La leggenda del vino o della birra “che fanno bene alla salute”

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Un bicchiere di vino o un boccale di birra al giorno toglie il medico di torno? Non esiste una quantità di alcol sicura per la salute dell’uomo, e nessuna dose è in grado di apportare benefici. Vino, birra e superalcolici sono i protagonisti della più massiccia disinformazione. Gli effetti benefici dell’alcol sono sostenuti solo dall’interesse di una lobby di produttori, politici e giornalisti. L’alcol uccide più del fumo, è la prima causa di morte tra i giovani, aumenta fino a 380 volte il rischio di incidenti d’auto, provoca il 10% dei ricoveri ospedalieri e ci costa ogni anno almeno quanto una finanziaria. Nel mondo, a causa dell’alcol, muore una persona ogni 10 secondi. La disinformazione uccide! Continue Reading

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La metà della birra se la beve lo Stato

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L’elevato valore della fiscalità sulla birra in Italia penalizza fortemente i 35 milioni di consumatori italiani, che quando acquistano una birra al supermercato versano al Fisco, tra accise e IVA, il 46% del suo prezzo di vendita. Una situazione insostenibile per il settore birrario nazionale, oltre 500 produttori, che contribuisce in maniera significativa alla creazione di ricchezza e occupazione per il Paese. Un settore che porta oggi complessivamente alle casse dello Stato italiano oltre 4 miliardi di euro all’anno (tra accise, IVA, tasse, contributi sociali, ecc.) e dà lavoro complessivamente a 136.000 persone, fra occupazione diretta, indiretta e indotto allargato.

Secondo una ricerca Doxa per AssoBirra soltanto il 27% degli italiani (3 su 10) sa che vengono applicate alle bevande alcoliche, mentre quasi nessuno sa di pagarle quando beve una birra (5%). Ben 9 italiani su 10, quando bevono una birra, non sanno di pagare le accise!

Sommando il valore delle accise a quello dell’IVA, l’Italia risulta uno dei Paesi europei con la più alta pressione fiscale sulla birra, in linea con Danimarca (IVA al 25%, accise a 36 euro per ettolitro) e Olanda (IVA al 21%, accise a 38 euro) e davanti a grandi Paesi produttori di birra come Germania, Polonia, Spagna, Belgio, Repubblica Ceca, Austria.

Dal 1 Gennaio 2015, data del nuovo aumento, le accise sulla birra in un anno sono aumentata del 30%. In questo modo per i produttori italiani è veramente difficile, se non impossibile, essere concorrenziali con il mercato estero: basti pensare che in Germania le accise sono 4 volte inferiori alle nostre e in Spagna 3 volte inferiori. Se la pressione fiscale in Italia si allineasse con questi valori il settore sarebbe in grado di creare 20 posti di lavoro al giorno, per un totale di 7000 in un anno. In questo contesto AssoBirra ha puntando su una soluzione provocatoria e al tempo stesso irriverente, la FiscAle,la prima birra che… paghi due volte”. La birra della rivolta fiscale:

FiscAle è un prodotto vero, che esiste e che può essere gustato”, spiega Alberto Frausin, presidente di Assobirra. “E’ la prima birra prodotta dalla nostra Associazione. E’ una “limited edition” e avrà un gusto ‘piacevolmente amarognolo’, perfetto per abbinamenti con piatti strutturati e difficili da digerire… come le accise! Inoltre abbiamo pensato ad un gadget speciale da affiancare a questa birra, un vero e proprio oggetto simbolo della campagna: una bottiglia tagliata a metà, che servirà a ricordare a tutti che metà della birra che comprano la beve il consumatore, mentre l’altra metà va al fisco… Insomma, abbiamo scelto un modo divertente per farlo, anche se stiamo parlando di una cosa assolutamente seria!”.

Con “Salva la Tua Birra” sono state raccolte, in poco più di 1 anno, oltre 115mila firme, un segnale concreto rivolto al Governo e al Parlamento affinché riduca le accise: “I produttori di birra si trovano oggi a confrontarsi con un mercato interno ‘piatto’, mentre le esportazioni e le aperture di microbirrifici, dopo anni, per la prima volta frenano”. Oggi, prosegue Frausin, “vogliamo far capire che, nonostante l’ultimo aumento, noi e i 35 milioni di italiani che amano la birra non vogliamo fermarci e ci batteremo per tutelare un prodotto che rappresenta un esempio di Made in Italy di successo e far ridurre questa tassa ingiusta e iniqua che danneggia tutta la filiera. La nuova campagna nasce al grido di #rivogliolamiabirra. E FiscAle vuole essere il simbolo di questa nostra battaglia”.


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Usa, i nativi fanno causa ai birrifici “Troppo alcol nelle riserve indiane”

Le tre contee di Pine Ridge, abitate dagli Oglala Lakota, Bennett, Jackson e Shannon, sono tra le più povere degli Stati Uniti e l’alcolismo è così diffuso che un neonato su quattro presenta la ‘sindrome alcolica fetale’. Per affrontare questa situazione gli anziani hanno deciso di portare in tribunale alcune tra le maggiori case produttrici di birra: “Non è possibile vendere 4,9 milioni di lattine di birra e fare finta di nulla”.

Per chiunque abbia familiarità con la storia dell’Ovest degli Stati uniti, il nome Pine Ridge evoca alcuni degli eventi più drammatici delle guerre dei bianchi contro i nativi americani, fino al massacro di Wounded Knee (29 dicembre 1890) che simbolicamente chiude la cosiddetta “Conquista del West”. Oggi la riserva di Pine Ridge, quasi 9 mila chilometri quadrati, incastonati nell’angolo sud-occidentale dello stato del Sud Dakota, è una porzione del territorio abitato dai Lakota, noti anche con il nome dispregiativo di Sioux, una delle più numerose e potenti nazioni indigene nordamericane.

Le tre contee della riserva, abitata dagli Oglala Lakota, Bennett, Jackson Shannon sono tra le più povere degli Stati Uniti e i tassi di disoccupazione tra i circa 28 mila abitanti della riserva sono compresi tra l’80 e l’85 per cento, con quasi metà della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. L’aspettativa di vita è a livelli afgani: 47 anni per gli uomini, 52 per le donne, il tasso di mortalità infantile è cinque volte più alto della media statunitense, così come il tasso di suiciditra gli adolescenti è quattro volte più alto. L’alcolismo è talmente diffuso che un neonato su quattro nella riserva nasce con una diagnosi di Sindrome alcolica fetale (Fas, in inglese) o di qualche altra malformazione legata all’abuso di alcol durante la gravidanza. E tutto questo nonostante l’alcol sia proibito nella riserva.

Per affrontare questa situazione terribile, gli anziani degli organi di autogoverno della riserva hanno deciso di fare causa ad alcune tra le maggiori case produttrici di birra degli Usa, tra cui laSab Miller, la Molson Coors, la MillerCoors e la Pabst Brewing company. «Faremo tutto quanto legalmente possibile per proteggere la salute e il futuro dei nostri bambini, come ogni genitore americano», ha detto il presidente del governo locale John Yellow Bird Steele, all’Associated Press, mentre il legale degli indigeni, Tom White, spiegava le ragioni della causa: «Non è possibile vendere 4,9 milioni di lattine di birra e fare finta di nulla come Ponzio Pilato».

Oltre alle case produttrici, davanti alla corte distrettuale del Nebraska, sono finiti anche i proprietari dei negozi di alcolici della cittadina di Whiteclay, a una ventina di chilometri dal territorio della riserva: poco più di dodici abitanti, Whiteclay ha quattro negozi di liquori e birra che nel 2010 hanno venduto quasi cinque milioni di lattine. La tesi dell’accusa è che le case produttrici di birra, così come i proprietari degli spacci di Whiteclay, sanno benissimo che l’alcol finisce di contrabbando nella riserva, dove alimenta il circolo vizioso di povertà, sottosviluppo e microcriminalità che da decenni affligge gli Oglala, il clan Lakota a cui appartenevano Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo. «Il traffico di alcol a Whiteclay è ben noto – ha scritto nella denuncia l’avvocato White – e documentato da inchieste giornalistiche, audizioni degli organi legislativi, film, attività delle forze dell’ordine e proteste pubbliche». Si tratta di una quantità di birra «incompatibile, e di molto, con qualsiasi ammontare che potrebbe essere venduto rispettando le leggi del Nebraska», scrive ancora White. Nella loro lotta contro l’abuso di alcol, gli Oglala non sono da soli. L’organizzazione “grassroot” Nebraskans for peace li sostiene nella battaglia legale, tanto che il presidente dell’organizzazione, Mark Vasina, ha partecipato alla conferenza stampa accanto all’avvocato White e al capo Yellow Bird Steele.

«Abbiamo deciso di ricorrere al tribunale dopo aver esaurito ogni altro mezzo per farci ascoltare», ha detto ancora Yellow Bird Steele, spiegando durante la conferenza stampa organizzata giovedì a Lincoln, Nebraska, che le misure finora adottate, per esempio la riduzione dell’orario di apertura degli spacci, non sono servite e nulla, come del resto le iniziative di protesta organizzate dentro e fuori il territorio della riserva.

Rimane il tribunale e il tentativo di far passare l’idea che anche per le fabbriche di birra valga quel tipo di responsabilità indiretta rispetto alla salute dei consumatori che ha aperto la via alle grandi cause contro le multinazionali del tabacco. La richiesta di danni presentata dall’avvocato White è all’altezza della storia raccolta nei confini della riserva: 500 milioni di dollari.

di Joseph Zarlingo

(Fonte Il Fatto Quotidiano)

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