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L’Unica Grande Opera: La cura del territorio

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Capita che qualcuno usi le parole giuste per esprimere quello che avevi in testa e ti accingevi a scrivere tu stesso. In questo caso, a farlo sono stati Salvatore Settis e Tomaso Montanari, addirittura su un quotidiano mainstream come La Repubblica. La sintesi dei loro articoli coincide con quanto dicono da tempo comitati di cittadini e movimenti di base: esiste Una Grande Opera, una sola di cui l’Italia abbia concreto bisogno, ed è salvare il territorio, metterlo in sicurezza, risanarlo. Salvarlo dal dissesto idrogeologico che fa allagare le città e franare le montagne ogni volta che piove un po’ più forte; ma anche liberarlo dalla cementificazione e dal peso che insiste sulla sua superficie; dall’inquinamento e dall’immondizia. E non ultimo, aggiungeremmo noi, dalla militarizzazione, vero e proprio scippo di suolo pubblico a fini bellici.

Insomma, tutto il contrario di quello che si accinge a fare lo «Sblocca Italia», decreto che ha per nome un’antifrasi, dato che il fine reale è congestionare il Paese.

Chiamiamola UGO. È l’Unica Grande Opera, l’unica che valga la pena realizzare e che darebbe lavoro a decine di migliaia di persone. Un serio investimento di denaro, energie, intelligenza collettiva, per evitare catastrofi e riqualificare il territorio, che rimane risorsa primaria e che rappresenterebbe in realtà un risparmio sulle ecocatastrofi future.

Per fare una cosa del genere, si capisce, occorrerebbero una prospettiva e una visione completamente diverse da quelle imperanti. Servirebbe un’altra idea di progresso, non più misurata in metri cubi di cemento, appalti e fatturati, ma in qualità reale della vita, fatta di salute, tutele, socialità, cultura, felicità. Occorrerebbe immaginare un sistema di trasporto pubblico in cui la velocità di spostamento sia meno importante della capillarità; in cui l’impatto leggero sia un valore aggiunto; in cui invece di costruire nuovi raccordi, bretelle, tangenziali, per incentivare il traffico automobilistico, si lavori per potenziare il trasporto pubblico. Bisognerebbe ragionare sul recupero delle aree urbane dismesse (basi militari, caserme, distretti produttivi abbandonati) e sulla loro restituzione allo spazio pubblico;  e ancora, bisognerebbe pensare a come incentivare le filiere corte contro la grande distribuzione; ecc. ecc. Inutile farla tanto lunga, ci siamo capiti perfettamente, sono cose che sanno tutti.

Esiste in questo paese una forza politica che possa farsi carico di un mutamento di prospettiva così radicale?

Se parliamo di una qualche forza politica organizzata per raccogliere voti, la risposta ovviamente è no.

Se spostiamo lo sguardo, però, vediamo, sparsi per tutto lo Stivale e le isole, centinaia di comitati territoriali – almeno uno in ogni provincia – che portano avanti battaglie reali contro lo scempio del territorio, per la salvaguardia della salute e per un rapporto diverso con i luoghi in cui si vive. Se non fosse per loro, la devastazione del paesaggio e l’ingiustizia ambientale sarebbero oggi ancora più mostruose.

È giusto, come fanno anche Settis e Montanari, invocare Una Grande Opera di risanamento, ma è altrettanto importante riconoscere l’opera di migliaia di attivisti, senza i quali saremmo circondati da chissà quanti altri ecomostri, autostrade che portano al nulla, ferrovie senza treni, impianti eolici inutili, parchi cittadini abbandonati, edifici pericolanti, immondizia, centrali nucleari, frane, inondazioni. Se si facesse l’elenco di quanti progetti dannosi e demenziali sono riusciti a bloccare e di quanti spazi dimenticati sono riusciti a riutilizzare, ne verrebbe fuori la mappa di una resistenza che ha impedito e impedisce ogni giorno il collasso psicogeologico dell’Italia.

E invece, questi movimenti, grandi, piccoli o piccolissimi, vengono accusati dagli alfieri dello sviluppismo di voler fermare il “progresso”, di essere “conservatori”, di essere “nimby”. Continue Reading

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