Computer

Tiziano Terzani alla moglie disperata per l’introduzione dei computer nella vita umana. Tratto dal libro “Un’idea di destino“, Hong Kong 25 dicembre 1983.

Dimmi
computer amato,
il mondo nel quale sei nato
è nuovo
o sei condannato
a essere solo lo specchio
di un vecchio
fallito
abortito
pensiero
che ha perso il sentiero
del senno?

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Lo smartphone insanguinato

Coltan
In questo post vi spiego come noi, comprando l’ultimo modello di iPhone o di qualsiasi altro smartphone o computer, finanziamo direttamente l’approvigionamento d’armi di guerriglieri in Congo, che vivono estorcendo e stuprando giovani e giovanissimi locali che si fanno “minatori” per non morire di fame ed inseguire il sogno impossibile di costruirsi casa e famiglia. Il Congo è il paese più ricco del mondo, dal punto di visto minerario e geologico, ma anche e fra i paesi più poveri della terra, come condizioni di vita. Per i congolesi il coltan è diventata la più grande delle maledizioni, per la mancanza di normativa, di regolamentazione e di controllo in merito all’estrazione di questo minerale e alle sue modalità.

Il coltan? Nessuno sa cos’è”, “è utile?”. Il coltan veniva sfruttato anche prima della Seconda guerra mondiale, ma è diventato strategico solo da qualche anno. Prima valeva pochissimo e nessuno voleva estrarlo. Spaccare le pietre sotto il sole non è un lavoro piacevole. Ora è richiestissimo dall’industria ultratecnologica e le concessioni si sono moltiplicate.

A cosa serve il coltan? A vederlo così non somiglia a niente. Solo fango di sabbia nera con qualche debole scintilla di luce, come se fosse quarzo. Se gli si avvicina una calamita si attacca. In realtà il coltan è un minerale dall’importanza economica e strategica immensa. In particolare, spiegano gli esperti, serve a ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione. Nei telefonini, per esempio, o nelle telecamere o nei computer portatili dove il problema più difficile da risolvere è quello della durata delle batterie. I condensatori al tantalio permettono un risparmio energetico e quindi una maggiore versatilità dell’apparecchio. Questa la spiegazione ufficiale. Ma parlando con i commercianti che esportano il coltan viene fuori un’altra strana verità. Il coltan è radioattivo e contiene anche un bel po’ di uranio. Non è forse che questo faccia gola più della tantalite? Il commerciante che regala una bustina di polvere di coltan a Butembo, nella parte nordorientale del Congo, quella per intendersi controllata dagli ugandesi, consiglia vivamente. Oltre a essere l’ingrediente fondamentale nella costruzione dei nostri telefoni cellulari, il coltan è usato nell’industria aerospaziale per fabbricare i motori dei jet, oltre agli air bag, ai visori notturni, alle fibre ottiche.

Miniere di coltan

Miniere di coltan

Qual è il percorso che dalle miniere arriva fino a casa Nokia, Apple o Samsung, ad esempio? Brevemente, coltan e cassiterite vengono estratti a mano, a suon di martello e a mani nude nelle miniere sparse per tutto il Congo, soprattutto nella regione di Kivu.

Nel 2010, il danese Frank Piasecki Poulsen ha girato un documentario fantastico dal titolo “Blood in the Mobile” (qui lo streaming), con l’obiettivo di far conoscere all’opinione pubblica mondiale da dove vengono e come sono estratte le materia prime dei nostri cellulari.

Il prezioso minerale è naturalmente anche la causa della guerra che sta devastando il Paese. I proventi della vendita del minerale servono infatti a pagare i soldati e ad acquistare nuove armi. L’unica via per interrompere il mercato del “coltan insanguinato” e i conflitti ad esso collegati sarebbe una normativa internazionale. Se, infatti il “protocollo di Kimberley” ha posto regole al commercio dei diamanti, per il coltan, per il quale il percorso di tracciabilità sarebbe più facile provenendo prevalentemente da un solo paese, non esiste alcuna regola. Esiste l’associazione Raise Hope for Congo, che lavora per rendere cosciente l’opinione pubblica ed incita i governi a bandire e regolare questo mercato. Ma la situazione è difficile, l’interesse in gioco è troppo grande e, diciamola tutta, ad una persona su due o su tre, sinceramente, non gliene frega niente se l’Africa muore.

(Fonti: buenobuonogoodrepubblicacongo)

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Tra vent’anni i robot sostituiranno l’uomo

Robot

E’ una previsione da brividi, che certo non fa bene al già tormentato mercato del lavoro italiano: secondo la London School of Economics il 56% dei lavori in Italia rischia di sparire entro due decenni, a causa di robot e macchine sempre più intelligenti che andranno a sostituire lavoratori in carne ed ossa. Ma è lo stesso studio a dare anche una speranza ai lavoratori del nostro paese: le aziende italiane sono infatti storicamente lente a sostituire i dipendenti con macchine, e il problema vero per il sistema Italia sarà invece quello di competere con altri paesi dove i robot prenderanno piede velocemente. A produrre l’allarmante analisi è Jeremy Bowles, un economista della London School of Economics che ha incrociato dati sul mercato del lavoro europeo con studi sulla crescente capacità di macchine e robot di “imparare” come ci si comporta in vari contesti lavorativi (ad esempio “lavorando” come cameriere, centralinista, o manager). L’Italia, rispetto agli altri Paesi europei e soprattutto rispetto alle principali economie del Vecchio Continente, viene fuori malconcia dall’analisi a causa della diffusione nel nostro paese di lavori ripetitivi e facilmente sostituibili come impiegati, segretarie e magazzinieri. Peggio di noi stanno solo la Romania, dove il 62% dei lavori rischiano di essere sostituiti da macchine entro vent’anni, Portogallo (59%), e Croazia (58%), mentre al nostro stesso livello (56% di lavori sostituibili) ci sono Polonia, Bulgaria e Grecia.

Sorprendentemente meglio dell’Italia si posizionano invece vari paesi considerati di solito economicamente meno avanzati, come Repubblica Ceca (54%), Slovenia (53%), Lituania (52%) e Lettonia (51%). Molto migliore invece la situazione di Regno Unito e Svezia, i due Paesi europei messi meglio con “solo” il 47% delle mansioni a rischio sostituzione, mentre in Germania, Francia e Spagna i lavori sostituibili sono invece rispettivamente il 51%, 50%, e 55%.

L’Italia al momento abbonda purtroppo di quei tipi di lavori che lo studio identifica come facilmente sostituibili, come impiegati, lavori di supporto amministrativo e segretariato, magazzinieri, e (sorprendentemente) venditori. Come fa notare l’Ocse riguardo all’esperienza di Amazon sulle vendite, i computer non sanno infatti “vendere” direttamente, ma prevedono molto meglio i gusti dei compratori in base ai loro acquisti precedenti e allo status socio-economico. All’estremità inferiore della scala di sostituibilità ci sono invece quei lavori dove c’è poca ripetitività e dove conta l’intelligenza sociale: manager, ricercatori, scienziati, insegnanti, avvocati, artisti, medici e infermieri. Per il lavoratore italiano la buona notizia potrebbe però arrivare dalla lentezza storica delle aziende italiane nel sostituire le persone con macchine e soprattutto dall’importanza data ai dipendenti nel contesto delle piccole e medie imprese. Il problema a quel punto diventerà però quello di affrontare mercati dove altre aziende riusciranno a produrre a costi inferiori grazie all’uso di macchine e robot. Per il sistema Italia potrebbe essere proprio questa, nei prossimi decenni, una delle sfide principali.

(Fonte: Libero del 31 Luglio 2014)

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L’importanza della libertà di Internet

Ai Weiwei

 

“Da comunisti otteniamo il controllo con il potere della pistola e lo manteniamo con il potere della penna”, diceva il presidente Mao Zedong. La propaganda e il controllo dell’ideologia sono attività fondamentali per una società autoritaria. Prima dell’avvento di internet i cinesi potevano solo guardare la tv o leggere il Quotidiano del popolo. E per capire cosa stava succedendo erano costretti a leggere attentamente tra le righe. Oggi la situazione è molto diversa. Prima ancora che i giornali vadano in stampa, le notizie sono già state ampiamente discusse su internet.

I cittadini cinesi non hanno mai potuto esprimere liberamente le loro opinioni, anche se la costituzione gli riconosce questo diritto. Per gli occidentali è un diritto che si acquisisce alla nascita. In Cina è un diritto concesso dal governo, e in sostanza non viene esercitato. In Cina abbiamo avuto riforme e aperture. Tuttavia “apertura” non ha signiicato “trasparenza” ma semplicemente aprire le porte all’occidente. È stato un processo pratico, più che ideologico.

All’inizio nessuno pensava che internet avrebbe avuto un ruolo così importante nel garantire la libertà di espressione, o che i social network si sarebbero sviluppati tanto. anche in occidente erano convinti che la rete fosse solo un mezzo di comunicazione più efficiente, veloce e potente. Ma da quando c’è internet e chiunque può aprire un blog o un microblog, le persone hanno cominciato a condividere le idee, alimentando un nuovo senso di libertà. La gente sta imparando così a esercitare i suoi diritti. Stiamo attraversando un momento unico, prezioso. Si comincia a sentire il vento del cambiamento.

La rete è un territorio inesplorato attraverso cui cominciamo a condividere sentimenti comuni. Il governo cinese, però, non può cedere il controllo. Blocca le più importanti piattaforme come twitter e Facebook perché ha paura del dibattito libero. Il computer del governo ha un solo tasto: “cancella”. Ma la censura non può bastare. Come diceva Mao, servono sia la penna sia la pistola. E così può succedere che a mezzanotte vengano in casa tua e ti portino via. Ti mettono un cappuccio nero in testa, ti trascinano in un luogo segreto e ti interrogano per ore, cercando di convincerti a non fare più quello che stai facendo.

Eppure, allo stesso tempo, il governo parla di come rendere la cultura nazionale più creativa. Ma se una persona non ha mai potuto scegliere come informarsi, abbracciare liberamente un’ideologia o sviluppare una personalità distinta con passione e immaginazione, come può diventare creativa? Se si combattono l’individualismo e il pensiero autonomo – e il coraggio di rischiare, pagare le conseguenze delle proprie azioni e sviluppare un senso di responsabilità – che genere di creatività ci si aspetta? Continuare così significa lasciare indietro la Cina nella competizione mondiale per i prossimi decenni. Non si possono allevare generazioni solo perché lavorino alla Foxconn. Tutti vogliono un iPhone, ma in Cina sarebbe impossibile inventarlo, perché non è un semplice prodotto ma il risultato di una comprensione della natura umana.

Generazione ribelle

Da ragazzo ero un ribelle. I miei capelli erano cresciuti troppo, e quando stavo per tagliarli i miei genitori mi dissero: “Tagliati i capelli, sono troppo lunghi”. A quel punto decisi che li avrei lasciati crescere ancora un po’. Oggi un’intera generazione di giovani si comporta così. Hanno valori diversi rispetto a quelli dei genitori, che vogliono solo sopravvivere e far soldi. A qualcuno può sembrare che Pechino stia mantenendo il controllo con successo, ma in realtà ha solo alzato il livello dell’acqua. È come se il governo stesse costruendo una diga, sempre più alta man mano che il livello dell’acqua cresce. Ma il problema è che ogni singola goccia d’acqua resta lì, e il governo non sa come alleggerire la pressione. Si limita a trovare il modo di mantenere il controllo e rinvia la soluzione dei problemi. Il momento del crollo non è ancora arrivato. Ma i leader devono capire che non potranno controllare internet per sempre, a meno che non decidano di chiuderla del tutto, con conseguenze disastrose. Se internet non può essere controllata alla fine la libertà riuscirà ad averla vinta.

Ai Weiwei (artista cinese che vive a Pechino in regime di libertà ridotta)    

(Fonte Internazionale)

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