L’ultima relazione sulle esportazioni di sistemi militari inviata dal governo alle Camere è relativa al 2013, predisposta dal governo Letta e inviata alle Camere dall’attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio. Le informazioni che riporta sono generiche e incomplete, e non si riesce a capire a chi in definitiva finiscano le nostre armi. Risulta praticamente impossibile sapere quali siano di preciso i sistemi militari e gli armamenti esportati.
Per quanto opaco e approssimativo, il documento certifica però un dato importante. Nel 2013 non c’è stato alcun crollo nelle esportazioni di sistemi militari italiani come sovente sostenuto dalle imprese e da ambienti della Difesa, anzi si è registrato un record di autorizzazioni e di esportazioni di sistemi militari proprio nella zone di maggior tensione. Sono stati infatti spediti nel mondo armamenti italiani per oltre 2,7 miliardi di euro (€2.751.006.957), cioè solo poco meno della cifra-record realizzata nel 2012 (€2.979.152.816): un calo quindi (del 7,7%) ma non certo un “crollo”.
Su un totale di 2,1 miliardi di euro di esportazioni autorizzate, oltre un terzo (709 milioni) sono state rilasciate in Medio Oriente e Nord Africa. L’Arabia Saudita con il 13%8 del totale esportato è stato il primo partner commerciale della fascia extra Nato/Ue ed il primo in assoluto per esportazioni, segue l’Algeria (10,9%), gli Emirati Arabi Uniti (4,4%) e l’Australia. Anche il 29,4% dei sistemi d’armamento, per una cifra pari a 810 milioni di euro, sono stati effettivamente esportati verso questi Paesi.
I settori più rappresentativi dell’attività d’esportazione sono stati: aeronautica, elicotteristica, cantieristica navale, elettronica per la difesa ed i sistemi d’arma (missili, artiglierie). Le prime dieci aziende destinatarie di autorizzazioni all’esportazione sono state:
Negli ultimi anni, spiega Giorgio Beretta, analista della Rete Disarmo, “i Governi Berlusconi, Monti e Letta hanno autorizzato quote sempre più consistenti di esportazioni di armi e sistemi militari verso il Medio Oriente, alle monarchie saudite e ai regimi autoritari di vari paesi ex-sovietici: si tratta delle zone di maggior tensione del mondo. È ormai tempo che il Parlamento torni a svolgere il ruolo di controllo che gli compete per verificare se queste esportazioni corrispondono alla politica estera e di difesa del nostro paese o se, invece, non siano soprattutto dettate dall’esigenza di incrementare gli ordinativi a favore delle industrie militari, in particolare di quelle a controllo statale come Finmeccanica”.
La legge italiana (la legge n. 185 del 1990 che è stata modificata nel 2012 anche per recepire la normativa Ue) prevede che sia vietata la vendita di armi e sistemi militari a paesi “i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa” (art. 1, c.6): ma raramente i governi italiani hanno vietato esportazioni di armi a regimi responsabili di violazioni dei diritti umani.
A questo punto sorge il dubbio che sia tutto programmato a tavolino. Ogni tot anni esce fuori il terrorista/terrorismo di turno, che guarda caso viene armato da chi poi dovrà riuscire a sconfiggerlo. Dal 2008 diversi Paesi europei hanno contribuito ad armare le forze libiche. Abbiamo rifornito indirettamente gli jihadisti che ora utilizzano quelle armi mentre avanzano sul territorio libico.
Giochiamo a fare la guerra, e chi ci guadagna già lo sappiamo.