Emmanuel ci ha dato una lezione di vita

Emmanuel è un ragazzo nero, che viveva in un posto sfigato dove anche per andare a scuola si rischia di essere rapito per essere arruolato alla guerra islamica, si può rischiare di morire di malattia, di morte violenta, magari sgozzato o affettato da un machete.
Bè lui è coraggioso , sopravvive, riesce a studiare, e malgrado tutto anche ad innamorarsi della vita e di una donna, con la quale decide di fare famiglia, come la faresti tu, come la intendi anche tu.
Poi nasce una bambina, di quelle con la pelle nera, che hanno le treccine e gli occhi grandi di gioia, la mandano a scuola e la battezzano, perché malgrado tutto, la fame, la sete, la miseria, le malattie, la guerra ed il terrorismo…malgrado tutto, hanno una fede, cattolica in un paese islamico.
E proprio quella fede, quella voglia di normalità in un paese impossibile che gli costerà cara, carissima. E’ domenica e la bambina è in chiesa con i nonni materni,…tutto bene…tutto, ma prima che il prete possa aver dato la comunione anche a lei, Boko Haram aveva piazzato una bomba e in un attimo un forte boato cancella tutto, quelle treccine, quell’amora di bimba, quella voglia di sopravvivere in quel paese.
Senza il frutto del loro amore la coppia si sente vuota ma questi sono ragazzi cresciuti nel dolore e nella sofferenza, tra i morsi della fame le mosche e le punture delle zanzare.
Emmanuel decide di tentare l’impossibile, con i risparmi di una vita, quel poco che avevano messo da parte acquistano da Nuzzo, un Italiano scorbuto e violento il così detto viaggio della speranza per raggiungere l’Italia, li si regalano soldi in televisione, ci sono le chiese che non esplodono, il papà, c’è cibo e medicine del resto lei è incinta e vorrebbe crescere il loro unico figlio in un paese dove almeno per ora nessuno muore mentre ascolta la messa.
Ma il viaggio è un incubo, il mare quelle notti era infuriato, le onde, le botte, la benzina che invade i loro corpi, la sete, la fame, la paura, la morte che ti segue, quella tremenda paura di morire…
Lei è forte ma non così forte da sconfiggere l’orrore ed il buio e cosi abortisce nel bel mezzo del mediterraneo, da sola, come un cane.
Lui è un grande uomo e non si arrende, cerca ancora una rivalsa nei confronti di quel destino così bastardo che si accanisce con i più deboli, lui però è forte e ha un amore immenso per la sua donna e così sbarcati in Sicilia, la prende in braccio, la bacia, l’accudisce con il suo calore e la porta a Fermo, dove vengono accolti da un prete che li aiuta…finalmente un po’ di luce, di pace, di libertà, questo diceva lui, è un paese civile, qui c’è la pace…si respira e si passeggia per le strade senza paura di morire.
Il resto della storia la conosci ed è su tutti i giornali, provo vergogna, perché questa persona è morta per mano mia, tua, nostra di quel vigliacco che lo ha ucciso… Non facciamo abbastanza contro l’odio razziale e abbiamo impedito al razzismo di prendere il sopravvento, e con la ruspa, la scusa dei room e delle donne violentate dall’uomo nero, con la scusa della paura che viene alimentata dal potere dell’ignoranza, ci sono ancora persone che incitano l’odio razziale e condividono post su i social che andrebbero banditi e denunciati alle forze dell’ordine”. Giuseppe Tiralongo, segnalazione su Google+

Emmanuel Chidi Namdi

Condividi:

I dinosauri della politica africana

politici-africani

La cerimonia d’investitura, giovedì scorso, di Yoweni Museveni nel suo quinto mandato da presidente dell’Uganda ha offerto un’immagine chiarissima di come lo scenario politico africano sia ancora fortemente condizionato dai ‘Cesari africani’, che mantengono il potere a vita, grazie al controllo di ingenti risorse finanziarie che si traducono quasi esclusivamente in spesa per il controllo delle Forze armate. Continue Reading

Condividi:
0

Diritti umani, Amnesty International: Un 2014 devastante

diritti umani

Per Amnesty International, la più grande organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, il 2014 sarà ricordato come un anno catastrofico per milioni di persone intrappolate nella violenza di stati e gruppi armati. Nel consueto rapporto annuale della Ong è stata analizzata la situazione politico umanitaria in 160 Paesi. La comunità internazionale è rimasta assente e incapace di proteggere i diritti e la sicurezza dei civili. I governi internazionali hanno ripetutamente dimostrato che alle parole non riescono a far seguire i fatti. In Italia a preoccupare maggiormente Amnesty International, oltre ai diritti di rifugiati e migranti, restano l’assenza del reato di tortura nella legislazione nazionale, la discriminazione nei confronti delle comunità rom, la situazione nelle carceri e nei centri di detenzione per migranti irregolari e il mancato accertamento delle responsabilità per le morti in custodia. A parlare è Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

“Il diritto internazionale umanitario, ovvero la legislazione che regolamenta la condotta nelle operazioni belliche, non potrebbe essere più chiaro. Gli attacchi non devono mai essere diretti contro i civili. Il principio di distinzione tra civili e combattenti è una salvaguardia fondamentale per le persone travolte dagli orrori della guerra. E tuttavia, più e più volte, nei conflitti sono stati proprio i civili a essere maggiormente colpiti. Nell’anno della ricorrenza del 20° anniversario del genocidio ruandese, i politici hanno ripetutamente calpestato le regole che proteggono i civili o hanno abbassato lo sguardo di fronte alle fatali violazioni di queste regole da parte di altri. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è intervenuto ad affrontare la crisi siriana negli anni precedenti, quando ancora sarebbe stato possibile salvare innumerevoli vite umane. Tale fallimento è proseguito anche nel 2014.

Negli ultimi quattro anni, sono morte 200.000 persone, la stragrande maggioranza civili, principalmente in attacchi compiuti dalle forze governative. Circa quattro milioni di persone in fuga dalla Siria hanno trovato rifugio in altri paesi. Più di 7,6 milioni sono sfollate in territorio siriano. La crisi in Siria è intrecciata con quella del vicino Iraq.

Il gruppo armato che si autodefinisce Stato islamico (Islamic State – Is, noto in precedenza come Isis), che in Siria si è reso responsabile di crimini di guerra, nel nord dell’Iraq ha compiuto rapimenti, uccisioni sommarie assimilabili a esecuzione e una pulizia etnica di proporzioni enormi. Parallelamente, le milizie sciite irachene hanno rapito e ucciso decine di civili sunniti, con il tacito sostegno del governo iracheno. L’assalto condotto a luglio su Gaza dalle forze israeliane è costato la vita a 2000 palestinesi. E ancora una volta, la stragrande maggioranza di questi, almeno 1500, erano civili. Come ha dimostrato Amnesty International in una dettagliata analisi, la linea adottata da Israele si è distinta per la sua spietata indifferenza e ha implicato crimini di guerra. Anche Hamas ha compiuto crimini di guerra, sparando indiscriminatamente razzi verso Israele e causando sei morti.

In Nigeria, il conflitto in corso nel nord del paese tra le forze governative e il gruppo armato Boko haram è finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo a causa del rapimento, da parte di Boko haram, di 276 studentesse nella città di Chibok, uno degli innumerevoli crimini commessi dal gruppo. Quasi inosservati sono passati gli orrendi crimini commessi dalle forze di sicurezza nigeriane, e da altri che hanno agito per conto loro, contro persone ritenute appartenere o sostenere Boko haram; alcuni di questi crimini, rivelati da Amnesty International ad agosto, erano stati ripresi in un video che mostrava le vittime assassinate e gettate in una fossa comune.

Nella Repubblica Centrafricana, oltre 5000 persone sono morte a causa della violenza settaria, nonostante la presenza sul campo dei contingenti internazionali. Tortura, stupri e uccisioni di massa hanno a stento raggiunto le prime pagine dei giornali a livello mondiale. Ancora una volta, la maggior parte delle vittime erano civili. E in Sud Sudan, lo stato più recente del mondo, decine di migliaia di civili sono stati uccisi e due milioni sono fuggiti dalle loro case, nel contesto del conflitto armato tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Entrambe le parti hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Questo breve elenco non rappresenta che una parte del problema. Qualcuno potrebbe sostenere che di fronte a tutto questo non è possibile fare nulla, che da sempre la guerra viene fatta alle spese della popolazione civile e che niente potrà mai cambiare. Ma si sbaglia. È essenziale affrontare la questione delle violazioni contro i civili, oltre che assicurarne alla giustizia i responsabili. C’è una misura evidente e concreta che attende solo di essere adottata: Amnesty International ha accolto con favore la proposta, attualmente appoggiata da circa 40 governi, di dotare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di un codice di condotta che preveda l’astensione volontaria dal ricorso al veto in situazioni di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, per non bloccare l’azione del Consiglio di sicurezza. Sarebbe un primo passo importante e potrebbe già salvare molte vite.

I fallimenti tuttavia non hanno riguardato soltanto l’incapacità d’impedire le atrocità di massa. È stata anche negata l’assistenza diretta ai milioni di persone in fuga dalla violenza che inghiottiva villaggi e città. Quei governi, tanto pronti a denunciare a gran voce i fallimenti degli altri governi, si sono poi dimostrati essi stessi riluttanti a farsi avanti e fornire gli aiuti essenziali di cui avevano bisogno i rifugiati, sia in termini di aiuti economici, sia di opportunità di reinsediamento. A fine anno, i rifugiati della Siria reinsediati erano meno del due per cento, una cifra che dovrà almeno triplicarsi nel 2015. Nel frattempo, un numero enorme di rifugiati e migranti continua a perdere la vita nel Mar Mediterraneo, nel disperato tentativo di raggiungere le coste europee. La mancanza di supporto da parte di alcuni stati membri dell’Eu nelle operazioni di ricerca e soccorso ha contribuito allo sconvolgente tributo in termini di vite umane. Una misura che potrebbe essere adottata per proteggere i civili nei conflitti è limitare ulteriormente l’impiego di armi esplosive nelle aree popolate.

Ciò avrebbe permesso di salvare molte vite in Ucraina, dove sia i separatisti appoggiati dalla Russia (che seppur in maniera poco convincente ha più volte negato un suo coinvolgimento) sia le forze pro-Kiev hanno colpito quartieri abitati da civili. L’esistenza di regole sulla protezione dei civili è importante in quanto implica un concreto accertamento delle responsabilità e l’ottenimento della giustizia, laddove tali regole siano violate. In questa prospettiva, Amnesty International ha accolto con favore la decisione assunta dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, a Ginevra, di avviare un’inchiesta internazionale in merito alle accuse di violazioni dei diritti umani e di abusi commessi durante il conflitto in Sri Lanka, dove, negli ultimi mesi di combattimenti nel 2009, furono uccise decine di migliaia di civili. Amnesty International si è molto impegnata negli ultimi cinque anni affinché fosse istituita quest’inchiesta. Senza un tale accertamento delle responsabilità non sarà possibile compiere alcun passo avanti. Ma anche altri aspetti inerenti la difesa dei diritti umani devono essere migliorati.

In Messico, la sparizione forzata di 43 studenti, avvenuta a settembre, è andata tragicamente ad aggiungersi alle vicende di oltre 22.000 persone scomparse finora o delle quali si sono perse le tracce dal 2006; si ritiene che la maggior parte di queste siano state rapite da bande criminali ma in molti casi le informazioni raccolte lasciano intendere che siano state sottoposte a sparizione forzata per mano di poliziotti o militari, i quali avrebbero agito in alcuni casi in collusione proprio con le bande criminali. Le poche vittime i cui resti sono stati ritrovati mostravano segni di tortura e altro maltrattamento. Le autorità federali e statali non hanno provveduto a condurre indagini su questi crimini per stabilire l’eventuale coinvolgimento di agenti dello stato e garantire un rimedio legale efficace per le vittime, compresi i loro familiari. Oltre a non aver dato una risposta, il governo ha tentato di nascondere la crisi dei diritti umani, in un contesto di elevati livelli d’impunità, corruzione e progressiva militarizzazione.

Nel 2014, i governi di molte parti del mondo hanno continuato a reprimere le Ngo e la società civile, una sorta di perverso riconoscimento dell’importanza del loro ruolo. La Russia ha accresciuto la sua stretta micidiale con l’introduzione di una spaventosa “legge sugli agenti stranieri”, un linguaggio degno della guerra fredda. In Egitto, le Ngo sono state al centro di un grave giro di vite, con l’utilizzo della legge sulle associazioni risalante all’era Mubarak, per mandare il chiaro messaggio che il governo non intendeva tollerare alcun tipo di dissenso. Organizzazioni per i diritti umani di rilievo hanno dovuto ritirarsi dall’Esame periodico universale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Egitto, per timore di rappresaglie nei loro confronti. Come già accaduto in varie occasioni in precedenza, i manifestanti hanno dimostrato il loro coraggio malgrado le minacce e la violenza contro di loro. A Hong Kong, a decine di migliaia hanno sfidato le minacce delle autorità e affrontato un uso eccessivo e arbitrario della forza da parte della polizia, in quello che è diventato il “movimento degli ombrelli”, esercitando i loro diritti fondamentali alle libertà d’espressione e di riunione.

Le organizzazioni per i diritti umani sono talvolta accusate di essere troppo ambiziose nei loro sogni di dar vita a un cambiamento. Dobbiamo comunque ricordare che i traguardi straordinari sono raggiungibili. Il 24 dicembre, è entrato in vigore il Trattato internazionale sul commercio di armi, dopo che tre mesi prima era stata superata la soglia delle 50 ratifiche. Amnesty International, tra gli altri, si è impegnata a favore del trattato per 20 anni. Più volte ci era stato detto che non saremmo mai arrivati a ottenerlo. Ebbene, il trattato adesso esiste e servirà a proibire la vendita di armi a quanti potrebbero utilizzarle per commettere atrocità. Potrà pertanto svolgere un ruolo decisivo negli anni a venire, quando la questione della sua implementazione sarà cruciale.

Nel 2014 ricorrevano anche i 30 anni dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, un’altra convenzione per la quale Amnesty International si è battuta per molti anni e una delle motivazioni per le quali le fu conferito il premio Nobel per la pace nel 1977. Questo anniversario è, sotto un certo punto di vista, un momento da celebrare ma è anche l’occasione per sottolineare come la tortura sia ancora dilagante in molte parti del mondo, motivo per cui Amnesty International, proprio quest’anno, ha lanciato la sua campagna globale “Stop alla tortura”. Questo messaggio conto la tortura ha avuto una particolare risonanza in seguito alla pubblicazione a dicembre di un rapporto del senato statunitense, che ha dimostrato la facilità con cui era stato tollerato l’uso della tortura negli anni successivi agli attacchi agli Usa dell’11 settembre 2001. È sconcertante come alcuni dei responsabili per quegli atti criminali di tortura sembrassero ancora convinti di non avere alcun motivo di cui vergognarsi. Da Washington a Damasco, da Abuja a Colombo, i leader di governo hanno giustificato orrende violazioni dei diritti umani sostenendo che era necessario commetterle in nome della sicurezza. In realtà, è semmai vero il contrario. Questo tipo di violazioni sono uno dei motivi principali per i quali oggi viviamo in un mondo tanto pericoloso. Non può esserci sicurezza senza rispetto dei diritti umani. Abbiamo ripetutamente visto che, anche nei momenti più bui per i diritti umani, e forse in special modo in tempi come questi, è possibile dar vita a un cambiamento straordinario. Dobbiamo solo sperare che, quando negli anni a venire guarderemo indietro al 2014, ciò che abbiamo vissuto in quest’anno ci sembrerà il fondo, l’ultimo punto più basso da cui siamo risaliti e abbiamo creato un futuro migliore”.

Condividi:
0

La classifica dei paesi anticristiani, nel 2014 uccisi 4.344 cristiani

World-Watch-List-2015

Cresce la persecuzione dei cristiani nel mondo, persino in posti dove non era così marcata nel recente passato, come in alcune regioni dell’Asia, dell’America Latina e specialmente dell’Africa Subsahariana. Si conferma anche quest’anno l’estremismo islamico come fonte principale (non l’unica) di tale persecuzione, ma assume nuove e inattese forme, come i califfati dell’IS in Siria e Iraq e di Boko Haram in Nigeria. Entrano nella top 10 altri 3 stati africani, Sudan, Eritrea e Nigeria, segno che l’Africa è sempre uno scenario centrale della persecuzione anticristiana.

La situazione dei credenti in Cristo è sempre più difficile in diversi contesti: Iraq, Somalia, India, Cina, Iran, Pakistan, Eritrea e Vietnam. Resta drammatica ma stabile in Corea del Nord e Arabia Saudita. Nel 2014, i paesi dove i cristiani hanno sperimentato maggiore violenza sono stati in questo ordine: Nigeria, Iraq, Siria, Repubblica Centrafricana, Sudan, Pakistan, Egitto, Myanmar, Messico e Kenya. Secondo le stime, 4.344 cristiani sono stati uccisi per ragioni strettamente collegate alla loro fede, mentre almeno 1.062 chiese sono state attaccate per la stessa ragione.

Secondo la lista World Watch List 2015, redatta da Open Doors, organizzazione che da anni monitora questa specifica intolleranza a livello mondiale, dei 50 paesi in graduatoria, 40 (ossia l’80%) sono in prevalenza o in totalità islamici. E dei primi 14, quelli con un voto sopra 75/100 che indica “estremo clima di persecuzione”, gli stati di religione maomettana sono 13. Gli islamici, insomma, odiano innanzitutto gli ebrei, ma disprezzano e perseguitano anche i cristiani.

I livelli assegnati sono basati su vari aspetti della libertà religiosa, nella fattispecie identificano principalmente il grado di libertà dei cristiani nel vivere apertamente la loro fede in 5 sfere della loro vita quotidiana: nel privato, in famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella chiesa che frequentano e nella vita pubblica del paese (nazione) in cui vivono, a cui si aggiunge una sesta area che serve a misurare l’eventuale grado di violenze che subiscono.

  1. North Korea: 92/100
  2. Somalia: 90/100
  3. Iraq: 86/100
  4. Syria: 83/100
  5. Afghanistan: 81/100
  6. Sudan: 80/100
  7. Iran: 80/100
  8. Pakistan: 79/100
  9. Eritrea: 79/100
  10. Nigeria: 78/100
  11. Maldives: 78/100
  12. Arabia Saudita: 77/100
  13. Libya: 76/100
  14. Yemen: 76/100
  15. Uzbekistan: 69/100
  16. Vietnam: 68/100
  17. Repubblica Centro Africana: 67/100
  18. Qatar: 64/100
  19. Kenya: 63/100
  20. Turkmenistan: 63/100
  21. India: 62/100
  22. Etiopia: 61/100
  23. Egitto: 61/100
  24. Djibouti: 60/100
  25. Myanmar: 60/100
  26. Palestina (Territori): 58/100
  27. Brunei: 58/100
  28. Laos: 58/100
  29. Cina: 57/100
  30. Giordania: 56/100
  31. Bhutan: 56/100
  32. Comore: 56/100
  33. Tanzania: 56/100
  34. Algeria: 55/100
  35. Colombia: 55/100
  36. Tunisia: 55/100
  37. Malesia: 55/100
  38. Messico: 55/100
  39. Oman: 55/100
  40. Mali: 52/100
  41. Turchia: 52/100
  42. Kazakhstan: 51/100
  43. Bangladesh: 51/100
  44. Sri Lanka: 51/100
  45. Tajikistan: 50/100
  46. Azerbaijan: 50/100
  47. Indonesia: 50/100
  48. Mauritania: 50/100
  49. Emirati Arabi Uniti: 49/100
  50. Kuwait: 49/100
Condividi: