbia leggi severe che vietano il lavoro minorile nelle miniere – ha accusato Human Rights Watch – il governo fa troppo poco per farle rispettare”.

Orfani e povertà. Ma il diffondersi delle violazioni non è dovuto in primo luogo alle difficoltà della repressione. Il problema è economico e sociale. “Per molte famiglie mandare i figli a scuola è un peso – sottolinea Rehani – mentre almeno in teoria le miniere offrono la possibilità di guadagni immediati”. Spesso nelle cave finiscono orfani o comunque ragazzi che vivono in condizioni di povertà. A volte hanno visto un ex compagno di classe con un cellulare, acquistato grazie al guadagno di una giornata fortunata. Secondo padre Marco Turra, un missionario della Consolata che conosce bene la Tanzania, i bambini orfani sono le prime vittime. Spesso hanno perso uno o entrambi i genitori a causa dell’aids. Spesso provengono da famiglie in difficoltà economica. “Alcuni genitori – sottolinea padre Marco – scelgono di mandare i figli a lavorare piuttosto che a scuola nonostante in Tanzania le rette siano più basse rispetto al Kenya o ad altri paesi africani”. Si capisce allora il titolo del Daily News, semplice presa d’atto dell’incompatibilità tra il diritto allo studio e il lavoro minorile. Una presa d’atto, che pure ha ispirato alcune decisioni del governo. Negli ultimi anni gli sforzi a tutela dei minori si sono intensificati. Tra gli interventi di maggior rilievo figurano quelli previsti dal Piano nazionale per i bambini più vulnerabili e quelli finanziati dal Fondo di azione sociale. “Nel campo del diritto all’istruzione – sottolinea padre Turra – è stato fatto molto: da un lato, si è garantito il funzionamento di scuole elementari in ogni villaggio e di istituti secondari in ogni Comune; da un altro, si è abbassata la retta fino all’equivalente di 10 euro a semestre”.

La battaglia per i diritti e la logica del mercato. La battaglia per i diritti, però, si scontra con le dinamiche dell’economia e le logiche del mercato. Per la Tanzania le esportazioni di oro sono la prima fonte di valuta estera. Il paese è il quarto produttore africano del metallo e solo nei primi sei mesi del 2013 il valore delle esportazioni ha superato il miliardo e 800 milioni di dollari. “Circa il 10% della produzione proviene da miniere di piccole dimensioni – ha calcolato il Daily News – ma la quota sta crescendo in conseguenza dell’aumento dei prezzi dell’oro sui mercati mondiali e della difficoltà della popolazione a individuare fonti di reddito alternative”. È un problema, questo, non solo tanzaniano. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), circa il 15% della produzione mondiale di oro proviene da cave o giacimenti dove braccianti, minatori o contadini lavorano senza autorizzazione e in condizioni di pericolo sia dal punto di vista della sicurezza che della salute. È un lavoro “sporco” che vale ogni anno 400 tonnellate. Portato avanti, ogni giorno e tutte le settimane, da circa nove dei dieci milioni di cercatori d’oro di tutto il mondo.

(Fonte misna)

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