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Il business dei vaccini

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“Sul fronte dell’industria vaccinale vi sono state grandi novità: la liberalizzazione del prezzo dei vaccini, avvenuta alla fine degli anni ’80 in buona parte dei paesi Occidentali, ha finalmente rotto il gap dello statalismo che soffocava lo sviluppo dei vaccini imponendo prezzi bassi non remunerativi in cambio di mercato garantito e in assenza di competizione. Fare vaccini è diventato di nuovo conveniente: abbiamo visto un grande rilancio della ricerca, un’esplosione di attività promozionali e culturali, accompagnate da una aggregazione, in poche grandissime multinazionali, di buona parte dell’industria vaccinale.”
Così scriveva Donato Greco, Dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità alla fine degli anni 90.

In effetti, da quando si è passati dai 3 vaccini degli anni ’80 (antipolio, antidif-tetanica) ai 15 odierni (aggiungendo quelli contro pertosse, Hib, epatite B, meningococco B e C, pneumococco, rotavirus, morbillo, parotite, rosolia, varicella, influenza) il “mercato” è cambiato, con guadagni consistenti da parte dei produttori.

Un’analisi costo-beneficio tratta da Canadian Immunisation Guide mostra come i vaccini più recenti costino molto di più per anno di vita salvato rispetto ai vaccini meno recenti. Continue Reading

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La Medicina di precisione modellata sul paziente

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Non più un’unica cura per tutti i pazienti con la medesima malattia, ma le cure più adatte per il singolo e a seconda delle caratteristiche genetiche personali. Non è la trama di un film di fantascienza, ma è la nuova visione della medicina, la cosiddetta medicina di precisione che in alcuni casi diventa medicina personalizzata, cucita su misura come un abito.

È un nuovo modo di pensare alla cura e alla prevenzione delle malattie, che prende in considerazione la peculiarità genetica e di stile di vita del singolo individuo“, commenta Carlo Alberto Redi, professore di Zoologia all’Università di Pavia, Accademico dei Lincei e membro del Comitato Etico di Fondazione Veronesi, che in questi mesi sta elaborando un documento proprio sulla Medicina di precisione. Un approccio così promettente che quest’anno il presidente Barack Obama ha stanziato 215 milioni di dollari per la Precision Medicine Initiative: una rete di scienziati al lavoro per rendere rapidamente la Medicina di precisione lo standard clinico. Un progetto simile in Gran Bretagna, il 100,000 Genome Project costerà 300 milioni di dollari.

Proprio a questo tema di frontiera è dedicata anche l’undicesima edizione della conferenza mondiale The Future of Science organizzata da Fondazione Veronesi, Fondazione Tronchetti Provera e Fondazione Giorgio Cini, che avrà luogo dal 17 al 19 settembre 2015 a Venezia: “La Medicina di precisione: come ci cureremo in futuro”.

La rivoluzione della medicina di precisione è iniziata nel 2000 col successo di una delle più grandi imprese scientifiche collettive partita vent’anni prima su intuizione di un grande scienziato italiano, Renato Dulbecco: il sequenziamento del genoma umano. Per la prima volta nella storia, l’umanità ha avuto a disposizione la sequenza esatta di “lettere” (in gergo tecnico “nucleotidi”) che compongono l’intero Dna umano. “Questi ultimi 15 anni di ricerca sui genomi ci hanno rivelato che la stessa malattia in ogni paziente è diversa e anche nello stesso paziente c’è una grande variabilità genetica e cellulare”, continua Il profcssor Redi.

Arriveremo sempre più vicini a una medicina personalizzata, certo, pensata magari non per individui ma per gruppi specifici. Spiega Veronesi: “Già oggi possiamo in molti casi chiudere in un cassetto i protocolli generalizzati a cui eravamo costretti fino a poco tempo fa e scegliere le terapie più adatte per il malato in un determinato momento della sua malattia. Un ragionamento analogo si può fare per la prevenzione delle malattie: a quali rischi è esposta una data persona? E cosa posso fare concretamente per ridurli?”.

La rivoluzione della Medicina di precisione o personalizzata non sta toccando solo le cure, ma anche i metodi di prevenzione e diagnosi: la possibilità di sequenziare i geni o piccoli frammenti di Dna e Rna indicativi di una malattia in fase iniziale potranno fare davvero la differenza nell’esito delle cure.

In certi casi questo approccio è già il presente. Un esempio viene dal tumore al seno: grazie alla biologia molecolare ormai si riescono a identificare le specifiche alterazioni genetiche che sono alla base da quel tumore. “Il processo si chiama “tipizzazione” e permette di scegliere la terapia più efficace: è inutile curare una donna con la terapia ormonale se il suo tumore non possiede i recettori per gli ormoni, mentre una paziente con alti livelli della proteina Her2 avrà maggiori probabilità di guarigione assumendo farmaci “intelligenti” che riconoscono proprio Her2, rispetto alla chemioterapia standard”, spiega il professar Redi.

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Malattie rare, 19mila nuovi malati ogni anno

Giornata mondiale delle Malattie Rare

Oggi si celebra l’ottava Giornata mondiale delle Malattie Rare. L’obiettivo principale di questo evento, celebrato in 84 Paesi del mondo, è quello di sensibilizzare il pubblico generale e chi prende le decisioni sulle malattie rare e sul loro impatto sulla vita dei pazienti. A livello nazionale, la promozione e il coordinamento degli eventi organizzati nell’ambito della giornata delle malattie rare è affidata alle alleanze federative nazionali: Uniamo Federazione Italiana Malattie Rare onlus per l’Italia.
 Il tema di quest’anno è “Vivere con una malattia rara” e lo slogan è “Giorno per giorno, mano nella mano”. A 14 anni dalla ‘legge quadro’ sulle malattie rare (Legge 279/2001) quali obiettivi sono stati raggiunti e quali, invece, sono ancora da realizzare?

I malati affetti da patologie rare sono 2 milioni, colpiscono cinque persone su diecimila e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi. Molte patologie hanno una frequenza addirittura dello 0,001 per cento, cioè un caso ogni centomila persone. Il numero di quelle conosciute e diagnosticate oscilla tra le settemila e le ottomila. In Italia, secondo la rete Orphanet, coordinata dal professor Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale Bambino Gesù, dei circa due milioni di pazienti affetti da queste patologie il 70 per cento riguardano i bambini. Le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%) e le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e disturbi immunitari (20%). Per i pazienti in età adulta, invece, le frequenze più alte appartengono al gruppo delle malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) e delle malattie del sangue e degli organi ematopoietici (18 %). Le aziende farmaceutiche non sono interessate a sviluppare i farmaci per le malattie rare (detti “farmaci orfani”) perché il mercato è troppo piccolo e i guadagni non coprirebbero le spese per la ricerca e lo sviluppo delle molecole.

Tommaso Galluppi è un ragazzo di 22 anni che convive ogni giorno con una malattia rara. Non è una foca o un pipistrello. Non è un qualche animale raro, sempre sotto i riflettori di pubblicazioni scientifiche e documentari. “Tommy” è un giovane veneziano affetto da iperfenilalaninemia: diagnosticata alla nascita, è una malattia metabolica ereditaria che nei paesi sviluppati colpisce un bambino su 10mila. Ed è questo (finalmente) ad essere sotto i riflettori. Il video “The rarest ones”, fortemente voluto da Dompé, azienda biofarmaceutica impegnata nella ricerca di soluzioni terapeutiche per malattie rare e orfane di cura.

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Stop agli avanzi di pasticche, in arrivo i farmaci monodose

farmaci monodose

“Basta con gli avanzi di pasticche e le confezioni scadute. Sì alla dose unica del farmaco (cioè limitata allo stretto occorrente per la cura) e alla terapia personalizzata. Una novità rivoluzionaria contenuta in un emendamento, a prima firma di Giulia Grillo (M5S), che è passato nella legge di Stabilità, ma di cui nessuno si è accorto.

Eppure è importantissimo e riguarda da vicino la nostra salute e le nostre tasche. Per adesso verrà adottato in ambito ospedaliero attraverso una tecnologia barcode (viene assegnato un codice a barre al paziente e al farmaco in dose unitaria) che permette la tracciabilità della prescrizione e della somministrazione dei farmaci. In futuro si spera che venga esteso a tutti i medicinali che compriamo in una qualsiasi farmacia per evitare sprechi e consumi fai da te.

In pratica, fra qualche mese, quando entrerà in vigore la legge, il medico dovrà prescrivere al paziente un numero esatto di pastiglie o di fiale in base alla cura, e non più la scatola intera. Una pratica già diffusa negli Stati Uniti, Canada, Germania, Spagna, Cina e altri Paesi. Noi ci arriviamo solo adesso. Meglio tardi che mai, già.

“I farmaci – si legge nella proposta di legge presentata il 12 dicembre 2013 – saranno conservati in armadi gestiti da un software che permette di controllare i livelli di scorta, di segnalare la data di scadenza, di gestire i ritorni di terapia, di garantire la completa tracciabilità di ogni confezione, di determinare i livelli di stock in tempo reale e di segnalare ogni possibile anomalia relativa al farmaco, confezionato in dose unitaria”.

I vantaggi sono tre. Il primo è la riduzione della spesa farmaceutica delle strutture ospedaliere (che nei primi sei mesi del 2014 ammontava a 2,8 miliardi di euro, pari al 4,77 per cento del Fondo sanitario nazionale, oltre due punti sopra il tetto fissato). D’ora in poi farmaci per due/tre/quattro o più pazienti al prezzo di una confezione. Il secondo è la sicurezza nell’assunzione delle medicine. E il terzo è un’emancipazione da Big Pharma che in Italia è sempre riuscita a imporre scatolette da 30 compresse per una cura che ne richiede al massimo 5. È chiaro che l’acquisto obbligato di dosi esagerate è una strategia delle aziende per aumentare il turnover dei magazzini e fare soldi.

Cosa mi aspetto? Che la dose unica sia imposta anche all’esterno degli ospedali, nel resto delle farmacie. Così quando mi serve l’antidolorifico, compro metà blister. Se ho bisogno di sei compresse di antibiotico, non devo prendere l’intera scatola da 12. Diversamente, le pasticche possono scadere, essere conservate male, o peggio, assunte quando ci pare senza cognizione di causa”. Chiara Daina

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Farmaco epatite C: In India costa un dollaro, in Italia mille

Epatite-C

In India il farmaco per la cura dell’epatite C, ritenuto poco innovativo, costa un dollaro in Italia mille volte tanto, ovvero 1000 dollari a compressa e 84mila dollari (66mila euro) per i tre mesi di terapia.

“Il farmaco della Gilead per curare l’epatite C (efficacia al 97%), non potra’ essere brevettato in India. Le autorita’ hanno negato le autorizzazioni e la causa farmaceutica ha firmato diversi accordi volontari di licenza con produttori di farmaci generici in quel Paese, incluse le restrizioni dei Paesi che potranno avere accesso a questa versione generica, che costera’ 1 Usd a compressa rispetto ai 1.000 Usd del prodotto venduto sotto l’egida del brevetto.

In Italia ogni compressa costa circa 600,00 euro e per un ciclo completo di terapia si va intorno ai 60.000,00 euro, per cui il nostro Servizio Sanitario, dopo un accordo con la Gilead, ne ha previsto l’uso per un numero limitato di malati (1,5 milioni sono i portatori di questo virus), che pare sia di 30.000.

A fronte del rifiuto delle autorita’ dell’India e della disponibilita’/flessibilita’ della casa farmaceutica a modulare il prezzo anche al di fuori della brevettabilita’, ci domandiamo perche’ non possiamo essere tutti indiani“. Aduc

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