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Un’Italia SottoSopra

Italia-crisi-povertà

Una tenaglia di povertà e deprivazione che giorno dopo giorno stringe ai fianchi sempre più bambini e adolescenti. Sono oltre 1 milione i minori che vivono in povertà assoluta, il 30% in più nel 2012, pari a 1 minore su 10, documenta  “L’ItaliaSottoSopra”  il 4° Atlante dell’Infanzia (a rischio) in Italia di Save the Childre con l’aiuto anche di 50 mappe. 1 milione e 344 mila vivono in condizioni di disagio abitativo. 650.000  in comuni in default o sull’orlo del fallimento, e per la prima volta è di segno negativo la percentuale di bambini presi in carico dagli asili pubblici, scesa dello 0,5%. Il 22,2% di ragazzini  è in sovrappeso e il 10,6% in condizioni di obesità: il cibo buono costa e le famiglie con figli hanno ridotto i consumi e gli acquisti (-138 euro in media al mese), anche alimentari; 1 bambino su 3  non può permettersi un apparecchio per i denti. 11 euro mensili il budget delle famiglie più disagiate con minori, per libri e scuola, una cifra 20 volte inferiore a quella del 10% delle famiglie più ricche; sui 24 paesi Ocse, Italia ultima per competenze linguistiche e matematiche nella popolazione 16-64 anni e per investimenti in istruzione: +0,5% a fronte di un aumento medio del 62% negli altri paesi europei (Ocse); sono 758.000 gli early school leavers e oltre 1 milione i giovani disoccupati.

All’inizio del 2006 il mondo sembrava ancora girare alla grande: gli indicatori puntavano verso l’alto, la finanza realizzava affari d’oro, le banche favorivano il credito, alimentavano i consumi e la speranza di una crescita facile. Poi negli Stati Uniti i tassi dei mutui sono saliti alle stelle, quasi due milioni di famiglie sono andate al tappeto, e l’esplosione della bolla speculativa dei mutui sub-prime ha iniziato a fare girare il mondo nella direzione contraria. L’effetto domino si è propagato in Italia già alla fine del 2007. A una prima fase recessiva nel 2008-2009 è seguita una moderata ripresa nel 2010 e una nuova e peggiore ricaduta a partire dalla seconda metà del 2011, quando la speculazione finanziaria ha preso di mira il mercato dei titoli di stato, l’Italia si è capovolta e milioni di famiglie sono rimaste (e rimangono tuttora) appese a testa in giù. Sembrano confermarlo i grafici a montagne russe dei principali indicatori economici. Rispetto al 2007 il numero delle persone occupate è sceso di quasi mezzo milione. La disoccupazione è salita passando dal 6,1% al 12%. La disoccupazione giovanile è schizzata alle stelle raggiungendo il 40% e oltre 700 mila giovani sono finiti per strada. Il prodotto interno lordo è caduto di 7 punti in cinque anni e il reddito disponibile delle famiglie è crollato del 9%. Soltanto nel 2012 il reddito in valori correnti è diminuito del 2,1%, il potere d’acquisto delle famiglie consumatrici (il reddito disponibile in termini reali) è andato giù del 4,8%, così come la propensione al risparmio (-0,5 %). Decine di migliaia di negozi e imprese in tutta Italia hanno abbassato le saracinesche. Per arrivare a fine mese molte famiglie sono state costrette a rompere il salvadanaio, a rivedere le abitudini di consumo, e a volte a dover cambiare il proprio stile di vita. Soprattutto quando a casa ci sono dei bambini. Nel 2007 il 31,8% delle famiglie con minori dichiarava di non riuscire a fronteggiare una spesa imprevista, nel 2011 il tasso era salito di altri 10 punti superando il 40%. Prima dell’ultima e più virulenta manifestazione della crisi, 4 famiglie su 10 dichiaravano di tirare a campare con “difficoltà” o “grande difficoltà”.

Nell’Italia SottoSopra la spesa media mensile delle famiglie con bambini si è ridotta in cinque anni del 4,6% (circa 138 euro), quasi il doppio rispetto a quanto si è verificato tra l’intero monte delle famiglie (2,5%). A livello nazionale i tagli non sembrano aver intaccato il comparto alimentare – con un’importante eccezione al Sud, dove la spesa media per questo capitolo scende del 5,8% – ma soltanto perché tanti hanno imparato a convivere con la crisi, ad adattarsi. Il rapporto Coop 2013 rileva il successo crescente di prodotti “in promozione o scontati”, “last minute market”, “formati più grandi per risparmiare”, “marchi più economici”, e un calo del mercato dei prodotti “naturali e locali”. Una complessiva e preoccupante diminuzione della “qualità” della spesa. Il downgrading del carrello, anche questa volta, ha interessato soprattutto chi ha dei figli dipendenti se è vero che nel 2012 il 66% delle famiglie in questa condizione – ovvero ben 4 milioni 400 mila nuclei familiari con prole – ha ridotto la qualità/quantità della spesa per almeno un genere alimentare. Un incremento di 11,7 punti percentuali rispetto al 2007, superiore di 4 punti a quello rilevato tra l’insieme delle famiglie (+8,7%)4. Se a livello nazionale il budget per l’alimentare è rimasto tutto sommato stabile, con le avvertenze di cui sopra e un sempre maggiore ricorso al discount, quello per i prodotti non alimentari ha subito una contrazione molto significativa del 5,5% tra le famiglie con minori (+2,4% rispetto al totale delle famiglie), con alcune differenze territoriali: una consistente riduzione al Nord (-195 euro), e al Sud (-189 euro), e una perdita più contenuta al Centro (-13 euro). A fronte di un aumento della spesa per alcuni beni primari – dovuto ad esempio all’aumento dei prezzi di combustibili, trasporti e abitazione – i tagli sono andati a colpire soprattutto l’abbigliamento, i mobili e gli elettrodomestici, la cultura, il tempo libero e i giochi. Anche in questo caso è interessante notare lo svantaggio relativo delle famiglie con minori, costrette a stringere maggiormente la cinghia rispetto ad alcuni beni e servizi chiave per la cura e lo sviluppo dei figli.

L’Italia SottoSopra stringe le famiglie in una morsa. Da una parte, disoccupazione, calo del reddito e dei consumi. Dall’altra, cattiva amministrazione, debito pubblico, tasse, tagli, vincoli più rigidi di spesa. Anche in questo caso a pagare il conto sono soprattutto le famiglie con bambini, costrette a confrontarsi con il rincaro dei servizi – asili, mense, scuolabus, agevolazioni per i bambini meno abbienti, centri di sostegno allo studio – e con la riduzione delle prestazioni. In qualche caso con la loro stessa interruzione. Gli ultimi dati rilasciati dall’Istat non lasciano dubbi: dal 2007 al 2012 i minori in povertà assoluta sono più che raddoppiati, passando da meno di 500 mila a più di un milione. L’incremento più significativo si è avuto nell’ultimo anno: solo nel 2012 il loro numero è cresciuto del 30% rispetto all’anno precedente, con un vero e proprio boom al Nord (+ 166 mila minori, per un incremento del 43% rispetto al 2011) e al Centro (+41%). Il Sud già fortemente impoverito ha conosciuto un aumento relativamente più “contenuto” (+20%) e raggiunto la quota stratosferica di mezzo milione di minori nella trappola della povertà.

“In questa fase di crisi i bambini e gli adolescenti si ritrovano stretti in una morsa: da una parte c’è la difficoltà di famiglie impoverite, spesso costrette a tagliare i consumi per arrivare alla fine del mese,  dall’altra c’è il grave momento che attraversa il Paese, con i conti in disordine, la crisi del welfare, i tagli dei fondi all’infanzia, progetti che chiudono. In mezzo, oltre un milione di minori in povertà assoluta, in contesti segnati da disagio abitativo, alti livelli di dispersione scolastica, disoccupazione giovanile alle stelle”, commenta Valerio Neri, Direttore Generale Save the Children Italia.“Un numero così grande e crescente di minori  in situazione di estremo disagio, ci dice una cosa semplice: la febbre  è troppo alta e persistente e i palliativi non bastano più, serve una cura forte e strutturata. E la cura è, secondo Save the Children ma anche istituzioni autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ocse, investire in formazione e scuola di qualità, laddove l’Italia è all’ultimo posto in Europa per competenze linguistiche e matematiche della sua popolazione. La recessione non è iniziata soltanto 5 anni fa in conseguenza della crisi dei mutui subprime o degli attacchi speculativi all’euro, ma affonda le sue radici nella crisi del capitale umano, determinata dal mancato investimento, a tutti livelli, sui beni più preziosi di cui disponiamo: i bambini, la loro formazione e conoscenza. Sotto questo aspetto, l’Atlante non offre solo una mappa di ciò che non va, ma mostra bene in controluce ciò che si può e si deve fare per rimettere a posto le cose”.

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La filosofia Zen per uscire dalla crisi

 

Sette su cento. E’ la percentuale di imprese che, una volta sull’orlo del baratro e finite in amministrazione straordinaria, riescono a risollevarsi e a non chiudere i battenti per fallimento. Una di queste e’ la fonderia Zen, di Albignasego, in provincia di Padova. Con una particolarità in più: caso più unico che raro, e’ riuscita a salvarsi senza fare ricorso a prestiti bancari, peraltro indisponibili, mantenendo sostanzialmente i circa 140 posti di lavoro nel corso della crisi che ha rischiato di affossarla, e i dirigenti e lavoratori che hanno contribuito al riscatto ora se la comprano.

Un risultato raggiunto sotto la gestione del commissario straordinario Giannicola Cusumano, commercialista di Verona, assistito dallo studio legale Lambertini & Associati, reso possibile anche grazie agli sforzi, ai sacrifici compiuti e all’intraprendenza dei dipendenti.

Per presentare al ministero dello Sviluppo economico la proposta di acquisto dell’azienda, i lavoratori hanno dato vita a due realtà distinte, ma in stretto collegamento tra loro: i manager e quadri della Zen, sette persone in tutto, hanno creato una nuova società, la Gdz. Mentre 120 tra operai, tecnici specializzati e altri addetti hanno formato una cooperativa. Insieme hanno definito un piano di gestione, e un’offerta per rilevare l’attività, pari a 6 milioni e 260 mila euro. Esclusi gli immobili, che verranno presi in affitto. L’operazione ha già ottenuto il via libera dal ministero e, visto che entro metà marzo, come previsto dai termini di legge, non sono giunte offerte superiori, ora entra nel vivo. Se tutto il programma verrà rispettato, all’inizio di giugno nascerà la nuova Zen Fonderie.

Il caso Zen, sottolinea Giulio Sapelli insegnante di economia politica all’Università Statale di Milano grande conoscitore del movimento cooperativo internazionale, e’ unico in Italia e Europa. Dirigenti e operai hanno costituito una società mista. Di fronte all’alternativa tra fallire o cambiare, tutti hanno scelto di cambiare. In questo senso, il caso unico potrebbe diventare il primo di una tendenza.Nuovo in Italia. In realtà, questo tipo di esperienze sono abbastanza frequenti in Argentina. Li ci sono quasi 3 mila “fabricas recuperadas” perché con la grande crisi del default del 2001 c’è stato un ritorno alle origine di produzione un po’ più collettivista, che il presidente Carlos Menem aveva distrutto.

Penso che questa forma potrà anche estendersi all’Europa: anche se l’esperienza si e’ ridotta in Germania e Francia (per le catastrofi delle cooperative abitative), c’è un grande sviluppo in Inghilterra. E poi c’è il mondo emergente: il discorso comincia a conquistare l’India, il Giappone. In Africa il discorso e’ tumultuoso: in Niger, Burkina Faso, Congo e soprattutto Sudafrica. Per tutti, la stella polare e’ la Sociétè Desjardins, una banca canadese che ha espresso una così forte moral suasion sul proprio sistema bancario nazionale da uscire indenne dalla crisi, perché nessuno si e’ ingolfato di derivati.

(Fonte Panorama Economy)

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