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Parlamentari liguri, chi li ha visti?

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I numeri sono, sempre, impietosi. Soprattutto, i grandi numeri, non si lasciano smentire: così risulta che la Liguria è stata terzultima tra le regioni italiane per produttività dei suoi parlamentari negli ultimi cinque anni. Poco meno di quanto in effetti conta la terra di Colombo a Roma. Solo Val d’Aosta e Campania (quindi non contano né dimensione né area geografica) hanno fatto peggio, almeno a consultare il mare di statistiche di openpolis, il sito che studia ogni movimento degli eletti.

Per certi versi era prevedibile: la legislatura era cominciata male, con i liguri che avevano perso un seggio da senatore e uno da deputato per far spazio al collegio estero.

Neppure, tra l’altro, hanno colpa i “paracadutati”, ossia quella diffusa razza di parlamentari non liguri che si sono fatti eleggere tra Sarzana e i Balzi Rossi e poi non si sono fatti più vedere. Infatti, sia il detenuto (ai domiciliari) Luigi Lusi (Api) sia la desaparecido Fiamma Nirenstein (Pdl) hanno tassi di produttività alti: evidentemente si sono occupati di altre vicende, non liguri, però. E’ lo stesso teorema che premia senatori e deputati apparentemente allergici al palcoscenico come Gabriele Boscetto (Pdl) o Sabina Rossa (Pd): quasi muti nel quotidiano rivendicare diritti e finanziamenti per lavoratori e istituzioni liguri, i due in parlamento si sono affannati a firmare e a sostenere documenti e proposte di legge e, per lo più, scegliendo quelli che poi sono andati avanti. Chi invece, normalmente abusa della prima fila, come Giorgio Bornacin (Pdl), è relegato nei bassifondi. Una risposta c’è: visto che le vertenze che si sviluppano attorno a Genova si sono spesso arenate, il tasso di attivismo di chi le aveva perorate è finito nel precipizio. Su una via mediana, infatti, si sono collocati Franco Orsi (Pdl), e i Pd Roberta Pinotti e Mario Tullo, che hanno alternato terreni locali e nazionali; meglio ancora Luigi Grillo (Pdl).

E l’eterno presunto potente Claudio Scajola (Pdl)? Ultimo tra gli ultimi. L’additato Giovanni Paladini (Idv fino a due settimane fa), dipinto dagli avversari come interessato ad altro? Primo tra i primi. Il ribelle Enrico Musso (Pli), campione tra coloro che amano votar contro il proprio gruppo? Sfiora il podio, centrato invece da un super-presente in aula del calibro di Roberto Cassinelli (Pdl).

L’amara lettura dei dati restituisce un panorama desolante. Chi si impegna (o almeno tenta di farlo) per il territorio non arriva a nulla, chi veleggia in scia dei gruppi capaci di esprimere le proposte care alla maggioranza (trasversale) si può vantare in patria. L’esito non cambia: poca Liguria e conseguente crollo dell’intera regione rispetto alle altre. Con qualche costanza: i leghisti (da Chiappori a Di Vizia a Castelli) hanno tutti fatto piuttosto poco, proprio loro, così ripetitivi nel dire che sono bravi amministratori.

Ci sono diverse motivazioni (da non confondersi con giustificazioni). Prima fra tutte, la pessima legge elettorale che ha portato a Montecitorio e Palazzo Madama solo nominati poco inclini a discutere gli ordini dei capi che, nel caso del centrodestra, erano anche nella stanza dei bottoni a Palazzo Chigi fino a un anno fa. Seconda: il governo dei tecnici ha tolto definitivamente palla ai peones e tra l’altro è toccato al Pd (dati alla mano) garantire continuità istituzionale, essendo via via svanita tra le assenze la quasi totalità della delegazione berlusconiana.

In questo senso, sostengono in segreto anche i pidiellini, le primarie a sinistra di queste ultime settimane non possono che far bene. Cercasi colonnelli capaci di prendersi in mano la Liguria e portarla a Roma. L’aritmetica dimostra che per contare bisogna addentrarsi nella macchina fino in fondo, non accontentarsi. Il problema, per altri l’opportunità, è che nessuno degli uscenti nostrani è certo di tornare a Palazzo.

Immagine Il Secolo XIX

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(Fonte Il Secolo XIX)

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