Secondo quanto rivelato dal report Philips “Future Health Study 2016” condotto su 2 mila pazienti di 13 Paesi tra i 18 e gli 80 anni, l’85% degli italiani cerca risposte mediche sul web, più del 50% parla via Internet col proprio dottore, il 72% preferisce avere consulti online, e circa una persona su due controlla la propria salute tramite un dispositivo. Continue Reading
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Slow Medicine per una salute Sobria, Rispettosa e Giusta
Slow Medicine è innanzitutto un’idea. Nasce dall’incontro di persone che, con esperienze e culture diverse, hanno operato ed operano all’interno del mondo delle cure per la salute e che negli ultimi trent’anni hanno prodotto pensiero e ricerca sul sistema sanitario dal punto di vista organizzativo, strutturale, metodologico, economico, comunicativo.L’idea che i fondatori di Slow Medicine condividono è che cure appropriate e di buona qualità e un’adeguata comunicazione fra le persone riducano i costi dell’organizzazione sanitaria, riducano gli sprechi, promuovano l’appropriatezza d’uso delle risorse disponibili, la sostenibilità e l’equità dei sistemi sanitari, migliorino la qualità della vita dei cittadini nei diversi momenti della loro vita. In questo articolo, Antonio Bonaldi, Direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, cultore della qualità delle cure e dell’approccio sistemico alla salute e ai servizi sanitari, nonche’ socio fondatore della rete Slow Medicine, spiega come salute e malattie con un approccio diverso, possano convivere.
La maggior parte dei medici e più in generale chi opera in ambito sanitario, richiamandosi alla celebre definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, è portato a considerare la salute come uno «stato di completo benessere fisico, psichico e sociale». Questa definizione, che resiste ormai da oltre 60 anni, è stata recentemente oggetto di importanti considerazioni critiche, ben sintetizzate in un articolo di Machteld Huber apparso sul British Medical Journal.
Al momento della sua formulazione la definizione rappresentò un deciso passo in avanti perché, forse per la prima volta, si inizio a comprendere che la salute e il benessere della persona comprendono non solo la componente biologica, ma anche gli aspetti psicologici e sociali. Tuttavia, in questi anni non sono mancate le critiche e le proposte di aggiustamento, in primo luogo perché un concetto di salute così ambizioso e allargato non può essere sottoposto a verifica e misurazione. Secondariamente, perché si è capito che a causa dei cambiamenti dell’epidemiologia delle malattie e dell’introduzione di nuove tecnologie sanitarie, l’aspirazione generale a uno stato di completo benessere, oltre che irrealizzabile ci espone al serio pericolo di incoraggiare la medicalizzazione della società. Si pensi, per esempio, alla possibilità offerta dalle nuove tecnologie diagnostiche di individuare piccole anomalie di cui ancora non conosciamo la storia naturale e di cui ignoriamo rischi e benefici conseguenti alla loro precoce individuazione e cura. Oppure al continuo abbassamento dei confini di normalità per molti fattori di rischio che, da un giorno all’altro, inducono masse di persone che si sentono soggettivamente bene a intraprendere una terapia farmacologica. O ancora, all’industria del farmaco, che prepara le medicine prima ancora di aver identificato la malattia per cui utilizzarle.
Per questi motivi credo non sia inutile chiederci come stia cambiando la definizione di salute e come la capacità di osservare i problemi da una prospettiva sistemica possa riflettersi positivamente sull’organizzazione e la gestione delle cure.
MALATTIE ACUTE E RIDUZIONISMO
La definizione di salute dell’Oms è figlia del tempo in cui è stata formulata: poco dopo la Seconda guerra mondiale. In quel periodo le grandi epidemie erano solo un triste ricordo, ma la vita media si fermava a meno di cinquant’anni e le malattie infettive rappresentavano ancora la principale causa di decesso. Il modello di malattia prevalente era quello desumibile dalle modalità di manifestazione, cura e guarigione delle malattie acute: esordio improvviso e inaspettato, sintomi clinicamente ben definiti, causa specifica, cura e guarigione con restitutio ad integrum. La scoperta dei microbi e del modo di combatterli con vaccini e antibiotici, confermava questi assunti e apriva le speranze alla seducente prospettiva di poter vivere in un mondo senza malati. Anche il metodo scientifico era allineato a questi concetti e ne rafforzava la veridicità e la coerenza interpretativa. Secondo la scienza newtoniana, infatti, ogni fenomeno può essere studiato in modo isolato e trova la sua logica spiegazione in qualche specifico evento che lo precede, a cui è indissolubilmente legato da un rapporto lineare di causa-effetto. In ossequio a questo modo di pensare l’interesse dei medici si concentra sullo studio della fisiologia e della patologia del corpo umano e sulla ricerca del più piccolo elemento responsabile del suo cattivo funzionamento, allo scopo di correggerlo o eliminarlo. Genomica e biologia molecolare sono oggi l’espressione più emblematica e avanzata di questo approccio.
MALATTIE CRONICHE E SCIENZA DELLA COMPLESSITÀ
Oggi, i problemi della medicina sono assai diversi. La gente vive molto più a lungo. L’aspettativa di vita è aumentata, fino a superare gli ottant’anni e le persone si ammalano e muoiono soprattutto a causa di patologie croniche che si comportano in modo totalmente difforme dal modello sopra descritto. Il loro esordio è lento e subdolo, le manifestazioni cliniche variegate e diverse da persona a persona, la guarigione praticamente impossibile. Inoltre, non dipendono da una causa ben definita ma si associano a molti fattori di rischio di tipo biologico, ambientale e sociale, il cui peso nella genesi della malattia è difficilmente quantificabile. Sui nostri stessi geni potremmo trovare, fin dalla nascita, le tracce dei nostri difetti e delle nostre future patologie. In questo contesto è difficile immaginare che esista qualcuno di veramente sano. La salute, intesa come assenza di malattia e completo stato di benessere fisico, diventa così solo un’illusione. Negli ultimi decenni, non è cambiato solo il tipo di malattie di cui la gente si ammala, ma si sono aperti nuovi orizzonti anche sul piano scientifico. Intorno agli anni sessanta, infatti, alcuni ricercatori si resero conto che per spiegare i fenomeni naturali (fisici, biologici e sociali) non erano più sufficienti i tradizionali metodi d’indagine basati sullo studio analitico delle parti. Per vie diverse e indipendenti hanno chiarito che in natura vi sono fenomeni, quali ad esempio l’evoluzione degli ecosistemi, il funzionamento degli organismi viventi, lo sviluppo delle organizzazioni sociali o di internet, spiegabili solo osservando la rete di connessioni che tiene uniti i diversi agenti appartenenti al sistema di riferimento. Nasce l’approccio sistemico. L’attenzione si sposta dagli oggetti alle loro relazioni e i fenomeni che ci circondano sono interpretati come il risultato di una rete di eventi interdipendenti, dove il cambiamento di un elemento agisce su gran parte degli altri. Una persona, ad esempio, è simultaneamente un oggetto fisico, chimico, biologico, fisiologico, mentale, sociale e culturale e risponde in modo differente, ma non disgiunto, a ciascuno dei sistemi cui appartiene.
CURA DELLA MALATTIA O SALUTE DEL PAZIENTE?
Quali conseguenze comportano i due diversi approcci sulla gestione e l’organizzazione delle cure? Il pensiero riduzionista tende ad assimilare il corpo umano (e di riflesso il paziente) a una macchina. Data la sua enorme complessità e le migliaia e migliaia di possibilità che qualcosa vada storto, le conoscenze sul suo corretto funzionamento e sulle sue disfunzioni sono frazionate tra super-specialisti, ciascuno dei quali ama concentrasi su ambiti di conoscenza sempre più ristretti. Ne deriva che i professionisti tendono a lavorare in modo isolato, a circoscrivere l’interesse sul loro specifico sapere e a moltiplicare i possibili interventi correttivi. Il rispetto delle specifiche procedure di riferimento prende il sopravvento sulla peculiarità della persona, dei valori che esprime e che contraddistinguono la sua vita e le sue aspettative. La cura è frammentata in una miriade di sequenze e di atti a cui è difficile dare senso e continuità. L’eccesso di dettagli di natura biologica finisce per far dimenticare il paziente come persona, il suo benessere e lo scopo stesso per cui gli interventi sono stati intrapresi. Così, mentre da un lato assistiamo all’irrefrenabile aspirazione alla specializzazione, dall’altro ci scontriamo con le esigenze di pazienti sempre più complessi, fragili, affetti da pluripatologie che invocano una presa in carico globale e risposte unitarie e coerenti. L’approccio sistemico, viceversa, è orientato più alla salute del paziente che alla cura della singola malattia. In questo caso ogni elemento del sistema riveste un ruolo importante e insostituibile e i diversi attori che intervengono nei processi di assistenza e di cura sono considerati gli elementi di un sistema complesso, di cui salute e benessere rappresentano le proprietà emergenti. Il medico, il paziente, i suoi familiari e più in generale il contesto entro il quale il processo di cura si concretizza rappresentano un tutt’uno inseparabile, che bisogna saper osservare, riconoscere, interpretare e salvaguardare. Tutto ciò richiede multidisciplinarietà, pluralità di linguaggi, connessioni tra saperi e dialogo tra scienze umanistiche, sociali e tecniche.
LA SALUTE COME CAPACITÀ DI ADATTAMENTO
Attraverso l’approccio sistemico, la salute non è più un’entità unica e fissa, ma acquisisce un senso dinamico e mutevole, come capacità dell’individuo di adattarsi continuamente all’ambiente fisico e sociale che lo circonda e di cui è parte integrante. In questa nuova prospettiva occorre, quindi, creare le condizioni per favorire tale adattamento e per trovare nuovi equilibri che aiutano le persone a sperimentare un senso di benessere e di serenità anche di fronte a limitazioni severe delle funzioni vitali. L’interesse è indirizzato verso il conseguimento di una vita soggettivamente accettabile e non verso la vana prospettiva di raggiungere uno stato di completa assenza di rischio, di malattia e d’infermità. Il paziente non è più considerato un ingranaggio che risponde passivamente a stimoli e aggiustamenti di tipo meccanico, ma rappresenta una persona che prova emozioni, esprime sentimenti e partecipa direttamente al processo di cura. Medici e professionisti della salute lavorano insieme, collaborano e si scambiano informazioni, in un ambiente aperto e multidimensionale. Le prescrizioni tengono conto di percorsi di diagnosi e cura basati sulle migliori conoscenze scientifiche, ma sanno anche valorizzare le diversità, adattandosi ai differenti contesti e alle specifiche aspettative del paziente. Naturalmente, l’utilizzo di un approccio non esclude l’altro. In funzione del problema che dobbiamo affrontare, del tipo di paziente, dei suoi bisogni e degli obiettivi che ci proponiamo, possiamo applicare, a ragione, l’uno o l’altro dei due approcci. Non si tratta, quindi, di abbandonare il concetto di cura dei sintomi e della malattia, ma d’integrarlo con le esigenze dell’individuo, immerso in un complesso sistema di rapporti che ne condizionano l’agire. L’importante è essere consapevoli del metodo utilizzato e agire sempre con equilibrio, controllo e moderazione o, se preferite in modo sobrio, rispettoso e giusto come ci insegna Slow Medicine.
Per approfondire visita slowmedicine.it.
La sanità di Dio. Una formidabile occasione di business: è questa la sanità in Italia. Un piatto che vale più di 115 miliardi di euro l’anno, attorno al quale si sono polarizzati I principali centri di potere, legati alla gestione dei grandi poli ospedalieri, che si annidano dietro il volto ufficiale della Chiesa, portando alla luce le diverse fazioni e le lotte intestine che stanno facendo tremare le gerarchie del Vaticano, e ora mettono in crisi il governo di Roberto Formigoni alla Regione Lombardia.