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Somaliland un Paese senza Stato né banche e con denaro invisibile

Somaliland

Il Somaliland (“Terra dei Somali”) è uno Stato dell’Africa orientale, un Paese che ufficialmente non esiste, e con un economia o meglio del denaro “invisibile”. È un’oasi di pace e di democrazia in mezzo all’Africa violenta. Non si registrano conflitti dal 1997.

Il 13 novembre, lo Stato che esiste per la sua gente dal 1991, ma che nessun Paese al mondo ha fino ad ora riconosciuto, è tornato alle urne per eleggere il presidente della Repubblica.

Con una popolazione di circa 3,5 milioni, il Somaliland non ha nessun settore bancario “formale”. Dal 2009 il meccanismo di transazione preferita è Zaad, un servizio finanziario di denaro elettronico che trasforma i cellulari in portamonete. Continue Reading

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Milionari virtuali

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Erano due giovani imprenditori informatici, oggi sono due “potenziali” milionari: Dario Pizzato e Michele Tegon, trentottenni veneziani, hanno creduto nei bitcoin fin dal 2010, sono tra i maggiori produttori di “criptomoneta” in Italia ed ora vogliono trasformare la loro passione in lavoro. La valuta virtuale, che non è emessa né garantita da alcuna banca centrale, sta vivendo un vero e proprio boom con quotazioni volate anche sopra i mille dollari. Molti economisti restano scettici e l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan ha parlato di ‘bolla’ speculativa.

Amici fin dai tempi della scuola, i due imprenditori veneti a 25 anni hanno fondato una società di “digital signage”, una forma di comunicazione i cui contenuti vengono mostrati attraverso schermi elettronici in luoghi pubblici. “A fine 2010 lessi su Internet un articolo sui bitcoin – racconta Pizzato -. La nostra società aveva una buona potenza di calcolo, così decidemmo di provare a ‘minare’ bitcoin (produrli attraverso complessi algoritmi generati dal computer, ndr)”. I due giovani imprenditori veneziani sono diventati in poco tempo i più forti produttori italiani, accumulando una fortuna. “Dopo sei mesi avevamo un controvalore di 18 mila dollari, dopo altri sei mesi abbiamo superato i 200mila”, ricorda Pizzato. All’inizio bastava un computer semplice per “minare”, poi è cambiato il modo di produrre le monete elettroniche: servivano hardware specifici. “Anche noi abbiamo reinvestito i bitcoin per comprare i nuovi hardware e rimanere competitivi – continua Pizzato -. Oggi però è diventato difficile ‘minare’ perché la concorrenza è agguerrita. Abbiamo quindi deciso di spostarci sui servizi, per permettere ai non addetti ai lavori di affacciarsi al mercato della criptomoneta. A gennaio lanceremo una start-up: offriremo consulenza a chi vuole provare a produrre bitcoin e metteremo il nostro hardware a disposizione di chi vuole fare ‘mining’ senza investire necessariamente soldi per comprare le macchine”. I due giovani imprenditori non si fermeranno qua. Il secondo passo cui cui stanno già lavorando è un sistema di micropagamento. Considerato che in alcuni paesi del mondo la moneta virtuale inizia ad essere accettata da diverse aziende, mentre poche settimane fa è stato aperto il primo ‘sportello bancomat’ di bitcoin a Vancouver, in Canada, richiesto in altri venti Paesi, dall’Irlanda all’Australia. “Vorremmo fornire una soluzione di pagamenti in bitcoin per le piccole spese quotidiane – spiega Pizzato -. Abbiamo un’applicazione in stato avanzato di realizzazione per una piattaforma per smartphone in grado di trasferire dollari, euro e bitcoin durante le transazioni nei negozi”. Questo permetterebbe alla comunità che oggi ha 13 miliardi di dollari in bitcoin in tasca di spenderli nel mondo reale.

*asud’europa – Settimanale di politica, cultura ed economia realizzato dal Centro di Studi e iniziative culturali

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