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C’eravamo tanto Amato

Berlusconi-Amato-Bersani

Giuliano Amato sembra il candidato alla Presidenza della Repubblica più idoneo, per continuare a rubacchiare. 30 anni di politica amorevole, che sta bene a tutti i partiti ladroni. Il “professor sottile” prezioso collaboratore di Caxi fu, tra le tante cariche ricoperte, presidente del Consiglio dei ministri dal 1992 al 1993 e dal 2000 al 2001. 

Il governo Amato del ’92 appoggiato dalla vecchia maggioranza quadripartita (Dc, Psi, Pli, Psdi) e da innumerevoli ministri, colpiti da avvisi di garanzia (costretti a dimettersi col passare dei mesi) è ricordato per memorabili manovre da lacrime e sangue.

Il suo primo atto fu una manovra finanziaria di 30 mila miliardi che prevedeva l’introduzione di una patrimoniale sulla casa, sui conti correnti e depositi bancari, un aumento dei bolli su patenti e passaporti. Nello stesso periodo venne avviata la revisione del sistema pensionistico. Poi, ci fu la prima spallata contro i giganti pubblici, con la trasformazione di Iri, Eni, Ina ed Enel in società per azioni. Ebbe inizio così la privatizzazione. Contemporaneamente, Amato apre il tavolo della concertazione tra le parti sociali, destinata a diventare uno strumento essenziale di governo anche negli anni futuri, e ottenne da Bruno Trentin, alla guida della Cgil, la firma di un accordo tripartito governo-sindacati-imprenditori che prevede la rinuncia definitiva alla scala mobile e un’intesa complessiva sul costo del lavoro. È una vera e propria svolta politica-sindacale, tutto ciò permette al “professor sottile” di presentare in autunno una manovra finanziaria pesantissima da 93 mila miliardi, una delle più onerose della storia della Repubblica: blocco totale per un anno delle pensioni di anzianità, fermi i contratti del pubblico impiego, riduzione dell’assistenza sanitaria, minimun tax per i lavoratori autonomi. Tutto questo porta nel ’93, per la prima volta dal dopoguerra, alla discesa dei consumi del 2,5% e il Pil cala dell’1,2%.

Il secondo Governo Amato dal 25 aprile 2000 all’11 giugno 2001 fu istituito per far fronte alla crisi del governo D’Alema. Il ritorno di Amato a Palazzo Chigi costituisce una rivincita di Craxi e dei socialisti su D’Alema e Veltroni che, dopo essere riusciti a isolarli ed emarginarli per anni, ora non solo riconoscono loro di aver avuto ragione rispetto al comunismo, ma addirittura hanno loro aperto le porte del palazzo con tutti gli onori. A riprova di quanto inaffidabili siano i rinnegati del comunismo. Amato con sé si è portato persino l’ex portavoce di Craxi, Ugo Intini, i socialisti Del Turco e Veronesi, senza contare gli ex socialisti Bassanini e Nesi e il socialdemocratico Schietroma. Un affronto e una provocazione verso i lavoratori che proprio da Craxi, dai socialisti e dallo stesso Amato hanno subito lo scippo della scala mobile e i primi tagli alle pensioni e alla sanità, la quale, sotto le cure del barone della medicina Veronesi, è destinata a perdere i residui caratteri pubblici.

Amato in tutti questi anni ha ricoperto tutte le cariche possibili e inimmaginabili: quattro volte deputato, due volte premier, due volte ministro del Tesoro, e poi ministro dell’Interno, presidente Antitrust, vicepresidente della Convenzione europea, presidente della Treccani, della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e del Comitato dei garanti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, consulente di Deutsche Bank, consigliere di Monti per i tagli ai costi della politica (?).

Ora Berlusconi, Bersani e C. lo vogliono Presidente della Repubblica chissà perchè?

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Vent’anni di governi: Valutazione della performance economica

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In occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche, il cui prossimo turno ha luogo in Italia il 24-25 febbraio 2013, potrebbe essere utile per i cittadini considerare le precedenti performance che i partiti hanno espresso in passate esperienze di governo.

Questa valutazione può essere importante in particolare nel caso in cui i leader in campo hanno già partecipato ai governi passati. Questo è proprio il caso italiano, dove 2 dei 3 principali leader sono stati primo ministro (Berlusconi e Monti), oppure ministro di più governi (Bersani).

La valutazione che si intende effettuare verte esclusivamente all’ambito economico, ed in particolare su due temi, che costituiscono il principale terreno di confronto tra le forze politiche: la finanza pubblica (con i conseguenti aspetti della spesa pubblica e del fisco), e la crescita economica.

È bene precisare (per i lettori meno esperti delle questioni economiche) che il Governo ha un elevato controllo sulla finanza pubblica, potendo decidere il livello delle entrate e delle spese, mentre ha un potere molto limitato di influenzare l’andamento del Pil, dipendendo questo dalla capacità del sistema produttivo nazionale di vendere i beni e servizi realizzati, ai clienti nazionali ed esteri. Per evidenziare quest’ultimo concetto, si ricorda, a titolo di esempio, che se i cittadini italiani continuano a comprare auto estere, e se i consumatori di altri paesi preferiscono vini non italiani, il Governo potrà fare ben poco per far incrementare il Pil italiano.

Eppure, buona parte dei messaggi politici verte proprio sulle maggiori opportunità di crescita economica, oppure di occupazione (che, come è noto, dipende dall’andamento dell’economia), che si avrebbero votando il partito di appartenenza del politico.

In uno studio condotto da chi scrive, e scaricabile in formato Pdf (le tabelle sono in fondo a questo articolo), si è esaminata la performance dei 13 governi che si sono succeduti nei 20 anni compresi tra il 1992 ed il 2012, sulla base dei dati raccolti nei siti di Banca d’Italia, Istat, ed Eurostat, relativi a 5 parametri:

1) l’incremento del debito pubblico nominale (Tabella I);

2) l’incremento del debito pubblico reale (Tabella II);

3) l’andamento del rapporto debito/Pil annuale (Tabella III);

4) l’andamento del rapporto deficit/Pil annuale (Tabella IV);

5) l’andamento del tasso di crescita reale del Pil (Tabella V).

Risultati della valutazione della performance economica dei Governi italiani del periodo 1992-2012

Rinviando per gli aspetti metodologici allo studio completo, in questa sede ci si propone semplicemente di richiamare i principali risultati che derivano dall’osservazione dei dati contenuti nelle 5 tabelle dello studio, che si invita caldamente di guardare nel Pdf allegato.

Un primo risultato che emerge è che i governi di centrosinistra hanno contribuito in misura minore alla crescita del debito pubblico italiano, e questo non solo in termini assoluti, ma anche considerando il tasso di crescita media mensile del debito.

Se si considerano i dati del debito pubblico espressi in termini reali, ossia rivalutati al valore dell’euro di fine 2012 (Tabella II), i risultati sono infatti i seguenti:

a) governi tecnici: 6 mld euro/mese, pari a 301 mld di euro in 50,5 mesi, che rappresenta il 43,7% del debito reale accumulato tra fine 1991 e fine 2012 (percentuale maggiore di quella relativa alla durata degli esecutivi rispetto al periodo considerato, pari a 20,7%);

b) governi di centrosinistra: 0,9 mld euro/mese, pari a 77 mld di euro in 84,5 mesi, ossia l’11,2% di tale debito (pur avendo governato per il 34,6% del periodo considerato);

c) governi di centrodestra: 2,8 mld euro/mese, pari a 310 mld di euro in 109 mesi, ovvero il 45,1% (percentuale analoga a quella relativa alla durata: 44,7%).

Se poteva essere scontata la migliore performance dei governi di centrosinistra rispetto a quelli del centrodestra (sebbene la differenza sia pari ad un rapporto di 1 a 3), risultano invece sorprendenti i cattivi risultati dei governi tecnici (Amato I, Ciampi, Dini, Monti), che nel complesso non sembrano essere risultati particolarmente vantaggiosi per quanto concerne la limitazione della crescita del debito pubblico. È però giusto evidenziare che per questi 4 governi vi sono state le seguenti importanti limitazioni:

a) la breve durata dei governi tecnici (in media poco più di un anno);

b) l’intervento in periodi di grave crisi di finanza pubblica, già conclamata, con la conseguente impossibilità di invertire drasticamente i trend in breve tempo.

Va poi considerato il fatto che i dati di finanza pubblica dell’anno x sono determinati in buona misura dalle decisioni prese nell’anno x-1, in occasione dell’approvazione della legge di stabilità (un tempo legge finanziaria) e del bilancio, sebbene l’esperienza abbia dimostrato che sono possibili anche manovre correttive in corso d’anno, con effetti immediati sul fabbisogno e sulle entrate, iniziativa che costituisce una possibile scelta di politica economica.

Passando ora alla valutazione delle performance dei governi in funzione dei cosiddetti parametri di Maastricht, utilizzati anche come riferimento delle procedure comunitarie di sorveglianza delle posizioni di bilancio (Patto di Stabilità e Fiscal compact), l’esame dei dati della tabella IV porta a rilevare che la media del rapporto deficit/pil è stata per i 3 gruppi di governi la seguente:

a) governi tecnici: 7,9% (media nell’arco di 4 anni), tenendo però presente che il valore del rapporto deficit/pil per il 2012 è ancora una stima;

b) governi di centrosinistra: 2,9% (media nell’arco di 7 anni);

c) governi di centrodestra: 4,3% (media nell’arco di 10 anni).

Questi risultati vanno però letti alla luce anche delle seguenti circostanze:

1) negli anni 1996-2000, governati dal centrosinistra, tutti i paesi europei hanno sperimentato un analogo trend di miglioramento, che in alcuni paesi (Germania, Gran Bretagna) è stato tale da portare il bilancio in attivo;

2) negli anni 2008-2011, governati dal centrodestra, il peggioramento del rapporto deficit/pil italiano è stato inferiore rispetto a quello degli altri paesi europei (con l’eccezione della Germania);

3) 3 dei 4 governi tecnici (Amato I, Ciampi, Monti) hanno gestito le finanze pubbliche nel corso di un periodo particolarmente critico.

L’esame dell’ultima tabella, la V, relativa ai tassi di crescita del Pil reale, porta a constatare per i 3 gruppi di governo queste performance:

a) governi tecnici: tasso di crescita media del Pil reale pari allo 0,1% l’anno (media nell’arco di 4 anni);

b) governi di centrosinistra: 1,9% (media nell’arco di 7 anni);

c) governi di centrodestra: 0,3% (media nell’arco di 10 anni);

Riconosciuto che i governi hanno una limitata capacità di influenzare l’andamento del Pil, non si può però tralasciare la circostanza che la propaganda di alcune forze politiche sono state centrate sulla promessa di sviluppo economico, ed in alcuni casi addirittura di un “nuovo miracolo italiano”.

È dunque corretto esaminare anche questo parametro di crescita del Pil reale, se non altro per verificare il livello di “fortuna” che i vari governi hanno avuto nel raggiungere questo obiettivo, visto che è difficile ritenere che la crescita sia un merito dell’esecutivo (e viceversa, la crisi economica una colpa del governo).

Conclusioni

I dati contenuti nelle 5 tabelle allegate consentono di affermare che i governi di centrosinistra che si sono succeduti negli ultimi 20 anni in Italia hanno registrato nel complesso performance migliori rispetto ai risultati sia dei governi di centrodestra, sia dei governi tecnici. Tale affermazione trova riscontro in tutti i dati di finanza pubblica e di crescita del Pil reale considerati. Detto questo, altro discorso è la valutazione del merito dell’attività di governo. Si è ricordato che nel caso dei governi tecnici vi sono stati degli importanti fattori che hanno sicuramente inciso sulla capacità di esprimere buone performance (breve durata media degli esecutivi, e intervento in situazioni di crisi già conclamata). Allo stesso modo i governi di centrodestra hanno avuto la sfortuna di iniziare spesso la loro azione in corrispondenza dell’avvio di periodi di crisi internazionale, come è stato il caso del 2001 (II governo Berlusconi), con gli attacchi terroristici, e del 2008 (IV governo Berlusconi), dove la crisi finanziaria si è rapidamente estesa all’economia reale a livello globale. Va però detto che se la sfortuna non è un demerito (anche se Napoleone la pensava diversamente in relazione ai propri generali), diventa un demerito promettere scenari che non sono nel controllo di chi governa, come l’evoluzione del nostro paese degli ultimi 20 anni dimostra.

Una seconda conclusione che si può trarre dallo studio è il livello modesto di risultati economici ottenuti dai nostri governi negli ultimi 20 anni. In effetti un rapporto debito/pil non lontano dal 130%, che costituisce un record storico, un valore assoluto del debito superiore a 2.000 mld di euro (circa 4 milioni di miliardi delle vecchie lire), e una crescita economica media negli ultimi 21 anni dello 0,8% (16,7 punti percentuali di crescita reale in 21 anni), difficilmente potrebbero configurarsi come risultati positivi. Relativamente alla crescita economica è il caso di segnalare che tutti gli altri principali paesi europei sono cresciuti più dei 16,7 punti percentuali registrati dall’Italia: 48,1 la Gran Bretagna, 47,8 punti la Spagna, 33,8 punti la Francia, 28,4 la Germania. In altre parole, negli ultimi 20 anni la Spagna e la Gran Bretagna hanno avuto una crescita tripla (300%) rispetto alla nostra, la Francia una crescita doppia (200%), e la Germania una crescita superiore del 50%. Ma l’elemento di maggiore preoccupazione è probabilmente offerto dalla circostanza che nei media, e nei dibattiti politici sono quasi sempre assenti valutazioni parametrate a dati oggettivi, quali quelli richiamati in questa nota.

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(Fonte sbilanciamoci.info – Massimiliano Di Pace)

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