Effetti Brexit: Calcio, politica ed economia si intrecciano

23 giugno 2016, la Gran Bretagna esce dall’Unione Europea. Questo è quanto ha sancito il referendum del popolo, per un processo che in verità sarà molto più lungo di quanto i titoli non dicano. Serviranno almeno altri due anni affinché gli effetti della Brexit si concretizzino nella loro totalità, ma qualcosa di grande è successo e cambierà per sempre il destino della Gran Bretagna in relazione ai rapporti politici, economici e commerciali col resto del Vecchio Continente. Inevitabile, di conseguenza, che anche il mondo del calcio possa subire pesanti influenze da codesta decisione. Continue Reading

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Quanto guadagnano i capi di Stato e di governo nel mondo?

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Il nostro presidente della Repubblica guadagna poco meno di 240 mila euro all’anno. Quanto guadagnano invece gli altri capi di Stato? Ecco un breve quadro dei principali Paesi:

– Tony Tan, presidente di Singapore: un milione e mezzo di euro all’anno.

– Barack Obama, presidente degli Stati Uniti: 315 mila euro all’anno.

– Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa: 92.448 euro all’anno.

– David Cameron, primo ministro del Regno Unito: 142 mila sterline, pari a 178 mila euro all’anno.

– Stefan Löfven, premier svedese: 190 mila euro all’anno.

– Francois Hollande, presidente francese: 225 mila euro all’anno.

– Angela Merkel, cancelliera della Germania: 290 mila euro all’anno.

– Mariano Rajoy, premier spagnolo: 80 mila euro all’anno.

– Charles Michel, primo ministro del Belgio: 247 mila euro lordi all’anno.

– Jacob Zuma, presidente del Sudafrica: 237 mila euro all’anno.

Hifikepunye Pohamba, numero uno della Namibia: 110.604 euro all’anno.

Uhuru Kenyatta, presidente del Kenya: 101.904 euro all’anno.

– Ernest Bai Koroma, presidente della Sierra Leone: 760 euro al mese (9.084 all’anno).

– Paul Biya, presidente del Camerun: 200 euro al mese (2.400 euro all’anno).

– Mulatu Thesome, presidente dell’Etiopia: 246 euro al mese (quasi 3 mila all’anno).

– Xi Jinping, presidente della Cina: 228 mila euro all’anno.

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Gran Bretagna più ricca grazie agli immigrati

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La Gran Bretagna è più ricca grazie agli immigrati dall’Unione Europea: lo dimostra un autorevole studio pubblicato ieri nell’Economic Journal. Negli ultimi dieci anni i cittadini Ue che si sono trasferiti oltre Manica hanno dato un contributo netto di 20 miliardi di sterline al Tesoro britannico, versando molto più in tasse di quanto abbiano ricevuto in sussidi o aiuti statali.

L’immigrazione dall’Unione Europea porta ricchezza alla Gran Bretagna: fatto, non opinione. Lo studio pubblicato ieri da due economisti, tra cui un italiano, contraddice in modo inconfutabile l’accusa sbandierata da Ukip, il partito che chiede un’uscita immediata dalla Ue come unico mezzo per chiudere le frontiere, e da molti Tories, che gli europei varcano la Manica per sfruttare i sussidi britannici e non per lavorare. Lo studio dimostra infatti che, lungi dall’essere un peso per le casse dello Stato, gli immigrati Ue hanno dato un contributo netto di 20 miliardi di sterline al Fisco inglese. Non solo: sono anche più istruiti e qualificati dei cittadini britannici.

Dati e cifre alla mano, i due economisti autori dello studio “The Fiscal Impact of Immigration in the Uk”, Christian Dustmann di University College London e Tommaso Frattini dell’Università degli Studi di Milano, dimostrano che “l’immigrazione in Gran Bretagna dal 2001 a oggi ha avuto un impatto fiscale netto molto positivo. Questo vale sia per gli immigrati dall’Europa centrale e orientale che per il resto della Ue”.

I cittadini dei dieci Paesi dell’Est Europa che hanno aderito alla Ue nel 2004 hanno pagato tasse per 5 miliardi di sterline tra il 2001 e il 2011, mentre quelli dei 15 Paesi originali, Italia compresa, hanno contribuito 15 miliardi, il 64% in più di quanto hanno ricevuto. I dati ufficiali dell’Office for National Statistics confermano che il tasso di disoccupazione è più basso tra gli immigrati Ue che tra i cittadini britannici. I polacchi, in particolare, lavorano più di tutti.

Il premier David Cameron per ragioni elettorali fa promesse incaute di limitare il numero di immigrati dalla Ue, e così facendo non solo irrita la Germania e gli altri alleati europei, ma va anche contro gli interessi della Gran Bretagna. Perché il fatto è che il deficit britannico sarebbe assai più grave senza le tasse pagate da italiani, polacchi e altri cittadini Ue.

(Fonte ilsole24ore)

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La profezia della Thatcher, l’egemonia tedesca sull’Europa

 

“Una più strettamente integrata comunità europea sarà più facilmente dominata dai tedeschi che da un più vasto assieme di Stati sovrani”. Che tipo d’Europa sarebbe stata quella dell’unione monetaria a guida tecnocratica Margaret Thatcher l’aveva capito per tempo, tanto da metterlo nero su bianco già nel 1993 nel suo The Downing Street Years, diario della sua navigazione alla guida della Gran Bretagna.

Una lezione che l’attuale premier inglese David Cameron non ha dimenticato quando nel dicembre scorso s’è trattato di decidere sull’adesione al trattato per l’unione di bilancio europea. Con buona pace  dell’irato Sarkozy, Cameron ha chiarito che il suo Paese non avrebbe sottoscritto nessun contratto senza trarne dei vantaggi e soprattutto non avrebbe rinunciato nemmeno a un briciolo della sua sovranità nazionale. Una posizione che deriva da uno sguardo strategico e pragmatico: Londra e’ una piattaforma finanziaria importante mentre il suo assetto industriale e’ inferiore rispetto a quello di Germania e Francia. La Gran Bretagna si e’ insomma tenuta le mani libere per poter continuare a gestire i suoi affari autonomamente e senza controlli. Ma c’è qualcosa di profondo e tenace che sostanzia l’euroscetticismo britannico. La storia anzitutto: quella di un impero che alla fine dell’Ottocento dominava su un territorio sterminato, proiettando il Paese sulla scena mondiale più che su quella europea. La geopolitica: il rapporto speciale con gli Stati Uniti ha sempre fatto parlare di un oceano Atlantico più stretto della Manica. Il carattere nazionale: l’opinione pubblica britannica e sideralmente distante da Bruxelles se non apertamente ostile. Complice una stampa, Financial Times ed Economist in testa, che ha sempre menato fendenti sull’inefficienza e gli sprechi delle istituzioni europee, gli inglesi fanno registrare il più basso livello di fiducia nell’Unione dei 27 Paesi membri.

La mentalità politica: l’aumento del potere europeo e ora la progressiva alienazione di sovranità a organismi sovranazionali viene visto in Gran Bretagna come una minaccia non solo per l’autonomia del governo ma per la stessa sovranità parlamentare. Infine, a sostanziare l’euroscetticismo britannico, c’è lo specifico dell’ideologia inglese, in particolare della cultura conservatrice anglosassone. Costituzionalmente gradualisti i conservatori ritengono, sulla scorta di Burke e delle sue Riflessioni sulla Rivoluzione Francese, che una politica saggia e’ quella di accettare gli equilibri esistenti che si sono evoluti attraverso l’uso e l’eredità, non quella di metterli a rischio con cambiamenti repentini. Per questo diffidano di questa Unione europea e si tengono strette le prerogative della stato nazionale. Che non e’ l’unica risposta ai problemi dei governi moderni, come dice il filosofo tory Roger Scruton, ma e’ l’unica risposta che e’ stata messa alla prova. “E dato che lo stato nazionale si e’ dimostrato un’istituzione stabile di governo democratico e giurisdizione secolare dovremmo cercare di migliorarla, di aggiustarla, anche di diluirla, non certo di buttala via”

Riccardo Paradisi  Giornalista e studioso di filosofia politica

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