0

Il 50% dei rifiuti in Italia è ancora smaltito in discarica

rifiuti in Italia ancora smaltiti in discarica

Quasi il 50% dei rifiuti urbani prodotti in Italia viene conferito in discarica, a fronte di Paesi del Nord Europa che in alcuni casi hanno di fatto raggiunto l’obiettivo di azzerare del tutto l’interramento dei rifiuti (Germania, Paesi Bassi e Svezia), accompagnando al minore ricorso alla discarica valori di recupero e incenerimento significativamente più alti di quelli italiani.

In Italia si producono annualmente circa 170 milioni di tonnellate di rifiuti, tra urbani, speciali e pericolosi, pari a una media di 3 tonnellate di rifiuti pro capite annui. Gran parte di questi è prodotta dalle attività di costruzione e demolizione (35% del totale), un quarto circa è composto da rifiuti speciali non pericolosi, il 19% da rifiuti urbani, il 15% dal trattamento dei rifiuti e infine il 6% da rifiuti speciali pericolosi. La produzione annua di rifiuti in Europa è stimata pari a circa 2,5 miliardi di tonnellate, equivalenti a 5 tonnellate di rifiuti pro capite, con una distribuzione per tipologia di rifiuto molto differente da quella italiana: i rifiuti urbani in Europa rappresentano appena l’8,7% del totale, mentre la gran parte dei rifiuti è prodotta dal settore industriale (i rifiuti speciali non pericolosi sono il 48% del totale). Rappresentando valori medi riferiti a tutti gli Stati membri, questi dati nascondono in realtà importanti differenze, in particolare tra gli Stati originari e i nuovi Stati membri, più indietro nel perseguimento della strategia europea per i rifiuti. La produzione di rifiuti urbani in Europa, come in Italia, è il risultato di un mix di fattori, i più rilevanti dei quali sono l’andamento del PIL, la crescita demografica e le politiche messe in atto per la gestione del ciclo dei rifiuti.

Rispetto ai percorsi indicati dall’Unione Europea per una gestione del ciclo integrato finalizzata a raggiungere l’obiettivo di conferire in discarica il minor quantitativo possibile di rifiuti, l’Italia si trova in condizioni piuttosto critiche. I rifiuti vengono interrati nel 49,2% dei casi, rispetto a una media europea del 37,2% e a valori prossimi allo zero per i Paesi più virtuosi (Germania, Paesi Bassi e Svezia). Parliamo tuttavia di un dato medio, poco rappresentativo di situazioni regionali che presentano macroscopiche differenze: accanto a Regioni che mandano in discarica al massimo il 10% dei rifiuti (Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto), altre Regioni interrano quasi interamente la loro produzione di rifiuti (Sicilia, Calabria, Molise). Differenze che si riscontrano anche in altri aspetti rappresentativi di una gestione più o meno virtuosa del ciclo integrato: la raccolta differenziata raggiunge percentuali superiori al 50% in tutte le Regioni del Nord Italia (fanno eccezione solamente la Liguria e la Valle d’Aosta), mentre in alcune realtà stenta a raggiungere il 20% (Sicilia, Calabria, Puglia, Molise); in Lombardia e in Emilia Romagna si inceneriscono più di 200 kg di rifiuti pro capite l’anno, rispetto ai 2 kg pro capite delle Marche, agli 8 del Piemonte, ai 18 kg pro capite pugliesi. Questi differenti risultati sono del resto il frutto di condizioni di contesto profondamente diverse. Innanzitutto la dotazione impiantistica che, se risulta insufficiente a livello nazionale, a livello territoriale sembra del tutto disomogenea: accanto a Regioni che hanno una dotazione impiantistica, al netto della discarica, superiore ai 4 impianti per 1.000 kmq (Lombardia), altre Regioni (Basilicata, Sicilia, Sardegna) registrano una densità impiantistica ogni 1.000 kmq che non raggiunge neanche l’unità. Anche la struttura imprenditoriale risulta tutt’altro che omogenea. Le Regioni nord orientali si contraddistinguono per la significativa presenza di multiutility: in Emilia Romagna il 16,9% delle imprese di igiene ambientale è una multiservizio, così come circa l’11% delle imprese venete e toscane e più del 10% delle imprese lombarde e alto atesine. In compenso in Sicilia e in Piemonte non si registra la presenza di alcuna multiservizio, e non stanno molto meglio altre Regioni in cui le multiutility rappresentano meno del 4% del tessuto imprenditoriale (Lazio, Campania, Liguria). Alla struttura imprenditoriale è legata soprattutto una diversa capacità di investimento che non fa che acuire la già profonda differenza impiantistica; le imprese multiservizio sono infatti anche quelle che in virtù della possibilità di diversificare le fonti di ricavo, ma soprattutto della grande dimensione, riescono a programmare meglio le politiche di investimento, garantendo migliori risultati. L’analisi degli investimenti realizzati ha infatti dimostrato come nel Mezzogiorno d’Italia la più alta presenza di gestioni in economia, unita alla piccola dimensione media delle imprese, abbia di fatto determinato una scarsa capacità di investimento, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Gli investimenti che hanno reso di più sono stati infatti quelli realizzati dal sistema imprenditoriale, piuttosto che dagli Enti locali e, tra i primi, quelli delle realtà aziendali più grandi. Anche il costo del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti presenta forti differenziazioni territoriali; ancora una volta le situazioni più competitive, in grado di gestire il settore a costi più contenuti, si trovano nel Nord del Paese, mentre è nel Mezzogiorno che, pur in presenza di livelli di raccolta differenziata contenuti e con uno smaltimento ancora prevalentemente concentrato in discarica, si registrano i costi più alti. In generale si osserva che in alcune Regioni l’aver mantenuto elevati i costi medi di smaltimento in discarica, anche con il sistema dell’ecotassa, ha ben funzionato come disincentivo, concorrendo a favorire lo sviluppo di soluzioni alternative, mentre in altre aver lasciato la discarica a costi molto competitivi rispetto ad altre forme di recupero e smaltimento ha di fatto rafforzato la tendenza del sistema a ricorrere prevalentemente all’interramento dei rifiuti. Infine si osservano alcune situazioni paradossali per cui, nonostante l’alto costo della discarica, questa continua a essere la soluzione più praticata, presumibilmente per un’arretratezza generale nella gestione del ciclo che fatica a essere risolta (è il caso per esempio della Sicilia). Aver ottenuto risultati, anche molto virtuosi, in alcune realtà territoriali italiane mostra il tema del risanamento del comparto sotto una luce leggermente differente; l’obiettivo di ridurre al minimo il conferimento dei rifiuti in discarica è infatti evidentemente perseguibile e raggiungibile anche nel nostro Paese. Si tratta quindi di individuare un percorso realizzabile, che crei in tutte le diverse realtà territoriali le condizioni di mercato per cui al sistema risulti più conveniente prevenire, recuperare, riciclare, incenerire, piuttosto che portare in discarica. Peraltro, oltre a essere un obiettivo che ci impone l’Unione Europea, la riduzione del conferimento in discarica e la scelta di strategie alternative rappresentano comunque un’esigenza imprescindibile: già nel 2009 si stimava un’autonomia del sistema di smaltimento nazionale di poco superiore ai due anni. A questa emergenza non si è di fatto data alcuna risposta, se non quella di puntellare le situazioni emergenziali che sono andate via via diffondendosi nel Paese. Se a ciò si aggiunge che i tempi medi per le autorizzazioni a realizzare nuovi impianti sono pari a circa 7-8 anni, appare piuttosto chiaro come il Paese si trovi già in notevole ritardo rispetto alla programmazione di soluzioni alternative o di potenziamento delle attuali capacità di smaltimento. La differente performance territoriale è in buona parte attribuibile all’assetto istituzionale del settore, che lascia di fatto alla programmazione regionale la definizione della strategia di gestione e sviluppo del ciclo integrato dei rifiuti. Alla luce di quanto emerso dalle analisi sulle performance regionali, si potrebbe dunque immaginare per lo Stato centrale un ruolo di coordinamento e indirizzo strategico, eventualmente anche attraverso l’elaborazione di un Piano nazionale programmatico, che metta a sistema e razionalizzi le diverse previsioni presenti nei documenti attualmente vigenti ancora troppo generali e generiche nei contenuti (Rete nazionale integrata di impianti di incenerimento rifiuti, Piano nazionale di prevenzione) e che possa essere vincolante per le Regioni. In realtà nel Codice dell’ambiente già si prevedeva un sistema multi-livello delle competenze che dava alle Regioni la responsabilità di realizzare i piani regionali di gestione dei rifiuti, pur individuando per lo Stato un compito di indirizzo, rappresentato essenzialmente dalla adozione di criteri generali per la redazione dei piani regionali, dal compito di individuare gli impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale e di determinare le linee guida per la definizione delle gare d’appalto. Tale sistema è stato però nella realtà ampiamente disatteso e ha portato solamente a una produzione di piani ipertrofica a livello di Regioni, Province e Ambiti territoriali ottimali, contribuendo a rendere ancor più confuso e frammentato il quadro normativo di riferimento. Una programmazione che superi il livello regionale consentirebbe di affrontare anche il tema dell’adeguamento infrastrutturale del settore e della riorganizzazione dell’offerta impiantistica esistente, mantenendo ovviamente una particolare attenzione agli assetti territoriali. Il rapporto con il territorio è di rilevanza primaria al fine sia di ottimizzare la logistica dei trasporti dei rifiuti, sia di garantire un adeguato dimensionamento degli impianti di trattamento e smaltimento, sia di efficientare i rapporti con i segmenti a monte della filiera, molto frammentati, e i rapporti con i mercati di sbocco dei materiali recuperati. Una programmazione dunque che, coniugando esigenze nazionali e territoriali, consenta di intervenire sul sistema impiantistico assicurando che la raccolta abbia adeguati impianti ai quali rivolgersi, che gli stessi non rimangano sottoutilizzati, che la discarica rappresenti effettivamente la scelta residuale. A tale scopo appare cruciale reperire i finanziamenti necessari alla realizzazione di quanto programmato. Stiamo parlando di cifre non irrisorie, visto che una stima riferita ai soli impianti di incenerimento e di compostaggio parla di un fabbisogno finanziario di circa 18-19 miliardi di euro, ai quali si dovrebbero aggiungere gli investimenti necessari per ammodernare l’impiantistica esistente e incrementare la dotazione del segmento del riciclo. Non esistono al momento quantificazioni specifiche di questo ulteriore fabbisogno, rispetto al quale tuttavia si deve evidenziare la assoluta necessità di realizzazione, in virtù dell’obsolescenza di molti impianti e della carente dotazione infrastrutturale, quantitativa e qualitativa, del comparto del riciclo, rispetto al quale anche gli investitori privati avrebbero convenienza e interesse a intervenire. Il settore del riciclo rappresenta infatti un elemento di spicco del ciclo integrato dei rifiuti italiani, rispetto al quale si osservano tuttavia alcune criticità legate non solo alla già sottolineata scarsa dotazione impiantistica, ma anche all’inefficienza del sistema dei consorzi che, se da un lato ha contribuito in maniera determinante alla nascita del settore, creando le condizioni per un suo sviluppo, dall’altro rischia oggi di ingessare eccessivamente un mercato pronto per una maggiore esposizione concorrenziale. Nell’ottica di un rafforzamento del comparto del riciclo occorre una seria politica industriale, anche attraverso l’introduzione di incentivi alle imprese del settore e il sostegno allo sviluppo del Green Public Procurement (acquisti “verdi” da parte della Pubblica Amministrazione), come si prevede nel collegato ambientale. Sempre con riferimento al sistema dei consorzi si deve in aggiunta evidenziare che un sistema più efficiente e un maggior contributo da parte dei soggetti, ai quali si applica il principio della responsabilità estesa del produttore, avrebbe un impatto significativo anche in termini di possibile riduzione dei costi del servizio per l’utente. Il tema della tariffa è un altro aspetto cruciale del sistema dei rifiuti italiano, rispetto al quale è assolutamente necessario intervenire in maniera chiara. L’attuale sistema tariffario è infatti piuttosto confuso e rimesso alla discrezionalità dei Comuni, con diverse metodologie di calcolo e diversi risultati in termini di copertura dei costi del servizio e di spesa delle famiglie e delle imprese. Inoltre si è piuttosto lontani dal rispettare il principio comunitario del “pay as you throw”, mancando di fatto in gran parte del territorio un sistema di tariffazione puntuale. Le recenti disposizioni normative, definite nel disegno di legge di stabilità per l’anno 2014, non hanno peraltro contribuito a fare chiarezza al riguardo. È opportuno infine che il sistema di governance del settore venga in parte rivisto, pur mantenendo validi i princípi che hanno portato alla prescrizione di ambiti ottimali che favorissero l’aggregazione, in un mercato contraddistinto dalla piccola dimensione aziendale. La gestione integrata, già prevista dal decreto Ronchi, aveva infatti l’obiettivo di favorire il consolidamento delle imprese. Tuttavia se è importante che il ciclo dei rifiuti sia considerato integralmente, soprattutto in fase di pianificazione, programmazione e regolamentazione, questo è meno vero in sede di affidamento del servizio. Inoltre le caratteristiche industriali e tecnologiche delle diverse fasi della filiera, che presentano mercati distinti e agevolmente identificabili, fanno propendere per l’opportunità di gestire separatamente i vari segmenti, pur nella consapevolezza dell’importanza che i rapporti tra questi assumono per le numerose interazioni. Molti degli aspetti critici evidenziati e delle possibili soluzioni individuate sono in realtà già presenti nella vigente normativa, che però nei fatti è stata attuata in modo poco tempestivo e puntuale, senza una visione d’insieme e di lungo termine, effettivamente ispirata a un principio di coordinamento istituzionale e all’efficienza gestionale. Solamente per dare un’idea del “blocco attuativo” che ha caratterizzato la normativa settoriale si può considerare come a oggi si sia ancora in attesa di un notevole numero di adempimenti nazionali che potrebbero invece, se realizzati, contribuire piuttosto significativamente al rafforzamento del comparto. In particolare: la definizione di un metodo standard per la certificazione delle raccolte differenziate; il regolamento per la definizione della tariffa puntuale e la revisione del metodo normalizzato; il regolamento sull’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani.

Quello che è venuto a mancare fino a oggi è soprattutto “il mercato”, che avrebbe potuto invece contribuire in maniera determinante a creare quelle condizioni di contesto necessarie per superare le criticità tipiche del settore. Parliamo del “nanismo” imprenditoriale, dell’eccessiva dipendenza delle imprese del comparto dal contributo degli Enti locali per la remunerazione delle fasi a monte del servizio, della scarsa presenza soprattutto delle aziende più piccole nelle fasi più remunerative della filiera (recupero energetico e riciclo), dell’insufficiente livello qualitativo e quantitativo degli investimenti. Si tratta di limiti che vanno superati rapidamente se si vuole guardare al settore in un’ottica di effettivo sviluppo. Senza il superamento di questi, infatti, non sarà possibile gestire i rifiuti secondo una logica innovativa, che li trasformi da scarti da eliminare a risorse da sfruttare.

*Obiettivo discarica zero

Condividi:
0

Le 10 mosse per avere meno rifiuti e più benessere

raccolta differenziata

L’ultimo rapporto della Banca Mondiale prevede che entro il 2025 il costo della bolletta-rifiuti che adesso costa alle comunità 205 miliardi di dollari potrebbe arrivare vicino ad un raddoppio sui 375 miliardi di dollari. La quantità totale di rifiuti urbani, industriali e pericolosi prodotti annualmente in tutto il mondo ammonta oggi a circa 4 miliardi di tonnellate. I rifiuti solidi urbani che si aggirano tra le 1,3 miliardi di tonnellate sono destinati a raddoppiare a causa della crescita della popolazione mondiale e dello sviluppo economico dei paesi emergenti. La più recente relazione sulla gestione dei rifiuti urbani negli Stati membri classifica i 27 Stati membri in base a 18 criteri, attribuendo bandiere verdi, arancioni e rosse per voci quali totale dei rifiuti riciclati, tariffe dello smaltimento dei rifiuti, violazioni della normativa europea. L’Italia occupa il 20° posto e viene indicata tra i 12 paesi membri che hanno basse performance di gestione dei rifiuti a causa di: politiche deboli o inesistenti di prevenzione dei rifiuti, assenza di incentivi alle alternative al conferimento in discarica e inadeguatezza delle infrastrutture per il trattamento dei rifiuti. L’Italia conferisce in discarica ancora quasi il 50% della usa produzione totale di rifiuti che ammonta a 15 milioni di tonnellate. Il Rapporto Rifiuti Urbani 2012 curato dall’ISPRA non presenta miglioramenti con un aumento nella produzione di rifiuti urbani del 1,1% e ancora un corposo ricorso alla discarica come forma di smaltimento. Anche il consumo di imballaggi registra un aumento del 3% rispetto al 2009 (pari a 322 mila tonnellate circa), per un totale di 11 milioni di tonnellate. Dato che potrebbe confermare il mantenimento del terzo posto del nostro paese come produzione pro capite di imballaggi in Europa che il precedente Rapporto dell’Ispra 2011 riportava come dato riferito al 2008.

La situazione europea. In totale ogni europeo consuma quasi 16 tonnellate di materie prime a testa, di cui la gran parte viene convertita in beni e il resto diventano rifiuti solidi o emissioni inquinanti. Si tratta di 5/6 tonnellate di rifiuti solidi pro capite, inclusi quelli pericolosi. Il Rapporto L’Italia del Riciclo 2011, curato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile, riporta che l’Europa ha utilizzato 8 miliardi di tonnellate di materie prime nel periodo 2000-2007, incrementando del 25% l’uso di risorse naturali con un valore di importazioni nette per persona più alto del mondo.

La strategia “Europa 2020” e la sua iniziativa faro “Un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” hanno avviato l’Europa verso una trasformazione necessaria per ridurre i consumi di risorse naturali delineando una tabella di marcia “per definire gli obiettivi di medio e lungo termine e i mezzi necessari per conseguirli”. A tale scopo il 20 settembre 2011 la Commissione Europea ha adottato la Comunicazione “Roadmap to a Resource Efficient Europe” (COM 571) che individua i settori economici che consumano più risorse e propone strumenti e indicatori che orientino l’azione in Europa e nel mondo definendo un piano per la competitività e la crescita che si fonda sull’impiego di meno risorse nella produzione e nel consumo di beni e che prevede la creazione di imprese e posti di lavoro in settori di attività quali il riciclaggio, la progettazione avanzata di prodotti, la sostituzione di materiali e l’ingegneria ambientale.

La maggior parte dei comuni italiani non ha raggiunto gli obiettivi di raccolta differenziata (60%) previsti per legge al 2011. Volendo comparare la situazione dei comuni italiani con quella di paesi che fanno meglio di noi va detto che in Germania, Austria ed in generale nel nord Europa gli enti locali non devono nemmeno occuparsi della raccolta degli imballaggi poiché sono gli stessi produttori che devono organizzarla e pagarne i costi per intero.

Nella necessità di trovare delle soluzioni all’arretratezza in cui versa l’Italia in questo settore, all’inadeguatezza delle sue strutture, alla mancanza di un’adeguata programmazione e all’assenza di una cultura del rifiuto come ricchezza sia nelle pubbliche istituzione che nei cittadini, i soggetti promotori di questo appello promossa dall’Associazione Comuni Virtuosi rivolgono a tutte le aziende utilizzatrici di packaging e al mondo della distribuzione dieci proposte attuabili, che possono dare risultati a breve termine, cogliendo l’occasione di un significativo evento di portata europea che si svolge dal 16 al 24 novembre mirato a sensibilizzare governi, aziende e cittadini sull’importanza della prevenzione dei rifiuti come la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti SERR.

Le 10 mosse per avere meno rifiuti e più benessere

1) Sostituire tutti gli imballaggi non riciclabili, che impediscono un riciclo efficiente o che compromettono la qualità del riciclo con imballaggi riciclabili andando verso l’impiego di monomateriali (o imballaggi di più materiali, tra di loro facilmente separabili e per i quali esista una filiera del riciclo). Inoltre nell’impiego di materiali teoricamente riciclabili o compostabili come ad esempio il PLA (o acido Poli-lattico) va verificato se la filiera di raccolta esistente al momento sul territorio nazionale è in grado di gestire il materiale senza disfunzioni e se lo stesso può essere effettivamente compostato o riciclato con metodologie meccaniche o chimiche. Stessi accorgimenti sono applicabili dal mondo della grande distribuzione organizzata (GDO) per il packaging dei prodotti a marca propria e nei confezionamenti dei prodotti alimentari che avvengono nei punti vendita.

2) Ridurre il peso degli imballaggi con l’eliminazione dei doppi imballaggi e componenti accessori all’imballaggio superflui e la messa in commercio di prodotti iperconcentrati o allo stato solido. Tra i doppi imballaggi (o packaging secondario) di cui si può fare a meno ci sono le confezioni di cartoncino che contengono dentifrici o altri prodotti di detergenza per il corpo e gli involucri impiegati per avvolgere le due confezioni di caffè macinato utilizzati da molte marche note, sostituibili con una grafica dell’imballaggio primario che evidenzi l’impossibilità di un acquisto separato delle 2 unità. Alcuni componenti accessori dell’imballaggio, oltre a complicare conferimento e riciclaggio quando non separabili, costituiscono uno spreco evitabile come ad esempio tappi e fascette per richiudere le confezioni ma anche i manici dei flaconi. Si può tranquillamente tornare a fare a meno dei tappi a vite o a linguetta applicati a contenitori in tetrapack soprattutto quando termosaldati e difficilmente separabili. Esistono in commercio soluzioni riutilizzabili che possono assolvere alle stesse funzioni garantite dalle parti accessorie (come clip e mollette per richiudere le confezioni al posto delle fascette). Ripensare le formulazioni dei prodotti in particolare nel settore della detergenza dove il principale ingrediente è l’acqua e mettere a disposizione prodotti iperconcentrati o in forma solida si possono evitare tonnellate di plastica, ridurre i viaggi dei camion e le emissioni di Co2 complessive dovute alla produzione, distribuzione e riciclo del packaging.

3) Sostituire o eliminare negli imballaggi quelle componenti che ne impediscono o complicano il riciclaggio come le etichette sleeves e l’uso di additivi, coloranti e composti esterni. Le etichette sleeves che rivestono tutto il contenitore creano enormi problemi quando sono di diverso materiale plastico rispetto al contenitore che rivestono. Per motivi tecnici ed economici vengono scelte in PVC in molti casi e applicate su contenitori in PET. Questa pratica compromette il riciclaggio sin dalle prime fasi di selezione. A causa della sleeve in PVC  il contenitore in PET non viene riconosciuto dai lettori ottici degli impianti di selezione automatica e viene scartato finendo in discarica o negli inceneritori visto anche l’insostenibilità economica della selezione e rimozione manuale dell’etichetta. Se le bottiglie di plastica delle bevande fossero tutte di PET trasparente la riciclabilità sarebbe ottimale (evitando selezioni per colore e massimizzando il valore del materiale riciclato) ed è per questo motivo che in Giappone è consentito produrre solo bottiglie trasparenti.

4) Ottimizzare l’impiego dei materiali e del design dei contenitori ai fini di un riciclo efficiente. Una nota marca ha lanciato una nuova confezione basica senza manico e in PET per un suo detersivo comunicando i motivi della scelta. Una riduzione dell’eterogeneità delle plastiche con l’utilizzo di polimeri più pregiati ai fini del riciclo è stata perseguita recentemente da aziende leader della GDO in Canada dove per il confezionamento in house verranno usati contenitori e vaschette termoformate in PET invece che in PVC . Questa decisione ha non solamente sottratto il pvc alle discariche e soprattutto dagli inceneritori (il pvc è il precursore delle famigerate diossine) ma sta condizionando anche le decisioni sul packaging che le aziende di marca stanno prendendo.

5)Promuovere l’uso di contenitori a rendere (anche in plastica infrangibile).

6)Utilizzare ove possibile materiale riciclato per realizzare il packaging al posto di materia vergine.

7) Adottare un sistema di marcatura/etichettatura degli imballaggi che possa comunicare in modo chiaro e trasparente al consumatore il grado di riciclabilità dell’imballaggio stesso. Sulla base di questo grado di riciclabilità potrebbe essere fissato il livello di contributo ambientale che tale imballaggio deve pagare al sistema di raccolta.

8) Nei punti vendita della GDO: favorire la nascita di circuiti specifici a “filiera breve” raccoltariciclo-riprodotto, anche con sistemi a cauzione come avviene ad esempio in molte catene GDO centro europee.

9) Nei punti vendita della GDO: eliminare l’imballaggio eccessivo e ridurre il consumo di sacchetti monouso per l’ortofrutta. Per quanto riguarda alcuni prodotti alimentari confezionati in loco (ad es i formaggi) è possibile ridurre l’imballaggio alla sola pellicola eliminando i vassoi in polistirolo. Nel settore ortofrutta si può ridurre il consumo di sacchetti monouso mettendo a disposizione dei clienti una soluzione riutilizzabile come i retini in cotone o poliestere proposti dalla campagna Porta la Sporta con l’iniziativa Mettila in rete.

10) Nei punti vendita della GDO: favorire un cambio di abitudini che spinga i cittadini consumatori al riutilizzo di contenitori portati da casa e all’adozione di prodotti con parti intercambiabili adatti all’uso multiplo in quanto unica strategia possibile ed efficace per ridurre il consumo usa e getta. Per quanto riguarda i prodotti acquistabili sfusi con contenitori riutilizzabili del settore detersivi e detergenti per la casa e la persona è stato rilevato da negozi specializzati in prodotti sfusi che, quanto più ampio è l’assortimento a disposizione dei clienti, tanto maggiore diventa lo smercio con questa modalità. La GDO può guidare le scelte dei consumatori dalle versioni usa e getta a versioni adatte all’uso multiplo mettendo a disposizione e valorizzando queste ultime. Partendo da un oggetto usato quotidianamente come lo spazzolino da denti va notato che l’offerta di modelli con testine intercambiabili è quasi inesistente o poco visibile. Solamente la Coop ha in assortimento un modello di spazzolino con testine intercambiabili a marca propria (realizzato in Italia) in tutti i punti vendita. Tutti i modelli di spazzolini presenti in assortimento sugli scaffali delle maggiori insegne della GDO sono spazzolini monouso che per lo più arrivano dalla Cina, tranne un unico modello che non è però capillarmente diffuso nei punti vendita.

Condividi:
0

Un mondo perfetto, dove tutto è riciclabile

TerraCycle- riciclaggio rifiuti

Tutti gli oggetti, anche quelli apparentemente non riciclabili, possono essere recuperati. È la filosofia della società americana TerraCycle, che in Svizzera intende raccogliere vecchi spazzolini e mozziconi di sigaretta. Il riciclaggio ha però i suoi limiti, avvertono gli esperti.

«Ogni tipo di rifiuto può essere valorizzato. Il nostro intento è di eliminare il concetto di spazzatura». Wolfram Schnelle ne è convinto: gli scarti senza valore apparente possono essere riutilizzati per creare nuovi prodotti di consumo e materiali di costruzione.

Wolfram Schnelle, 34 anni, è responsabile dei progetti di TerraCycle in Svizzera, Germania e Austria. «Ci interessiamo a tutti quei rifiuti che finiscono in discarica o negli inceneritori».

L’idea della ditta con sede a Trenton (New Jersey) si basa su programmi di raccolta volontaria dei rifiuti. Un gruppo di persone, chiamato “brigata”, può iniziare a raccogliere un certo tipo di oggetto o di imballaggio, ad esempio penne vuote, sacchetti di patatine, bicchieri di plastica, capsule del caffè, telefoni cellulari o persino pannolini e vecchie scarpe.

«È molto semplice: basta mettere un contenitore in una scuola, in un’azienda o in un ufficio. Quando è pieno lo si spedisce a noi, gratuitamente», spiega a swissinfo.ch Wolfram Schnelle.

2 centesimi per una penna vuota

Gli scarti che confluiscono nei depositi di TerraCycle (quello in Svizzera è nei pressi di Zurigo) vengono portati nei centri di riciclaggio locali. «Otteniamo così delle materie prime secondarie [materiali derivati dal riciclaggio dei rifiuti, ndr] che possiamo rivendere ai produttori. La plastica è spesso eterogenea e quindi il riciclaggio comporta una certa perdita di qualità. Ma può comunque essere utilizzata per fare sedie, bidoni o accessori vari».

Per finanziare i suoi programmi, la società statunitense (110 collaboratori) cerca il sostegno di aziende partner, spesso delle multinazionali. Queste si assumono i costi della spedizione e del riciclaggio, oltre a versare una somma in denaro a chi ha raccolto gli oggetti.

«Per ogni penna si ricevono 2 centesimi», afferma Wolfram Schnelle. Questi soldi non possono però essere intascati. Vanno al contrario versati a favore di associazioni non lucrative, puntualizza il giovane imprenditore. Una scuola di Einigen, nel canton Berna, sostiene ad esempio la Fondazione Teodora, che porta conforto ai bambini in ospedale.

Per le ditte partner, il riciclaggio è una strategia di marketing, spiega Wolfram Schnelle. «Possono dire ai clienti che si assumono le loro responsabilità occupandosi dei loro rifiuti. Da parte nostra, intendiamo ridurre l’impatto ambientale dell’estrazione e dell’eliminazione delle materie prime e promuovere la solidarietà sociale. I profitti vengono solo in terza posizione».

Non buttate le sigarette!

Il primo programma di raccolta in Svizzera (materiale da scrivere) è stato lanciato nel luglio 2011. Attualmente sono oltre 180 le scuole, le aziende e le istituzioni che organizzano raccolte volontarie di penne e pennarelli.

In maggio verrà lanciato un programma per i vecchi spazzolini e i tubetti di dentifricio. Dopo le esperienze negli Stati Uniti e in Canada, si inizierà anche a raccogliere i mozziconi di sigarette. Ogni anno, stima l’azienda, vengono gettati nel mondo dai 1’000 ai 2’000 miliardi di mozziconi.

Dal filtro, composto principalmente di acetato di cellulosa, si può ricavare della materia plastica. «Il mozzicone può diventare una panchina o un portacenere», indica Wolfram Schnelle. I residui di tabacco, la cenere e la carta attorno al filtro finiscono invece nel compostaggio.

Il riciclaggio non è eterno

Il riciclaggio è senza dubbio positivo e va incoraggiato in quanto attività economica, commenta Sylvie Lupton, esperta di economia dell’ambiente e di sviluppo sostenibile alla Novancia Business School di Parigi. «Riduce l’estrazione di materie prime e contribuisce a preservare le risorse non rinnovabili. Inoltre, consente di ridurre i costi aziendali visto che le materie prime secondarie vengono reintegrate nel processo industriale».

Il riciclaggio ha tuttavia dei limiti, sottolinea l’ex professoressa all’Università di Neuchâtel. «I materiali non sono riciclabili all’infinito. Dopo due o tre cicli ci può essere una perdita di qualità. A quel punto non rimane altro che incenerirli o depositarli in discarica».

In certi casi, il riciclaggio può richiedere molta energia, osserva Sylvie Lupton, ricordando che per fondere il vetro si deve raggiungere una temperatura di oltre 1’500 °C. «Può anche essere una fonte d’inquinamento. Per togliere l’inchiostro dalla carta si fa ricorso al cloro, una sostanza tossica. Alcuni apparecchi elettronici contengono materiali pericolosi, che vanno trattati con attenzione».

In generale, il riciclaggio presenta un ecobilancio migliore rispetto a una distruzione, afferma Sebastien Humbert, direttore scientifico di Quantis, una società specializzata nella valutazione degli impatti ambientali. «Tuttavia, in pratica non è sempre così: se il rifiuto è presente in piccole quantità e se necessita di una logistica importante, non vale la pena riciclarlo».

Ridurre la quantità di rifiuti

Sylvie Lupton osserva che gli interessi economici hanno spesso il sopravvento sulle considerazioni ecologiche. «Idealmente, il riciclaggio dovrebbe basarsi sul principio di prossimità: il rifiuto va valorizzato all’interno del paese. In realtà, una parte degli scarti finisce all’altro capo del pianeta, con conseguenti emissioni di CO2».

Nel 2010, il 45% della carta straccia raccolta in Svizzera (590’000 tonnellate) è stato esportato, indica l’Ufficio federale dell’ambiente.

Secondo Sylvie Lupton, la prima soluzione auspicabile è dunque la prevenzione. «Bisogna ridurre la quantità di rifiuti e il potenziale inquinante degli scarti».

Per fare questo, anche i produttori devono fare la loro parte, aggiunge Mirjam Hauser, ricercatrice all’Istituto Gottlieb Duttweiler di Rüschlikon (Zurigo) e autrice di uno studio sul futuro del riciclaggio.

«Alcuni prodotti, come gli smartphone, sono realizzati in modo talmente complesso che non possono essere scomposti in tutti i loro componenti». È un problema, insiste Mirjam Hauser. «Durante la produzione non si riflette abbastanza su come reintegrare i materiali nel loro ciclo».

Per TerraCycle, la raccolta dei rifiuti più insoliti ha comunque un grande vantaggio, che va al di là delle considerazioni degli esperti. «Se la gente vede che si possono riciclare persino le sigarette – osserva  Wolfram Schnelle – si dirà che anche altre cose sono recuperabili. Comincerà così a cambiare il suo concetto di rifiuto».

Un’idea nata dai lombrichi 

TerraCycle nasce nel 2001 su iniziativa di Tom Szaky, un giovane studente dell’Università di Princeton (New Jersey). Con i suoi risparmi, acquista 20 milioni di lombrichi per produrre concime a partire dagli scarti della mensa universitaria. Per i recipienti coinvolge i boy scout della scuola, ai quali propone 2 centesimi di dollaro per ogni bottiglia vuota raccolta. Szaky si ritrova così con un prodotto fatto di rifiuti (fertilizzante) e imballato in materiale di scarto. L’idea evolve quando una grande azienda alimentare americana gli propone di riutilizzare gli imballaggi delle barrette al cioccolato. Nel 2006, all’età di 24 anni, la rivista economica Inc. lo nomina “Miglior amministratore delegato under 30 degli Stati Uniti”. TerraCycle impiega 110 persone ed è attiva in 21 paesi (inclusa la Svizzera dal 2011). Finora ha raccolto 2,5 miliardi di oggetti e distribuito oltre 5 milioni di dollari ad associazioni non lucrative. Nel 2012 ha registrato un fatturato di 14,8 milioni di dollari.

Rifiuti e riciclaggio

Ogni anno in Svizzera si producono circa 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Oltra la metà viene raccolta e smaltita separatamente. L’aumento della quota di riciclaggio (raddoppiata in vent’anni) è riconducibile soprattutto all’introduzione della tassa sul sacco della spazzatura. San Gallo è stato il primo comune ad adottare tale misura nel 1975. Nel 2011 è stato recuperato il 92% degli imballaggi per bevande in alluminio, PET e vetro. I punti di raccolta sono circa 60’000. Oltre l’85% degli apparecchi elettrici ed elettronici venduti in Svizzera viene consegnato presso i centri di raccolta. Il finanziamento di questo sistema è possibile tramite una tariffa di riciclaggio anticipata, pagata dal consumatore al momento dell’acquisto.

(Fonte swissinfo)

Condividi:
0

La collina dei veleni


Secondo quanto raccontato da Carmine Schiavone era la discarica della Camorra. Una storia fatta di legami pericolosi tra criminalità, politica e poteri occulti. Borgo Montello, in provincia di Latina, visto da fuori, ha l’aspetto di una collina, con linee quasi dolci. E’ quell’odore acre e invisibile a ricordare che dietro il verde pallido si nasconde una sorta di labirinto. E’ nella pancia della collina che si nascondono i fusti mortali portati dagli uomini del clan dei Casalesi. Proprio uno di loro Schiavone, collaboratore di giustizia del processo Spartacus contro il cartello dei casalesi, ha voluto ricordare perché dalla provincia di Caserta si puntava su questo lembo di terra a settanta chilometri da Roma, alle porte di Latina: lì buttavamo anche rifiuti radioattivi, ha raccontato. “Era una nostra zona”, aveva già dichiarato fin dal 1993. E’ da allora che in tanti seguono la chimera dei veleni nascosti sotto il ventre della collina dei misteri. Oggi siamo arrivati al dunque. Il comune di Latina ha affidato i lavori per scavare nella zona più antica della discarica di Borgo Montello, nel sito SO. Una sfida che parte con qualche dubbio.

L’area e’ immensa, divisa in sette invasi. La gestione e’ affidata per una parte alla Ecoambiente, con una quota importante in mano a Manlio Cerroni, e per un’altra parte alla Ind.eco., società della galassia della holding di Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche lombarde condannato per l’affare di Santa Giulia a Milano. Nel 1998 l’istituto di vulcanologia, la Unichim e il Centro europeo di ricerca comune di Ispra (Va), realizzarono uno studio nell’invaso più antico, chiamato SO, chiuso alla fine degli anni ’80. Gli strumenti individuarono tre anomalie magnetiche, segno della presenza di corpi metallici. I carotaggi per la ricerca dei fusti velenosi riguarderanno esclusivamente questa zona. E’ un’operazione verità che gli abitanti di Borgo Montello attendono da decenni, per capire quali veleni siano stati nascosti. Colpisce, però, un dato contenuto nel progetto preliminare alla base della ricerca: all’Arpa Lazio verranno affidate le analisi di appena il 10% delle sostanze sospette che si incontreranno. Chi sceglierà quel dieci per cento di campioni? Non c’è un indicazione chiara tra le carte del progetto e il sospetto e’ che la scelta alla fine ricadrà sulla società scelta per i lavori.

All’apertura delle buste con le offerte la scelta e’ caduta su una società molto nota a Latina, la Poseidon. Qui le cose si complicano ulteriormente. Un anno fa questo gruppo che si occupava di pulizia delle spiagge e di igiene ambientale ha subito una perquisizione da parte dei carabinieri di Terracina, che stanno conducendo una serie di indagini sulla gestione dei rifiuti in provincia di Latina.

Poseidon non sembra, tra l’altro, navigare in buone acque, secondo quanto ammettono gli stessi dirigenti della società. Tra le case dei contadini che ancora resistono a Borgo Montello di certo non si respira un’aria da grande evento. La verità, in fondo, non e’ mai stata così lontana, accompagnata da tante anomalie e da inevitabili conflitti di interessi, mentre, silenziosamente, in tanti contano ammalati di tumori.

(Fonte Il Punto)

Condividi: