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Centrali, inceneritori, discariche: Quando a vincere sono i cittadini

inquinamento

Agostino Di Ciaula presidente della sezione pugliese dell’Associazione Internazionale Medici per l’ambiente, uno dei massimi esperti in tema di effetti sulla salute degli inceneritori, elenca su Facebook i risultati più importanti ottenuti nel corso dell’anno appena concluso. Una lotta per salvare milioni di persone. Un medico con la M maiuscola: “le vittorie più belle sono quelle ottenute contro chi crede di non poter mai perdere”. Centrali, inceneritori, discariche: QUANDO A VINCERE SONO I CITTADINI

11 gennaio – processo inceneritore di Colleferro: tutti rinviati a giudizio
29 gennaio – no definitivo del consiglio di Stato alla turbogas di San Severino
10 febbraio – il TAR riconosce rischi di inquinamento e blocca l’attività dell’inceneritore Pace (Messina)
12 febbraio – dopo numerose sollecitazioni la commissione ambiente della Camera boccia il decreto Clini sulla semplificazione della combustione di rifiuti nei cementifici. Il decreto non verrà più approvato
19 febbraio – LNG rinuncia al rigassificatore di Brindisi
15 aprile – Rossano Ercolini vince il Goldman Environmental Prize. Riconoscimento internazionale al valore della strategia “Rifiuti Zero” 
18 maggio – truffa all’UE per combustione di biomasse: chieste 8 condanne a Marsala
18 maggio – sequestrati impianti a biogas a Sarno
18 maggio – sequestrata centrale a biomasse di Bevera per traffico illecito di rifiuti
20 maggio – sequestrata centrale a biomasse in Liguria
13 giugno – sequestrata la centrale di Campomaggio di Morrovalle
18 giugno: no del Comune all’inceneritore a Napoli
3 luglio – ampliamento inceneritore di Desio: stop dalla regione Lombardia
19 luglio – no alla centrale a biomasse di Cinigliano (GR)
27 luglio – sequestrata centrale a biogas a Serre di Rapolano
27 luglio – truffa e falso: sequestrata centrale a biogas di Galatone
28 luglio – no al raddoppio dell’inceneritore di Trezzo
3 settembre – in seguito ad richiesta dell’ISDE e ad una riuscita raccolta firme, la regione Puglia istituisce il registro regionale delle malformazioni congenite
6 settembre – si spegne l’inceneritore di Cosmari
11 settembre – il megainceneritore di Livorno non si farà
18 settembre- il tribunale UE boccia le sovvenzioni regionali all’inceneritore di Acerra
18 settembre – il Ministero si costituisce parte civile nel procedimento penale sulla discarica di Contrada Martucci
19 settembre – la V commissione della Regione Puglia nega il permesso di bruciare rifiuti alla COLACEM di Galatina e alla centrale ENEL di Brindisi
21 settembre – Pavia: scandalo biomasse, in manette Dario Scotti
22 settembre: la centrale a carbone di Saline Joniche non si farà
26 settembre – grazie alle iniziative dei cittadini, l’UE avvia una procedura di infrazione contro il governo italiano sul caso ILVA
1 ottobre – fallisce il progetto di un inceneritore in Friuli
21 ottobre – sequestrata centrale a biomasse nel cremonese
21 ottobre – rifiutopoli teramana, in 5 a processo
3 novembre – Macerata: dopo 16 anni chiude l’inceneritore
5 novembre – dieci indagati per disastro ambientale per la centrale di Vado Ligure
3 dicembre – la regione Lombardia decide di dismettere gli inceneritori
9 dicembre – inceneritore del Pollino – ex gestori indagati per truffa
13 dicembre – l’inceneritore di Albano esce dal piano regionale dei rifiuti
19 dicembre – chiude l’inceneritore di Vercelli
26 dicembre – indagini sulla centrale a biomasse di Treglio
26 dicembre – al via il maxi-processo per il petrolchimico di Ravenna
26 dicembre – la festa per la chiusura dell’inceneritore di Fusina
30 dicembre – Venezia decide di chiudere il suo inceneritore

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Il biogas inquina e intossica

biogas-biotruffa

Un agronomo rompe l’omertà su biogas e aflatossine. Il biogas inquina e intossica (l’aria, l’acqua, la terra, la società). Ma anche in Lombardia, nel cuore della speculazione biogassista (dove la superlobby ha le sue centrali), c’è chi ha il coraggio di denunciare pubblicamente i rischi della proliferazione delle centrali e della produzione dei digestati.

Il biogas in Lombardia è un business enorme (ancora più grande di quanto gli stessi Comitati No biogas non riescono ad immaginare. Per questo tra gli “addetti ai lavori” c’è omertà, esattamente come in Calabria. La generalità degli agronomi, dei periti agrari, degli agrotecnici, degli agricoltori veri si lamenta al bar o sulle piazze di mercato, ma quando c’è da firmare una denuncia si tirano indietro (alcuni per autocensura, altri perché ricevono pressioni).

Non c’è la lupara ma l’effetto è lo stesso. In Lombardia non ti sparano con la lupara ma se ti metti contro la lobby (o le lobby) del biogas non lavori più, non vendi più, perdi supporti per la tua attività. Le organizzazioni agricole (forse con l’eccezione del Copagri) sono legate da sempre attaverso dirigenti e funzionari alle cupole agroindustriali (c’era una volta la Federconsorzi…). Uno sviluppo agricolo distorto ha fatto si che le competenze dei tecnici e dei professionisti dell’agricoltura possano essere solo spese in due settori “che tirano”: il verde pubblico (manutenzione, progettazione) e gli impianti a biogas. Un capitale umano di competenze preziosissime in una realtà che ha bisogno di imboccare nuove strade nel campo agricolo, che ha bisogno di valorizzare la terra per fermare il mostro della cementificazione sostenuto da tutti i partiti di desta, centro e sinistra (Lega in primis).

Un’agricoltura piegata agli interessi di una ristretta minoranza di grandi aziende organiche alle cupole agroindustriali. In questo contesto la pubblica denuncia del Dr. Segalla rappresenta il sintomo che la misura è piena, che “la boje” per dirla con il motto della rivolta dei contadini mantovanidel 1880. La stragrande maggioranza dei veri agricoltori lombardi è danneggiata dal biogas: perché drena i finanziamenti regionali sottraendoli alle piccole e medie aziende (“girandoli” all’industria). Il biogas porta dietro – come la cupola della lobby ha capito bene – un indotto ricchissimo: impianti di upgrading a biometano, abbattitori di azoto, impianti di “chimica verde” per produrre fertilizzanti chimici e altro.

Danni diretti e indiretti. C’è anche un danno diretto all’economia agricola perché il biogas – la cui corsa non è purtroppo finita – fa lievitare i prezzi degli affitti (con un trend di perdita di valori fondiari!), perché danneggia il mercato del foraggio. Chi ci guadagna? Di certo le industrie del settore e le società e i gruppi di ricerca, sviluppo, progettazione e consulenza (legati spesso a cordate politiche bianche o rosse). Poi anche chi vende mangimi e commercia biomasse (Consorzi agrari e ditte varie). Al “giro” solo legate non solo la nomenklatura delle organizzazioni agricole e dei consorzi ma anche settori di università, centri di ricerca pubblica, multinazionali, coop, CdO, esponenti della partitocrazia che cercano in prima persona di realizzare impianti (vedasi Podestà, presidente della provincia di Milano e Parolini, capogruppo in regione del Pdl).

Un business per le multinazionali. La dimensione della “bolla” speculativa la danno le numerose “società agricole” (molto rappresentate tra quelle che hanno in esercizio impianti da 1MW) dove l’agricoltore ha il 5-10% delle quote societarie e dietro le scatole cinesi (il gioco delle partecipazioni) ci può essere di tutto. Anche società filiali di multinazionali che vedono nel biogas un’ottima opportunità per smaltire residui di lavorazioni. Recentemente (poche settimane fa) in una conferenza dei servizi a Lodi sulla centrale di Cervignano d’Adda (protagonista di un grave incidente con collasso dei vasconi dei digestati), presente il comitato no Biogas, si discuteva del “cambio di ricetta” per l’alimentazione del digestore. In discussione c’era un “sottoprodotto” residuo del ciclo di produzione del biodisel che , guarda caso, viene prodotto da una società che (attraverso partecipazioni) è presente in Cervignano Energia (la “titolare” dove l’agricoltore ha il 10%). I funzionari dell’ARPA in proposito avrebbero detto che “dovevano chiedere al Prof.XXXXX”. A parte l’ultimo dettaglio (che la dice lunga su una certa “contiguità” e circolazione di “input” tra funzionari pubblici, accademici,lobbysti), quello che preoccupa è che il grande “parco centrali” biogas lombarde può diventare il ricettacolo di “scarti” (o rifiuti) di ogni sorta una volta che gli esponenti scientifici e politici vicini alla lobby ne decretino la “sostenibilità. E qui entrano (o tornano) in scena le aflatossine e il Dr. Segalla.

2012 una Caporetto per il mais padano … e il 2013 peggio. Se il 2013 era stata una disfatta per la monocoltura insostenibile del mais padano (spinta ancora di più dal biogas). Nel 2013 è stato ancora peggio con le semine ritardate di 2-3 mesi e una breve ma acuta siccità che ha colto le piante in uno stadio ancora precoce senza dimenticare le trombe d’aria che hanno sferzato Cremona, Lodi, Parma obbligando anche in questo caso a risemine tarvisissime. Poi ancora piogge pesanti autunnali.
Danni da troppa pioggia e da siccità cumulati. Da stratemp si dice in lumbart.

Cosa ne sarà delle aflatossine? Facile prevedere molte partite contaminate. Lo scorso anno sotto la spinta della lobby e degli esperti accademici (che dicevano che le aflatossine si degradano nella digestione anaerobica e che tutto va bene madama la marchesa) le tre regioni interessate (oltre alla Lombardia, il Veneto e l’Emilia) strinsero un patto (scellerato?). Esso, parzialmente avallato dal Ministero della Sanità ( ma su questo punto ci sarebbe da discutere), aveva per scopo “sbolognare” (come si dice a Milano) il mais tossico altrimenti inutilizzabile. Esso, infatti, conteneva livelli di micotossine cancerogene elevatiche lo rendevano inidonea sia per lalimentazione umana che per quella animale e avrebbe avuto come unica destinazione la termodistruzione (l’incenerimento). La sua destinazione nelle centrali a biogas rappresenta un caso in cui il biogas diventa il provvidenziale (ma non casuale) ricettacolo per ogni schifezza. Venne concordato un elenco di centrali destinate a “smaltire” il mais avvelenato e alcune lo hanno effettivamente “digerito”.

Dubbi anche a Bologna (che pare non fidarsi dei biogassisti milanesi). In seguito a molti vennero dei dubbi: “ma cosa ne sarà del digestato ottenuto dall’uso del mais toccico?”, “dove e come andrà applicato al terreno?”, “ma siamo sicuri che le aflatossine si degradino totalmente nei biodigestori del biogas?”. La stessa Regione Emilia Romagna deve avere avuto dei ripensamenti e si è fattai prendere da scrupoli precauzionali (forse sostettando un agire troppo spregiudicato della Regione Lombardia dove ci sono noti dirigenti che promuovono a spada tratta il biogas incoraggiando caldamente gli agricoltori a buttarsi nel business e dissuadendo gli amministratori comunali dall’opporvisi ). Così Bologna (Regione E-R.) ha stanziato la non modica cifretta di 1,5 milioni per il CRPA di Reggio Emilia incaricato di studiare meglio la cosa rispetto alle assicurazioni milanesi. Un pasticcio che forse procurerà qualche fastidio e qualche mal di pamcia al fronte biogassista e che è tutt’altro che risolto. Intanto nei silos c’è il mais 2013. Tutte queste cose sono state denunciate dai comitati. Ora, però, si stanno levando delle voci anche tra gli “addetti ai lavori”. Evviva. Speriamo che sia solo l’inizio di un risveglio di dignità, coscienza civica, ambientale, rurale da parte del mondo agricolo che subisce il biogas.

(Fonte sgonfiailbiogas)

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La rivoluzione energetica tedesca

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La Germania è senza dubbio, fra le grandi nazioni, una di quelle maggiormente impegnate nell’attuazione di politiche energetiche serie, a lungo termine e nel segno della sostenibilità.

La promozione delle fonti rinnovabili è forte e sostenuta da scelte condivise prese dal governo nazionale e dalle amministrazioni locali. Ma sarebbe miope pensare che la transizione verso un’energia alternativa sempre più carbon free sia solo un processo top-down promosso dai decisori politico-istituzionali (come ci suggerisce Giles Parkinson in articolo apparso su RENewEconomy).

Non bisogna, infatti, dimenticare la “spinta dal basso”, ovvero le iniziative dei cittadini tedeschi nell’adozione di fonti energetiche alternative. Cosa li spinge? Si possono individuare ragioni quali il desiderio di indipendenza energetica, nuovi modi per alleggerire le bollette o l’adesione ideale a temi quali l’eco-sostenibilità.

In questo contesto, le comunità rurali e le aziende agricole che le popolano appaiono decise sostenitrici delle rinnovabili. E in particolare di soluzioni “customizzate”, concepite per le proprie e particolari esigenze.

I casi sono diversi e raccontano di un’integrazione stretta tra tecnologia e territorio, tra bisogno e risposta concreta al suo soddisfacimento. La storia del villaggio di Freiamt (e dei suoi abitanti), a nord di Friburgo, va in questa direzione. La famiglia Reinhold, per esempio, per diversificare i guadagni (era il periodo della “mucca pazza”) e abbassare i costi energetici, ha investito in un impianto a biogas per produrre energia elettrica e calore. Ora le due piccole turbine che hanno costruito sviluppano una capacità complessiva di 360kW. Il calore residuo viene ceduto alla scuola e alle case vicine, i rifiuti liquidi dalla biomassa vanno, invece, ad aziende limitrofe. A breve, un’altra turbina fornirà calore per la piscina e l’ostello.

La famiglia Schneider, oltre ai pannelli solari sul tetto della casa e del fienile, ha installato una stufa che utilizza trucioli di legno al posto del petrolio. Inoltre ha accettato di ospitare due turbine eoliche di proprietà della comunità all’interno dei suoi terreni.

Esempi simili a quelli menzionati, rendono Freiamt – un insieme di cinque piccole frazioni ai confini della Foresta Nera – una comunità energeticamente molto performante, in grado di produrre più del 200 per cento del suo fabbisogno di elettricità (sono 4.200 gli abitanti). Cinque turbine, due impianti a biogas, 251 tetti solari, circa 150 collettori solari termici, stufe legno e quattro centrali ad acqua fluente sono la “forza di fuoco” messa in campo.

E Freiamt non è un caso isolato. Nella regione, come nel resto della Germania, esistono altri villaggi che condividono la prospettiva del borgo a nord di Friburgo. C’è Weisweil, dove i 1.200 abitanti possono vantare circa 700w di solare fotovoltaico pro capite. C’è Forchheim, dove un impianto di biogas da 1,7 MW renderà l’area indipendente dall’acquisto del costoso gas proveniente dalla Russia.

Ma qual è il motore principale per questa “rivoluzione energetica”? Secondo Erhard Shulz, fondatore della locale Accademia dell’Innovazione, “è il senso di indipendenza che si prova”. Indipendenza dai combustibili fossili e dal nucleare. E, sotto un certo aspetto, anche indipendenza economica.

(Fonte industriaenergia)

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Il villaggio tedesco energeticamente indipendente, modello per le rinnovabili

Feldheim indipendenza energetica

Negli ultimi dieci anni, nessun paese ha abbracciato l’energia rinnovabile con tanto entusiasmo come la Germania. Nonostante la graduale eliminazione dell’energia nucleare, il paese esporta più energia che mai, grazie soprattutto al suo investimento in energie rinnovabili. Una città in particolare, si erge come un faro luminoso del potenziale che le energie rinnovabili hanno: Feldheim, appena 150 anime, circa 90 km a sud di Berlino, che ha la sua rete di energia e genera tutta la sua potenza da eolico, solare e biogas.

Feldheim è un paesino con appena 150 abitanti, ma è diventata una destinazione turistica importante in questi ultimi anni, incuriosendo giornalisti, delegazioni e registi provenienti da tutto il mondo per ammirare l’indipendenza energetica del paese. Nel 2010, i residenti di Feldheim hanno dato un contributo di 3000 euro per costruire la loro rete elettrica, dando loro il controllo completo sui prezzi elettrici, i quali sono il 30% in meno rispetto alla media nazionale, con prezzi fissati mediante riunioni. A rendere possibile ciò, il vasto campo di 47 mulini a vento che domina questo piccolo villaggio, situato in un ambiente tranquillo e pastorale. Oltre ai mulini, ci sono i pannelli solari lungo il bordo della città.

Il passaggio verso le energie rinnovabili è iniziata nel 1990, quando la città ha installato una sola turbina a vento in città per approfittare dei forti venti. Ben presto, le turbine eoliche hanno cominciato a moltiplicarsi, e ora il parco eolico contiene 47 mulini a vento. Esistono anche cabine per la ricarica delle auto elettriche.

Per quanto concerne il riscaldamento delle case invece, viene utilizzato un impianto di biogas che brucia gas utilizzando gli scarti agricoli (letame di maiale e mais). E’ previsto un impianto biogas in ogni edificio della città. L’impianto di produzione di biogas permette ai residenti di Feldheim di abbassare i costi di riscaldamento di circa il 10 per cento.

L’utilizzo dell’energia prodotta viene gestita dai residenti stessi che devono bilanciarla e si applicano sanzioni in caso di sovra-sfruttamento. Questa indipendenza economica ha anche portato posti di lavoro e benefici economici a Feldheim. In Italia una “rivoluzione energetica” del genere sarebbe possibile? Forse si, a patto di cambiare totalmente questa classe politica incompetente ed arretrata.

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Biogas l’energia dai rifiuti


Gas di origine organica al posto della miscela di idrocarburi che importiamo da Russia, Nord Africa e Nord Europa? Si, almeno in parte: secondo il Consorzio italiano Biogas (Cib), oltre il 10% del nostro fabbisogno potrebbe essere soddisfatto con il biometano ottenuto da residui animali o vegetali. Una fonte rinnovabile la cui produzione, al contrario di sole e vento, e’ programmabile: perfetta, quindi, per essere utilizzata in momenti di necessità come quelli che l’Italia ha vissuto a febbraio. Si potrebbe ma ancora non si fa, “perché mancano le norme attuative che dovranno regolare l’immissione del biometano nella rete del gas naturale”, spiega Viller Boicelli, direttore del Cib. Nell’attesa si punta sullo sfruttamento del biogas per la produzione di energia elettrica e termica. In base alle ultime stime del Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia, a fine 2011 i soli impianti alimentari con scarti agro-zootecnici erano oltre 500 per una potenza superiore ai 350 mw, ed entro un anno diventeranno 700-800. L’obbiettivo delle associazioni della filiera e’ arrivare, nel 2020, a una produzione di 1.200 mw da questa fonte. E promuoverne l’utilizzo come carburante per veicoli bi-fuel.

Con trattamenti simili vengono poi valorizzati e trasformati in energia anche i rifiuti organici. Un business in cui sono attivi anche grandi gruppi come Hera. La multiutility bolognese intende realizzare nelle sei province dell’Emilia-Romagna in cui gestisce in ciclo rifiuti (Modena, Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini) altrettanti impianti di biodigestione anaerobica in grado di trasformare l’umido in gas a base di metano che a sua volta alimenta motori con cui si genera elettricità. Per il processo di digestione si utilizzano batteri uguali a quelli presenti nello stomaco delle mucche. Nessun cattivo odore, perché il tutto avviene in assenza di ossigeno. E il residuo diventa compost di qualità per l’agricoltura biologica. Il primo impianto, quello di Cesena, e’ già attivo, ed entro fine anno saranno operativi quello di Voltana(Ravenna) e di Rimini. Gli altri tre saranno costruiti nel 2013. L’investimento complessivo e’ di circa 40 milioni di euro e a regime il progetto permetterà di ottenere 32 milioni di kwh annui di energia, pari al fabbisogno energetico di 12 mila famiglie.

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