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Banche strozzine: Bankitalia indagata per concorso in reato di usura

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Ad aprile 2010 Adusbef denuncio’ Bankitalia per concorso nel reato di usura. In una circolare, resa nulla da plurime sentenze di cassazione, aveva scorporato commissione di massimo scoperto dai tagli soglia. Una procura sta procedendo su Bankitalia.

La Corte di Cassazione con  sentenza n. 46669/2011 ha smascherato il ruolo  svolto dalla Banca d’Italia nell’affare usura. Recita la sentenza: “Quindi, come peraltro rilevato sia dal Tribunale che dalla Corte territoriale, anche la CMS deve essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevanti ai fini della determinazione del tasso usurario, tutti gli oneri che l’utente sopporta in relazione all’utilizzo del credito, indipendentemente dalle istruzioni o direttive della Banca d’Italia (circolare della Banca d’Italia 30.9.1996 e successive) in cui si prevedeva che la CMS non dovesse essere valutata ai fini della determinazione del tasso effettivo globale degli interessi, traducendosi in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Le circolari e le istruzioni della Banca d’Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d’Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell’elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza di Bankitalia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell’ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito”.    La Corte di Cassazione  interpretando correttamente la legge 108/96 aveva riaffermato che indipendentemente da quanto stabilito dai banchieri e dalle norme amministrative di Bankitalia, il  codice penale, ai sensi del quarto comma dell’art. 644 c.p. impone di considerare rilevanti ai fini della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito, e  tra di essi rientra indubbiamente la commissione di massimo scoperto.    Ancor prima di questa definitiva pronuncia ed a seguito della sentenza n.12028 della seconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione (relatore Giudice dr. Domenico Gallo),che riprendeva la sentenza n.870 del 18.1.2006 prima Sezione Civile di Cassazione, Adusbef il 23 aprile 2010 presentò denunce penali contro Bankitalia, per concorso nel reato di usura, abuso d’ufficio, favoreggiamento proprio per la famigerata circolare emanata dopo la legge 108/96, in quanto aveva platealmente abusato del suo ruolo nell’escludere dal calcolo dei “tassi soglia” il “pizzo” della CSM.    Per moltissimi anni, imprenditori strozzati dagli alti tassi di interesse imposti dalle banche, non hanno potuto far valere le proprie ragioni in giudizio perché, anche se i tassi rilevati trimestralmente eccedevano i tassi soglia (di ben 7/8 punti  su base annua) stabiliti dal quarto comma dell’art.644 del codice penale, trovavano ostacolo nella circolare di Bankitalia, che impediva il computo della commissione di massimo scoperto a quei corretti conteggi, ribaditi da plurime Sentenza della Suprema Corte.    Adusbef inoltrò numerosi esposti denunce alle Procure della Repubblica, chiamando in causa una Banca d’Italia prona agli esclusivi interessi delle banche, per aver favorito vantaggi usurari illeciti e non dovuti nella determinazione dei tassi sugli impieghi in aperta violazione dell’ art.644 della legge  antiusura 108/96, che non aveva bisogno di interpretazioni.   Alcuni magistrati titolari di processi penali instaurati contro alcune primarie banche per il reato di usura, hanno preso in considerazione la tesi avanzata da Adusbef relativamente al “reato di concorso in usura” determinato dalla Banca d’Italia, e nei prossimi giorni a chiusura delle indagini, procederanno a tutela  di imprenditori strozzati ed usurati dal combinato disposto banche-Bankitalia.

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I paperoni d’Italia

 

Maschio, 65 anni almeno. Scordatevi Mark Zuckerberg o Roman Abramovich. Il Paperone italico è quasi sempre un canuto signore ufficialmente in pensione. Lo dice una ricerca dell’Associazione italiana private banking, che al tema è particolarmente interessata. Banche e fondi di investimento li chiamano “high net wealth individuals”. Sono quelli che dispongono di un patrimonio superiore ai 500 mila euro: in Italia le famiglie con un gruzzolo simile sono il 35 per cento del totale. Parecchie. E infatti siamo al decimo posto al mondo in questa speciale classifica. Peccato che messi a confronto con altre nazioni i nostri ricchi stiano diminuendo. Secondo l’ultimo rapporto di Merrill Lynch e Capgemini, che considerano i patrimoni superiori a un milione di dollari, mentre nel 2010 i Paperoni del globo aumentavano, quelli tricolore calavano del 4,7 per cento. Circa 8 mila ricchi in meno, superati intanto dagli australiani. Problema comune in Occidente? No, perché in Germania e Usa, dominatori della classifica, la categoria continua a crescere. Spiega Roberto Manini, vice presidente servizi finanziari di Capgemini Italia: «I nostri sono stati penalizzati dal calo del mercato azionario nazionale, maggiore rispetto a quello registrato nel resto d’Europa, e dalla contemporanea contrazione dei valori immobiliari». Ci sono ricchi e ultra ricchi, e in quest’ultima élite l’Italia non sfigura affatto: quasi 500 famiglie dispongono di un patrimonio superiore ai 100 milioni di dollari. In cima alla piramide spiccano i 10 individui più ricchi del Paese che, come ha ricordato uno studio della Banca d’Italia, possiedono una quantità di beni equivalenti a quella di 3 milioni di italiani. La top 10 rivela lo stato dell’arte dell’economia nazionale. A parte la famiglia Rocca, proprietaria del gruppo Tenaris, mancano i titolari dell’industria pesante. Non ci sono nomi storici come Agnelli, Riva o Moratti. Che certo nel frattempo non sono diventati poveri, ma hanno lasciato spazio alle varianti del made in Italy, la moda e il lusso soprattutto, settori che meglio di altri si sono inseriti nella globalizzazione. Attenzione a non confondere redditi con patrimoni. Per i primi, secondo l’analisi del Dipartimento delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi del 2010, la forbice si sta allargando in modo preoccupante: basta dire che solo l’1 per cento dei contribuenti, circa 400 mila, supera i 100 mila euro all’anno, mentre oltre 14 milioni di persone dichiarano meno di 10 mila euro. I livelli di disuguaglianza patrimoniale, invece, sono «relativamente moderati, in linea con gli altri Paesi europei», secondo Bankitalia. Che sembrano più preoccupati da un altro aspetto: i ricchi sono sempre più vecchi, mentre dal 2000 a oggi i giovani hanno visto peggiorare costantemente il proprio patrimonio. Sostiene Giuseppe Roma, direttore generale del Censis: «L’impoverimento del Paese dipende dal mancato rinnovamento della classe imprenditoriale. Abbiamo poche aziende create da giovani, e questo dipende principalmente dalla difficoltà di reperire finanziamenti. Prendiamo le farmacie: il governo le ha liberalizzate, ma chi potrà comprare la licenza senza un finanziamento, solo i figli di farmacisti?».

(Fonte L’Espresso)

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