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Italia fuori dal Mondiale? Un disastro finanziario per la Fifa e la Figc

Italia fuori dal Mondiale

Questa sera a San Siro contro la Svezia la squadra di Ventura si gioca l’ultima possibilità per andare ai Mondiali di Russia 2018. L’Italia fuori dai Mondiali non conviene a nessuno.

In ballo, infatti, non c’è solo il blasone della nostra Nazionale, ma anche un danno economico non indifferente sia per il calcio italiano (addio sponsorizzazioni, merchandising, diritti tv, premi Fifa e gettito fiscale sulle scommesse), sia per le casse della Fifa. Continue Reading

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Perché oggi qualcuno dovrebbe investire nel calcio italiano?

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Perché qualcuno dovrebbe investire in una squadra di calcio? Ormai sorpassato il modello italiano che confidava nella visibilità mediatica, resta una sola risposta: “per fare soldi”. Ma ciò implica che le società siano gestite in modo economicamente sostenibile. Club che danno il buon esempio.

IL MODELLO DI BUSINESS NEL CALCIO

Il Parma è finalmente tornato a giocare, dopo due giornate in cui le sue partite erano state rinviate. Una buona notizia, che però non risolve la crisi finanziaria del club e che lascia inalterati i dubbi sulle sue prospettive future. Molte sono le domande poste in questi giorni. Come è stato possibile accumulare perdite così elevate senza che nessuno se ne accorgesse? Come è stato possibile che il club sia stato venduto due volte in poche settimane a investitori palesemente non in grado di risanare la società?
Forse conviene però partire da un’altra domanda: perché oggi qualcuno dovrebbe investire risorse nel Parma o in altro club italiano? Ci sono due possibili ragioni. La prima è fare soldi. È la ragione per la quale James Pallotta ha acquistato la Roma e Erik Thohir l’Inter. Non sappiamo se riusciranno oppure no, ma quella è la loro intenzione. Lo stesso discorso vale per gli azionisti del Manchester United, del Liverpool e di altre squadre inglesi.
Per fare profitti occorre avere un piano industriale che passa quasi inevitabilmente da uno stadio di proprietà, al fine di aumentare i ricavi, e da una gestione oculata del marchio e del merchandising. I club italiani su questo sono molto indietro rispetto a quelli inglesi e tedeschi e si affidano invece in larghissima parte ai ricavi generati dai diritti televisivi. Occorre anche ridurre i costi, specialmente quelli dei calciatori, e ciò significa comprare giocatori giovani o sottovalutati, talenti che giocano in campionati meno conosciuti. Presumibilmente il numero di stranieri crescerà, a scapito della performance della Nazionale.
L’altra ragione è la visibilità mediatica, con i vantaggi che essa porta. Questo era il modello che prevaleva in Italia in passato. Negli anni Settanta, però, gestire una società calcistica non era troppo complesso. Le società erano proprietarie dei cartellini dei giocatori e quindi pagavano stipendi relativamente bassi. Giampiero Boniperti gestiva tutti i contratti della Juventus in un pomeriggio a Villar Perosa. Mino Raiola, il re dei procuratori, non avrebbe avuto un futuro radioso in quel mondo. I calciatori dovevano aprire un’attività a fine carriera perché i soldi non sarebbero bastati per garantire un alto tenore di vita fino alla vecchiaia, tranne poche eccezioni. Certo, le società avevano anche ricavi molto più bassi dalle tv (anzi, dalla Rai, che era l’unico possibile acquirente dei diritti televisivi) e non c’erano gli sponsor (anzi, era proibito averne). La situazione si è rovesciata da allora. Le società hanno moltiplicato i ricavi grazie alla concorrenza tra le televisioni, ma anche i costi dei calciatori sono lievitati grazie al fatto che sono padroni di legarsi contrattualmente a chi vogliono. In questo nuovo contesto, il presidente “ricco scemo” non esiste più o, se esiste, poi lascia una situazione economica complicata dietro di sé.
Nei campionati americani di basket, baseball o football (Nba, Mlb, Nfl) regna indiscusso il primo modello, quello basato sui profitti. Il numero di squadre è chiuso, non ci sono retrocessioni e per avere l’ingresso di un nuovo club occorre che ci sia un nuovo mercato e un piano industriale credibile. In questa ottica avrebbe ragione Claudio Lotito, il presidente della Lazio: Carpi, Frosinone e Latina non potrebbero stare in serie A senza indebolirla economicamente. Questo modello ha vantaggi economici chiari, ma un evidente svantaggio: la mancanza di retrocessioni e promozioni toglie interesse a molte delle partite. Per fortuna non c’è alcun bisogno sradicare le nostre tradizioni. Nella Premier League gioca il piccolo Burnley senza che nessuno si lamenti. La ragione è che le squadre inglesi, per essere ammesse alle leghe professionistiche, devono avere stadi con certe caratteristiche, assicurare la sicurezza nello stadio e fare fronte in modo puntuale ai pagamenti. In altre parole, la gestione del club non può e non deve mettere in secondo piano l’aspetto economico rispetto a quello sportivo. Questo è quello che manca in molte società italiane: la capacità di gestire i club in modo economicamente sostenibile. I diritti tv e le (spesso fittizie) plusvalenze hanno finora impedito che i nodi arrivassero al pettine. La crisi del Parma ci mostra che questo problema non è più eludibile.

IL FUTURO DEL PARMA (E DELLA SERIE A)

Possiamo sperare in un futuro per il Parma e, più in generale, per il calcio italiano? I problemi sono enormi. Stadi brutti e poco accoglienti, spesso in balia del tifo organizzato, che non invogliano i tifosi a pagare il biglietto e riducono il valore del prodotto televisivo. Il merchandising penalizzato dal proliferare di magliette e gadget contraffatti. La mancanza di capacità manageriali applicate allo sport. Una Lega senza alcun potere di controllo e una Federazione indebolita dalle troppe gaffe del suo presidente, Carlo Tavecchio. Un’ipertrofica serie A con venti squadre. Ci sono tuttavia anche piccoli segnali di speranza. Fiorentina, Napoli e Torino negli anni passati sono fallite e hanno dovuto ripartire dalle categorie inferiori. Oggi sono arrivate agli ottavi di Europa League. Hanno dovuto cedere i loro migliori talenti a club più ricchi, ma grazie a ciò possono avere un futuro, magari con qualche soddisfazione. Il Parma retrocederà e i suoi tifosi passeranno anni amari, ma tutti sappiamo che nello sport le delusioni sono inevitabili. Solo che, per fortuna, si scordano in fretta.

(Fonte Fausto Panunzi – lavoce)

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Marco Bogarelli il padrone del calcio italiano

Marco Bogarelli

A Marco Bogarelli si possono fare molte critiche ma non contestargli la mancanza di ambizione: immagina stadi con 1.000 schermi connessi in wi-fi, per vedere statistiche e moviole, progetta di cancellare la Europa League per far giocare sei squadre italiane in Champions, ha detto alla Gazzetta dello Sport.

Bogarelli è il padrone del calcio italiano: presiede Infront Italy, 225 milioni di fatturato e 11,6 di utile, la società che si occupa di assistere la Lega Calcio nella vendita dei diritti tv ma anche di gestire l’immagine dei principali grandi club (l’ultimo accordo con l’Inter dell’indonesiano Erik Thohir che da Infront avrà 20 milioni all’anno garantiti) e delle grandi manifestazioni di sci, pallavolo, equitazione.

Braccio italiano della multinazionale Infront Sports & Media, presieduta da Philippe Blatter (nipote del Sepp della Federazione internazionale del calcio, la Fifa), la Infront Italy di Bogarelli ha un potere simile a quello dei grandi agenti televisivi, il lato imprenditoriale dello spettacolo è di sua competenza. A giugno ha chiuso un accordo molto discusso che garantisce alla Lega di Serie A 945 milioni di euro per il 2015 e il 2016 spartendo i diritti di trasmissione tra Sky e Mediaset. Il gruppo della famiglia Berlusconi esce sempre bene dai negoziati in cui è coinvolta Infront, i critici sostengono che questo dipenda dal passato di Bogarelli nel gruppo Fininvest e dal suo legame con Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan ora ridimensionato da Barbara Berlusconi.

Milanese, laureato alla Bocconi, 58 anni, Bogarelli è diventato la porta da cui bisogna passare per accedere ai tesori del calcio italiano. Lo sa bene il gruppo editoriale del Sole 24 Ore, controllato dalla Confindustria, che questa estate ha sviluppato un progetto ambizioso: cavalcare la popolarità della Nazionale di calcio per la promozione del made in Italy. Abbinare le missioni imprenditoriali nei mercati emergenti, dove l’Italia ha fascino, a partite degli Azzurri. La Nazionale ha 13 sponsor, dalla Tim alle Generali a Nutella. Molti sono già clienti della concessionaria di pubblicità del Sole 24 Ore che, però, ha pensato bene di affiancarsi a Infront nella gara per la gestione del marchio degli Azzurri: ovviamente ha vinto, sfilandolo alla Rcs Sport, società che attraversa un momento difficile. Infront e il Sole 24 Ore si spartiranno i ricavi al 50 per cento, dovrebbero raccogliere circa 70 milioni l’anno di cui 57 garantiti alla Figc di Carlo Tavecchio. Infront ha fatto da apripista, ora il lavoro vero tocca al Gruppo Sole24 Ore. Ma senza Bogarelli è difficile fare affari.

Molto è stato scritto sui legami di Bogarelli con il mondo Fininvest, poco sulle sue altre relazioni d’affari. Dalle visure camerali emerge, per esempio, un filo che arriva alla Sopaf, società finanziaria milanese il cui crac ha determinato l’arresto dei fratelli Magnoni che la guidavano. Dalla Sopaf arriva uno dei partner di Bogarelli in Infront, Giuseppe Ciocchetti, manager che della finanziaria dei Magnoni è stato al vertice per dieci anni. Bogarelli però ha un legame più diretto con i Magnoni. È azionista con il 15,1 per cento di una società che si chiama Sfera Investimenti, un altro degli uomini Infront, l’ex direttore di Milan Channel Andrea Locatelli ha il 2,3 per cento, e c’è anche Ciocchetti, con lo 0,6. Ma chi comanda con il 73,5 per cento è l’ex conduttore di Mtv Andrea Pezzi, diventato imprenditore dalle alterne fortune. A Sfera, zero ricavi nel 2013 e una perdita di 5mila euro, fa capo l’83 per cento della Ovo Italia, un altro 9,6 è proprio della Sopaf.

Ovo è una società strana: una video-enciclopedia lanciata nel 2006 nell’orbita del mondo Fininvest, guardata con simpatia da Macello Dell’Utri e ispirata all’Ontopsicologia dell’ex frate Antonio Meneghetti, come raccontò nel 2008 Peter Gomez sull’Espresso. I fratelli Ruggero, Aldo e Giorgio Magnoni sono stati arrestati anche per i finanziamenti alla Ovo che hanno contribuito al dissesto della Sopaf: somme per oltre 5 milioni di euro “prive di qualsivoglia giustificazione economica e funzionali solo a generare illeciti arricchimenti a favore di terzi”, si legge nella richiesta di custodia cautelare. Il 12 giugno 2013 il responsabile della finanza in Sopaf, Daniele Muneroni, mette a verbale: “Per quel che concerne Ovo posso affermare che l’investimento è stato curato da Luca Magnoni che, se non sbaglio, era amico di Andrea Pezzi, amministratore della società. Anche in questo caso la Sopaf ha continuato a finanziarla fino al 2011. Personalmente pensavo che la Ovo non fosse una società operante in un settore di business particolarmente profittevole né che fosse sinergica con altre società del gruppo e che l’imprenditore Andrea Pezzi non avesse esperienza nel settore dell’imprenditoria in quanto ex DJ”.

Non è l’unico investimento interessante di Bogarelli. Tra le sue altre partecipazioni dirette c’è la PF Real Estate (fatturato di 243mila euro e perdita di 11mila nel 2013) di cui ha il 27 per cento. A dispetto del nome, non è una società immobiliare ma si occupa di commercio di energia. Anche qui ci sono Ciocchetti e Locatelli nel capitale, col 9 e il 27 per cento. Ma il socio che conta è la International Global Trading. L’energia è l’ultima passione imprenditoriale di Francesco “Franco” Dal Cin, che della Pf Real Estate è l’amministratore. Classe 1943, Dal Cin è un nome storico del calcio: è stato il patron prima della Reggiana e poi del Venezia Calcio, ha subito una squalifica sportiva di cinque anni per la contestata combine (nella quale ha sempre negato di aver avuto alcun ruolo, aveva anche già ceduto la squadra) con il Genoa di Enrico Preziosi nel 2005. Nello stabilimento di Preziosi venne sequestrata una valigetta con 250 mila euro. Nel 2011 Dal Cin è stato assolto, le intercettazioni sono state giudicate inutilizzabili. Negli schemi del calcio italico, Dal Cin era parte del fronte anti-Juventus di Luciano Moggi al quale, a grandi linee, anche Bogarelli (di area Milan) si può iscrivere.

La International Global Trading è controllata dai due figli di Dal Cin, Michele (ex dirigente del Venezia, squalificato pure lui all’epoca) e Mara, col 50 per cento a testa. Molto più vicina ai business abituali di Bogarelli è un’altra delle sue partecipate, la Deruta20 (in liquidazione, via De Ruta è l’indirizzo della Infront a Milano): nel 2013 ha dovuto duellare con gli abitanti della periferia milanese per costruire con la Deruta il tendone di X-Factor, la trasmissione di Sky seguita da Infront. “Ma cos’hanno da protestare? Semmai voglio l’Ambrogino d’oro a dicembre”, diceva al Corriere della Sera Bogarelli nel 2013. Nel 2014 nella lista dei candidati alla massima onorificenza del Comune di Milano sono entrati Tavecchio, poi scartato, e Adriano Galliani, approvato. Per Bogarelli, quindi, forse è solo questione di tempo.

(Da Il Fatto Quotidiano del 26 Novembre 2014)

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Quella sporca decina: Habemus Tavecchio

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Carlo Tavecchio, forte di oltre il 63% dei consensi, è il nuovo presidente della Federazione Italia Giuoco Calcio. Esultate sportivi italiani, Habemus Tavecchio. Ma chi sono gli artefici di questa vittoria, con chi dobbiamo prendercela? Sono dieci gli sponsor di Tavecchio, tutti pregiudicati e inquisiti, con Lotito grande star e cerimoniere. Che meraviglia, sarà una Presidenza all’insegna dell’onestà e del rinnovamento, si si.

Non è il presidente ideale per il calcio italiano. E non nego che le lacune siano evidenti, non parla bene ovvio, ma è l’uomo di questo momento, il migliore possibile” così lo ha annunciato Carraro. Con questa cabina di regia il calcio italiano è in una botte di merda, ops scusate di ferro:

  1. Luciano Moggi, grande protagonista di Calciopoli, è stato condannato a 5 anni (giustizia sportiva) e successivamente radiato dal calcio.
  2. Pasquale Foti (Reggina), un anno e 6 mesi di squalifica per Calciopoli.
  3. Enrico Preziosi (Genoa), per il reato di bancarotta fraudolenta del Como ha patteggiato una pena di 23 mesi, per la frode sportiva nella partita Genoa e Venezia è stato condannato a 4 mesi di reclusione, per frode fiscale è stato condannato in primo grado a 1 anno e 6 mesi (in tutti e tre i casi, giustizia ordinaria).
  4. Adriano Galliani (Milan), cinque mesi di squalifica per Calciopoli.
  5. Claudio Lotito (Lazio), per brevità, ricordiamo solo due dei procedimenti giudiziari a carico del presidente della Lazio (ad oggi, condannato in via definitiva solo dalla giustizia sportiva). Quattro mesi di squalifica per Calciopoli. Condannato in appello a 18 mesi per aggiotaggio, è stato poi prescritto in Cassazione.
  6. Maurizio Zamparini (Palermo), imputato per la costruzione di un centro commerciale a Benevento, queste le richieste dell’accusa: 2 anni e 6 mesi per truffa, 1 anno per falso; 2 anni e 8 mesi per istigazione alla corruzione e alcune assoluzioni per altri reati. Ha subito un’inibizione sportiva di 6 mesi per plusvalenze fittizie, annullata poi dalla Corte di Giustizia federale.
  7. Gianluca Paparesta (Bari), ha patteggiato una squalifica di 2 mesi nel processo Calciopoli bis.
  8. Mario Macalli (presidente Lega Pro), nel 2013 è indagato per il fallimento del Pergocrema, dal 2014 è indagato anche per abuso d’ufficio.
  9. Antonio Matarrese (membro onorario Figc), ha collezionato un numero impressionante di poltrone tra Parlamento e calcio italiano (è stato pure presidente dell’Unione Razze Equine). Nel luglio del 2000 è stato condannato dal Tribunale di Roma a sei mesi per abuso d’ufficio, per l’iscrizione irregolare del Torino al campionato del 1993.
  10. Franco Carraro (membro onorario Figc), l’uomo ovunque del calcio, della politica, delle banche, dei salotti italiani: si è meritato il soprannome di “Il poltronissimo”. Coinvolto in Calciopoli quando era presidente della Figc, è stato prosciolto dall’accusa di frode a livello penale, mentre il processo sportivo si è chiuso con una multa di 80 mila euro.

Il calcio come il Paese sta rotolando giù nell’abisso, ma di questo non frega niente a nessuno. Tavecchio viene comodo per continuare a fare gli interessi dei singoli club, della categoria, misurando tutto soltanto sul potere e sui soldi che garantiscono i diritti tv. Era l’occasione giusta per cambiare verso (citazione Renziana), ma le lobby sono più potenti di qualsiasi cambiamento.

P.S. Mondo alla Rovescia si permette di consigliare l’allenatore della Nazionale. Un nome solo Oronzo Canà, il ct perfetto. 

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Coni, il lato oscuro dello sport italiano

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Per scoprire uno dei pianeti oscuri della galassia dello sport italiano, ci sono volute le imbarazzanti dichiarazioni di un ultrasettantenne. La Lega nazionale dilettanti guidata da Carlo Tavecchio ha gestito lontano dai riflettori un patrimonio impressionante: un giro complessivo da 1,5 miliardi di euro tra tesseramenti e iscrizioni, 1,3 milioni di calciatori, 15 mila società e 70 mila squadre. È la categoria meno “nobile” e più ricca della Figc. Una goccia, nell’oceano delle federazioni. Le federsport sono il cuore del Coni. Il quale, a sua volta, è un enorme scrigno. Alcuni lo definiscono, il “vero Ministero dello Sport”. Il Comitato olimpico presieduto da Giovanni Malagò ogni anno riceve dal Tesoro una cifra superiore ai 400 milioni di euro.

ll bancomat pubblico non conosce crisi: nel 2014 sborserà 415 milioni, nel 2013 erano 420, due anni fa solo 406. Dove finisce il fiume di denaro? In buona parte, tra le federazioni sportive: in tutto sono 45; dal basket al tennis, dal nuoto all’atletica leggera, dalla danza sportiva allo squash. Si prendono la fetta più sostanziosa della torta. Nel 2014 riceveranno 242 milioni di euro (in lieve calo rispetto al 2013).

La parte del leone la fa il calcio: 68 milioni vanno alla Figc e le sue leghe, dalla A di Beretta alla D di Tavecchio. Altri 157 sono divisi tra le restanti 24 federazioni nazionali. Circa 3 milioni spettano ai gruppi sportivi militari. Tra mandati eterni, bilanci fantasma e dirigenti sotto inchiesta, di questa valanga di soldi si sa poco. Può essere utile leggere le parole dei revisori dei conti che chiudono l’ultimo bilancio del Coni: un accorato appello alle federazioni sportive “a uno scrupoloso e puntuale rispetto delle norme volte al contenimento delle spese”. Gli esempi di cattiva gestione potrebbero riempire decine di volumi. Nelle prossime righe ne raccontiamo solo una piccola parte.

Fit – Tennis. Per la Federtennis i bilanci sono un optional: l’ultimo pubblicato è relativo al bienno 2009-2011. Nel 2013 il Coni ha versato alla Fit 5,2 milioni di euro. Un lieve calo rispetto al 2013, dopo che negli ultimi 10 anni i contributi pubblici sono raddoppiati. Tra le tre società partecipate della federazione c’è Sportcast, editrice della rete satellitare SuperTennis tv. Riceve dalla Fit una media di 4 milioni l’anno. Fino a qualche mese fa al comando di Sportcast c’era Carlo Ignazio Fantola. Oltre che ex candidato del Pdl a Cagliari, è lo zio del presidente della Fit, Angelo Binaghi, attualmente al quarto mandato. Il “padrone” della Fit ha ostacolato la candidatura di Giovanni Malagò alla guida del Coni. Ora tra i due è tornato il sereno, dopo che Binaghi ha sostituito Fantola con Antonello Soro, che dello stesso Malagò era capo di gabinetto. Queste e molte altre “anomalie” nella gestione della Fit e del suo fiore all’occhiello – gli Internazionali di tennis del Foro Italico – sono oggetto di un’interrogazione parlamentare presentata il mese scorso al premier Matteo Renzi dal M5S.

Fipm – Pentathlon. La federazione di Pentathlon moderno l’anno scorso ha cambiato presidente per la prima volta dal 1996. È dovuta intervenire l’Alta Corte di Giustizia, annullando le elezioni che avevano confermato per il diciassettesimo anno consecutivo il padrone storico, Lucio Felicita. Il motivo: non era stata garantita la segretezza del voto. Nel 2013, La Fipm ha ricevuto dal Coni poco più di 2 milioni di euro, cifra un po’ meno brillante di quelle degli anni d’oro di Felicita. Contributi enormi giustificati anche dal numero elevato di società sportive iscritte. Praticamente una ogni due tesserati (e ognuna con diritto di voto per l’elezione della presidenza). Un ex atleta azzurro, Gianni Caldarone, provò a denunciare: “Esistono 140 società per 300 tesserati. Decine delle quali sono di Pesaro, la città di Felicita”. Sempre, a Pesaro, guarda caso, l’ex presidente aveva fatto approvare la costruzione di un “centro di pentathlon moderno”. Costo del progetto: quasi 7 milioni di euro. Della Fipm, cioè del Coni, cioè dello Stato.

Fihp – Hockey e pattini. In Italia i pattini in linea sono sinonimo di Sabatino Aracu. La “sua” Fihp l’anno scorso ha intascato 2,6 milioni di euro dal Coni. Lui la guida senza interruzioni dalla bellezza di 22 anni (più di Aracu ha fatto solo Matteo Pellicone, ex presidente della federazione delle arti marziali scomparso l’anno scorso a 78 anni. È stato in carica, fino alla fine, dal 1981). A tempo perso, Aracu ha fatto anche politica: quattro legislature in Parlamento – dal 1996 al 2008 – tra Forza Italia e Pdl. Nel 2013 è stato condannato in primo grado a 4 anni per la “sanitopoli” abruzzese. Secondo le regole delle federazioni sportive dovrebbe lasciare la presidenza, ma lui va avanti imperterrito. Perché, come ha detto a Report, ritiene il codice etico “abbastanza incostituzionale”.

Fidal – Atletica leggera. La federazione dell’atletica leggera è la regina dei contributi pubblici, seconda solo al nuoto. Nel 2013 ha incassato 9,2 milioni di euro. Fino all’anno scorso, oltre 2 milioni (un euro su quattro) servivano a pagare gli stipendi ai 71 dipendenti della federazione. Dopo le attenzioni giornalistiche, l’ultimo bilancio ha provato a cambiare passo: “Rispetto al 2012 abbiamo incrementato del 22 per cento – e nella misura di circa 900mila euro – le risorse destinate all’attività tecnica. Il costo degli organi e delle commissioni federali, di cui fa parte anche il consiglio, è diminuito invece del 41 per cento”. Meglio tardi che mai.

(Fonte: Il Fatto Quotidiano del 8 Agosto 2014)

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