0

Le 250 aziende più influenti al mondo, 6 sono italiane

aziende italiane

Nel 2014 sono sei i gruppi italiani che rientrano nella Top 250 mondiale dei beni di consumo: Ferrero, Luxottica, Pirelli, Barilla, Indesit e Perfetti Van Melle. La Ferrero di Alba continua ad essere un colosso anche in questi tempi di crisi.

Secondo la classifica presente nel Global Powers of Consumer Products 2015, studio realizzato da Deloitte, le vendite delle sei aziende italiane hanno generato 39,6 miliardi di dollari nell’esercizio fiscale 2014 (+1,2% rispetto all’anno precedente). Delle italiane nella Top 250, la migliore in termini di performance di vendite è stata Ferrero (+5,6%) che guadagna posizioni e si conferma al primo posto fra i gruppi italiani (77°), con oltre 10,5 miliardi di dollari di ricavi. Le performance positive sono confermate anche da Luxottica e Pirelli, il cui fatturato nel 2014 è cresciuto rispettivamente del 3,2% e del 1,2%. Barilla e Indesit chiudono l’anno fiscale con risultati negativi (rispettivamente -18,8% e -7,4%) mentre Perfetti Van Melle, nonostante il fatturato sia rimasto in linea con l’anno precedente, registra una crescita media 2008-2013 pari al 4,7%.

Top 250 consumer products companiesA livello mondiale, riporta Deloitte, le vendite dei 250 più grandi produttori di beni di consumo hanno generato circa 3,1 trilioni di dollari. Per il settimo anno consecutivo, Samsung si conferma leader indiscusso della classifica dall’alto dei suoi 210 miliardi di dollari di fatturato, con una crescita del 13,7% rispetto all’anno precedente. Apple mantiene performance positive, con una crescita dei ricavi del 9,2% e si consolida al secondo posto davanti a Nestlè (+2,7%). Crescita a doppia cifra per Sony (+17,4%) che guadagna una posizione e sale al quinto posto, PepsiCo, con una crescita dei ricavi dell’1,4% scavalca Unilever (-3%) e raggiunge il sesto posto. Entra per la prima volta nella top 10 la brasiliana JBS, il più grande produttore di carne del mondo, con ricavi superiori ai 43 miliardi e una notevole crescita a doppia cifra (22,7%) rispetto allo scorso anno.

Nonostante l’economia globale è cresciuta ancora una volta a un ritmo più lento del previsto, le vendite nette delle società presenti nella classificata Top 250 sono aumentate nel 2013 del 5,6%. Tre quarti delle aziende Top 250 hanno registrato nel 2013 un incremento delle vendite, mentre metà (125 aziende) hanno riportato una crescita più rapida nel 2013 rispetto al 2012. L’accelerazione della crescita, tuttavia, non è stata una osservata in tutte le regioni geografiche o settori merceologici.

Condividi:
2

Spaghetti ai pesticidi in Svizzera: 4 marche italiane coinvolte

spaghetti-pesticidi

Tracce di pesticidi negli spaghetti in vendita in alcuni supermercati della Svizzera. Bon A Savoir ha condotto dei test specifici per l’individuazione di sostanze sospette su 15 confezioni di pasta e ha riscontrato irregolarità in 7 prodotti, di cui 4 italiani. Il risultato dei test pone un quesito da non sottovalutare: al giorno d’oggi è davvero possibile nutrirsi senza il timore che i prodotti che portiamo sulle nostre tavole contengano dei pesticidi?

Bon A Savoir comunica che queste sostanze tossiche non sono presenti soltanto nella frutta o nella verdura, ma anche nella pasta confezionata. Le 15 confezioni di spaghetti prese in esame sono state acquistate presso supermercati e discount. I test dimostrano che i prodotti confezionati non sono immuni da tracce di pesticidi. Gli esperti che si sono occupati delle analisi hanno evidenziato che i quantitativi individuati non sono superiori ai limiti consentiti e che negli spaghetti bio non era presente alcuna traccia di pesticidi. In 5 prodotti, sono state individuate tracce di pirimifos metile, un insetticida utilizzato per la conservazione di faine e cereali nei silos. Un’ulteriore sostanza, la cipermetrina, è stata riscontrata solamente negli spaghetti Qualità & Prix della Coop. Si tratta di un pesticida comunemente impiegato per diverse coltivazioni, compresi cereali, cotone e caffè. Infine, il laboratorio ha individuato tracce di terbufos negli spaghetti a marchio Denner. Il quantitativo era molto vicino, ma comunque inferiore, al limite consentito. I produttori, come Manor e Coop, hanno sottolineato che i valori riscontrati sono conformi alle leggi vigenti. Il discount Aldi è certo che i propri spaghetti non rappresentino una fonte di pericolo per i consumatori. Infine, secondo Lidl, le tracce di insetticidi individuate non influenzano per nulla la qualità del prodotto. Di fronte ai risultati ottenuti, Nicolas Roth, collaboratore scientifico del Centro svizzero di tossicologia umana applicata (Scaht) ha assicurato che non c’è motivo di allarmarsi, in quanto le concentrazioni segnalate sono ben inferiori rispetto alle soglie prefissate.

François Veillerette, portavoce dell’associazione francese Generazioni future per la difesa dell’ambiente, è di parere ben diverso. A suo avviso, le sostanze individuate rappresentano degli interferenti endocrini in grado di nuocere alla salute dei consumatori: anche a basse dosi i pesticidi ingeriti potrebbero rappresentare un problema e probabilmente i limiti di legge andrebbero rivisti.

Spaghetti ai pesticidi: Barilla, Reggano, La Pasta di Flavio, Combino, Prix Garantie (Coop), Qualité&Prix (Coop), Denner.

Spaghetti senza pesticidi: Garofalo, De Cecco, Barilla Integrale, Agnesi, Coop Naturaplan, Migros, Mi-Classic, M-Budget.

Supermercati e Discount: Coop, Lidl, Aldi, Migros, Denner.

Per maggiori informazioni: bonasavoir.ch.

I 12 alimenti con maggiori pesticidi:

  1. mele
  2. sedano
  3. peperoni
  4. pesche
  5. fragole
  6. pesche nettarine
  7. uva
  8. spinaci
  9. lattuga
  10. cetrioli
  11. mirtilli
  12. patate

I 15 alimenti con meno pesticidi:

  1. cipolla
  2. mais
  3. ananas
  4. avocado
  5. cavolo
  6. piselli dolci
  7. asparagi
  8. mango
  9. melanzana
  10. kiwi
  11. cantalupo
  12. patate dolci
  13. pompelmo
  14. anguria
  15. funghi

(Fonte greenme)

Condividi:
1

Il cibo in 3D del futuro



Pasta stampata in 3D. Cioccolata riprodotta in 3D. I segnali ci sono tutti per dire che qualcosa sta cambiando nel mondo della cucina e, in generale, dell’industria alimentare. La prima a far trapelare la notizia è stata la Barilla. È di pochi giorni fa infatti l’indiscrezione che la multinazionale starebbe testando con una società di Endhoven, Paesi Bassi, la possibilità di dotare i ristoranti di nuove stampanti tridimensionali per produrre pasta all’istante e con le forme più disparate. Secondo quanto riporta il sito 3dprinterplans.info, Barilla ha in programma l’installazione nei ristoranti che si riforniscono di suoi maccheroni, penne e spaghetti, oppure nei locali monomarca come quello di New York, di apparecchi tridimensionali per produrre formati ad hoc nella quantità e nel disegno desiderati. Partner del progetto è la società Tno di Eindhoven che ha già dotato di una serie di macchine 3D alcuni ristoranti della città olandese. Sono in corso di definizione alcuni passaggi, come ad esempio la velocità di stampa. Dalla multinazionale alimentare la conferma che “si è ancora in una fase preliminare”. Il progettista della Tno Kjeld van Bommel spiega che sarà possibile, ad esempio, “sorprendere la moglie con una pasta a forma di rosa il giorno dell’anniversario di matrimonio semplicemente salvando il disegno in una chiavetta usb da portare al ristorante dove la stampante 3D provvederà alla stampa”. O magari inviando il disegno via mail all’indirizzo dello chef. Ieri, invece, la presentazione al Consumer electronics show (Ces) di Las Vegas di una stampante per fare cioccolato tridimensionale. L’hanno inventata due creatori di food e dovrebbe essere sul mercato entro fine anno. I macchinari faranno cioccolato e prodotti dolciari nelle forme più svariate. Di solito quelle troppo difficili da realizzare artigianalmente. La più piccola Chefjet è limitata alle creazioni monocromatiche, mentre la più grande anche a quelle multicolore. I prezzi? Non proprio economici. Per la versione base si va da 5 mila dollari in su. L’amministratore delegato di Chefjet, Avi Reichental, è convinto che la più piccola potrà essere adottata presto da panetterie e pasticcerie. C’è anche una versione da 1o mila dollari che plasma la ceramica. E presto arriverà una app per i consumatori meno informati. Una tendenza, questa del 3D, che ha visto nascere anche in Spagna una start up, la Natural Machines, che ha creato Foodini, una macchina per fare cioccolatini, ravioli e biscotti in 3D. E persino la Nasa ha finanziato un progetto del genere per creare macchinari simili da far usare ai suoi astronauti. Ma ai pasticcieri e agli chef questa cosa può andar bene? Maurizio Santin, il “cuoco nero” se la ride di gusto: “È una stranezza perché stiamo parlando di cose molto particolari. Non credo che qualcuno si metta in casa una roba così, costa troppo. E per noi tecnici, beh, mi sembra una cosa fatta per pasticcieri che non sanno fare decori…”. Insomma, lei la userebbe? “No. Se costa 300 euro me la compro. Altrimenti non se ne parla. E se quelli che fanno cake design accettassero questi decori meccanici, che figura farebbero? Insomma, lo reputo un giochino che non cambierà la vita a nessuno. Non è la macchina sottovuoto né l’abbattitore. E se invece sei un pasticciere professionista, queste cose le devi saper fare. Punto”.
*Dal Corriere della Sera del 9 Gennaio 2014

Condividi:
0

L’inganno degli alimenti per bambini

 

Barilla ha deciso di indicare sulle confezioni della pasta “I Piccolini” che il prodotto è adatto “Per adulti e bambini al di sopra dei 36 mesi”. Così sarà chiaro a tutti che, benché si tratti di un alimento validissimo e sicuro, per le sue caratteristiche non corrisponde alla severa normativa che disciplina la produzione dei cosiddetti “baby food”, i cibi industriali destinati alla tavola dei bimbi da 0 a 3 anni. I piccolini, appunto: quelli che il nome della pasta tira in ballo, creando una possibile confusione tra i consumatori.

I Piccolini e i biscotti Le Macine Mulino Bianco, come evidenziato dalla recente pubblicità comparativa di Plasmon, sono considerati dalle mamme alimenti per la prima infanzia “per colpa” di rèclame, spot, nome e immagini di bebé anche se non hanno i requisiti. Il problema riguarda la presenza di residui di antiparassitari e micotossine, che per legge nei cibi per i più piccoli devono essere praticamente assenti.

 

Non si tratta degli unici  alimenti che “cercano di sembrare ciò che non sono”. Basta fare un giro al supermercato per accorgersi che non è così facile  distinguere i veri baby food da altri prodotti pensati per l’infanzia, ma destinati alla pappa dei bambini dopo i 3 anni.

Sugli scaffali si trovano molte confezioni con colori, immagini e forme che lasciano intendere di essere di fronte a cibi adatti ai più piccoli. La pasta ha un formato ridotto, i vasetti di yogurt e formaggini sono mignon, le paste ripiene e i sughi pronti riportano in etichetta indicazioni salutistiche per favorire il consumo di verdure, mentre su biscotti, cereali per la prima colazione e merendine impazzano personaggi dei cartoni animati, fotografie e colori chiaramente riferiti ai più piccoli.

Anche il posizionamento è importante. Trovare sullo stesso scaffale i baby food veri e quelli finti confonde le idee. In alcuni punti vendita gli omogeneizzati, le farine lattee, le pastine sono collocati in zone ad hoc: per esempio, vicino ai dietetici oppure insieme ai pannolini. Ma non sempre è così: i formaggini freschi e i cereali perr la prima colazione sono per lo più posizionati insieme ai prodotti per gli adulti.

In un supermercato Esselunga in provincia di Monza abbiamo trovato sullo scaffale prima infanzia Mellin Tempestina specifica per lo svezzamento a partire “dal 4° mese”, dicitura che, secondo la severa legge sui baby food – Direttive 2006/141/CE, 96/5/CE, 2006/125/CE – deve essere presente sugli alimenti che rispettano i limiti previsti per le sostanze tossiche, più stringenti dei quelli degli adulti. Mentre la  pasta  Mini Farfalle Piccolini Barilla si trova in un altro corridoio, insieme ai formati per i grandi. 

 

Ma non sempre è così, anche perché, a volte, manca lo spazio per uno scaffale distinto.  Illuminante il banco frigorifero dedicato a yogurt e ai dessert alla frutta. Così accanto a prodotti per adulti, si trovano quelli che sembrano dedicati alla prima infanzia, caratterizzati da nomi simpatici, foto di pupazzetti e colori squillanti, claim salutistici e scritte accattivanti (gusto cremoso, frullato, ancora più buono, ricco di calcio, fonte di vitamina A, senza coloranti, con frutta bio….).Ma basta guardare con attenzione per scoprire che spesso si tratta di alimenti non adatti ai minori di 36 mesi.

Consideriamo le due etichette di Yogurtino biscotto PlasmonMio cremoso con frutta frullata per esempio.

Solo nella prima, Yogurtino biscotto Plasmon, appare la dicitura “da 6 mesi”. Nell’altra non ci sono indicazioni. Questo vuol dire Mio cremoso va benissimo, ma dai 3 anni in poi, quando le cautele per la salute sono meno stringenti.

La concorrenza non si esaurisce nelle diciture più o meno accattivanti: c’è anche il prezzo . I baby food, preparati con materie prime selezionate con maggiori garanzie di sicurezza, sono più costosi rispetto agli altri che “fingono” di essere ugualmente adatti alla prima infanzia, che, ovviamente “attirano” i genitori anche grazie a un costo inferiore.

Nel recente scontro tra pasta tra Barilla e Plasmon, le sentenze  hanno evidenziato questo aspetto: per il consumatore la differenza tra i vari prodotti non è chiara, per cui è legittimo fare una pubblicità comparativa  per fare capire quali sono le differenze.

Che dire allora del famoso formaggino per bambini Mio che, da sempre, viene aggiunto alla pastina nelle prime fasi dello svezzamento? Il prodotto rispetta tutte le norme di legge: infatti non riporta sull’etichetta l’indicazione dei mesi giusti per introdurlo nella dieta. Vuol dire che non si tratta di un baby food adatto ai piccoli con meno di 3 anni d’età. Nel sito http://www.nestlebaby.com/it è descritta tutta la linea di baby food a marchio Mio per bambini con meno di 36 mesi, ma manca proprio il formaggino. Non è una dimenticanza, è una scelta obbligatoria perchè il prodotto non è adatto ai più piccoli.

Ma quanti genitori lo sanno?Nei forum in internet, proprio perché manca un’indicazione chiara in etichetta, mamme e papà con bambini di pochi mesi si scambiano sempre consigli sul menu da dare ai loro bebé. Per esempio, su pianetamamma.it Elisa dice “io ho iniziato a otto mesi ad aggiungere il formaggino Mio nella minestrina e a un anno e mezzo ho cominciato con i formaggi freschi tipo crescenza mozzarella ecc…”; Daddina: “io metto due formaggini Mio, perchè è una mangiona. Magari prova con uno, uno e mezzo per vedere se gli piace.. poi fammi sapere! Ah Mio si scioglie meravigliosamente bene… io lo adoro da quando ero piccola”.

In pochi si pongono il dubbio che si tratti davvero di un alimento adatto per la primissima infanzia: perché “storicamente” viene usato così, ma anche perché oggi dà il nome a tutta una linea di baby food che hanno – loro sì – i requisiti di legge e riportano in etichetta con chiarezza “adatto dal 6° mese”, per esempio.                                                                                                                  



tipo_02_234x60.jpg

I claim giocano sull’ambiguità e sul fatto che pochi genitori conoscono le norme. Già un anno fa un articolo pubblicato sulla rivista dei consumatori Il Salvagente aveva denunciato l’eccesso di residui di pesticidi in alcuni marchi di pasta destinati ai bambini, risultato confermato da un’analisi promossa dalla Federazione italiana medici pediatri (Fimp). «Nessun problema, invece, per mousse e puree a base di frutta e nemmeno per cacao in polvere che le mamme spesso aggiungono al latte», rassicura Alberto Ritieni docente di chimica degli alimenti presso la facoltà di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli e autore della ricerca

«Il nostro studio si è concentrato su prodotti che per formato, aspetto, pubblicità, claim o denominazione sembrano indirizzati ai bambini . Parole come “sedanini”, “margheritine”, “lumachine”, “ministelle”, “giostra” oppure immagini di personaggi dei cartoni sono perfettamente legali e sicuri, ma  non dicono in modo chiaro sull’etichetta che non sono adatti per i piccoli da 0 a 3 anni, e perciò si prestano a equivoci. I genitori possono credere che siano identici a quelli specifici per la prima infanzia e quindi preferirli, anche perché quasi sempre costano meno». Lo studio continuerà sui dolciumi a base di cioccolato e su latticini e formaggi.

Aggiunge Cinzia Le Donne, nutrizionista dell’Istituto nazionale di ricerca sugli alimenti e la nutrizione (Inran): «La cautela deve essere tanto maggiore quanto più piccolo è il bambino, e quindi soprattutto nei primi mesi dello svezzamento. Un bimbo di 3 anni mangia più o meno gli stessi cibi di un adulto, ma l’attenzione per la qualità deve restare alta.

Quando si opta per un prodotto non specifico per l’infanzia bisogna scegliere prodotti con una lista degli ingredienti corta, possibilmente senza coloranti, edulcoranti e additivi. E poi, che si tratti di alimenti confezionati o freschi, è importante variare il più possibile il menù: per tipo e qualità di cibo, modalità di cottura, marca, produttore. È il modo migliore per rendere completa la dieta e minimizzare il rischio di mangiare sempre uno stesso additivo o sostanza tossica».

Mariateresa Truncellito

 


Condividi: