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La guerra in Libia sarà lunga e costerà molte vite

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A tre anni dall’assassinio di Gheddafi, la Libia è nel caos più completo e già si parla con insistenza di risolvere la questione inviando truppe dall’estero per organizzarvi una seconda, micidiale e sciagurata guerra. Nel corso della prima infausta guerra, voluta soprattutto dalla Francia di Sarkozy, il paese ha subito danni immensi, 25 mila morti e distruzioni valutate dal Fondo Monetario Internazionale in 35 miliardi di dollari. Per combattere l’Isis in Libia serve un’operazione diplomatica e militare complessa. Quello che sta avvenendo in Medioriente non è soltanto il trionfo del male, ma il risultato di una lunga crisi degenerativa che non è mai stata affrontata. Il “Califfato dell’orrore” rappresenta appena un gigantesco bubbone, il segno più evidente di una crisi di coscienza e identità che dilania gli islamici. Non soltanto in Iraq e Siria, ma ovunque. I responsabili dell’islamismo radicale sono i Paesi, Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo, che da trent’anni finanziano un certo tipo di Islam. L’Isis può contare su 35mila combattenti tra Siria e Iraq. L’analisi di Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola in economia e relazioni internazionali.

“L’intervento in Libia sarebbe molto lungo e dispendioso, anche in termini di vite umane. Combattere l’Isis è un’operazione complessa. Non bastano i bombardamenti per fermare l’avanzata dell’Isis, com’è evidente in Siria e Iraq. E là comunque ci sono truppe di terra che combattono. Non ci sono interlocutori affidabili, capaci di coordinare gli interventi. L’Egitto lotta contro l’Isis nel Sinai e sarebbe disposto a farlo anche in Libia. Poi bisognerebbe sondare Algeria e Lega Araba se sono disponibili a una missione con legittimità internazionale. E anche i paesi del Golfo, nonostante il loro giochi poco trasparenti, sono inquieti. Obama per la Siria e Iraq ha chiesto tre anni. Per stabilizzare la Libia non è sufficiente armare delle milizie o bombardare, è necessario cercare degli alleati e accettare la prospettiva di un impegno lungo. Però, se non se ne occupa l’Italia, non lo farà nessuno perché siamo noi i primi a dover essere preoccupati di quanto sta accadendo. Il Paese è scivolato progressivamente in una situazione prima di guerra civile, poi di semi-anarchia. Nessuna delle due autorità che reclamano legittimità ha il controllo del territorio. Questo ha permesso la penetrazione dell’Isis, la milizia jihadista più preparata, da est. È uno scenario somalo, solo un po’ più ordinato perché l’Isis è organizzata. Gheddafi aveva deistituzionalizzato il paese, la sua caduta ha lasciato il vuoto. La Libia è un paese molto complesso a livello tribale che il Rais riusciva a governare solo per i metodi brutali che adottava”.

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Il nuovo re dell’Arabia Saudita sostiene e finanzia al-Qaida

Salman bin Abdulaziz al-Saud

“Il nuovo re dell’Arabia Saudita, Salman bin Abdulaziz al-Saud, fratellastro di re Abdullah, morto a 90 anni per le complicazioni di una polmonite, dovrebbe governare in senso ancor più wahabita e concentrarsi a limitare la prudente politica di riforme iniziata da Abdullah. Salman dovrebbe anche dedicare energia ad aumentare la sicurezza nazionale saudita.

La devozione di Salman alla sicurezza saudita è ipocrita, dato il suo passato sostegno ad al-Qaida, tra cui alcuni soggetti implicati nell’attacco dell’11 settembre contro gli Stati Uniti. Il coinvolgimento di Salman nel finanziamento dei terroristi dell’11 settembre, ed altri, probabilmente rafforzerà il rifiuto dell’amministrazione Obama di declassificare le 28 pagine mancanti dal rapporto del Comitato sull’Intelligence del Senato, del 2002, sui fallimenti dell’intelligence riguardo l’attacco. Allora governatore di Riyadh, Salman probabilmente appare tra i responsabili nelle 28 pagine del rapporto del Senato.

In apparenza Salman non governerà assai diversamente dal predecessore su politica del petrolio e sicurezza nazionale. Salman sarà assistito dal figlio, principe Muhammad bin Salman, ministro della difesa e capo della corte reale. Muhammad fu principale consigliere del padre quando era governatore della provincia di Riyadh. Il principe Muhammad è divenuto ministro della Difesa quando il padre è salito al trono dopo la morte di Abdullah. L’altro consulente di Salman sarà Muhammad bin Nayaf, ministro degli interni dal 2012 e attuale secondo principe ereditario e secondo viceprimo ministro. Nayaf, nipote di re Salman, è secondo in linea al trono dopo il principe ereditario Muqrin bin Abdulaziz al-Saud. Muqrin era il capo del Muqabarat al-Amah, l’agenzia d’intelligence saudita nel 2005-2012.

Nel 2006, i capi dell’opposizione democratica saudita in Gran Bretagna accusarono Salman, allora governatore della provincia di Riyadh, di fornire aiuti materiali ad al-Qaida in Afghanistan, prima e dopo l’11 settembre. L’opposizione rivelò che i membri di al-Qaida viaggiavano regolarmente da Riyadh al Pakistan e poi alle regioni governate dai taliban in Afghanistan. Questi sauditi riferirono anche che il governatorato di Salman pagava in contanti hotel e voli aerei ai membri di al-Qaida. Non c’è dubbio che le attività di Salman per conto di al-Qaida siano note alla Central Intelligence Agency (CIA), che approvò i rifornimenti sauditi ai guerriglieri arabi tra i mujahidin in Afghanistan fin dai primi giorni del coinvolgimento di Langley nella campagna jihadista per abbattere il governo socialista e laico dell’Afghanistan.

Poco prima della sospetta morte in Scozia nel 2005, l’ex-ministro degli Esteri inglese Robin Cook scrisse su The Guardian che “al-Qaida” era l’archivio dei mercenari, finanzieri ed interlocutori utilizzati dalla CIA per combattere i sovietici in Afghanistan: “Per tutti gli anni ’80, lui (Usama bin Ladin) fu armato dalla CIA e finanziato dai sauditi per la jihad contro l’occupazione russa dell’Afghanistan. Al-Qaida, letteralmente ‘l’archivio’, era in origine i file dei computer di migliaia di mujahidin reclutati e addestrati dalla CIA per sconfiggere i russi”.

Secondo l’opposizione saudita e Cook, è inconcepibile che Salman non fosse a conoscenza delle attività del personale del suo governatorato a Riyadh. Quando un principe saudita e noto parente di re Salman, il primo consigliere principe Muhammad bin Nayaf, chiamato anche Nayif, fu arrestato in Francia per narcotraffico nel 1999, il ministero degli Interni saudita informò Parigi nel 2000 che se la Francia trascinava in tribunale il principe Nayaf, il contratto da 7 miliardi di dollari per il radar della difesa del progetto SBGDP (“Garde Frontiere”) con la ditta franceseThales, sarebbe stato annullato. I dettagli si trovano in un cablo diplomatico francese riservato, datato 21 febbraio 2000. Il tema del cablo era un incontro tra funzionari francesi e il ministro degli Interni saudita principe Nayaf, sul caso di un aereo saudita sospettato di narcotraffico (“Prince Nayef, ministre saoudien de l’interieure. Affaire de l’avion saoudien soupçonne d’avoir servi a un traffic stupefiants“.) Il cablo fu inviato dal consulente tecnico del ministero degli interni francese François Gouyette al ministero della giustizia francese e all’ambasciata francese a Riyadh. Gouyette divenne ambasciatore francese negli Emirati Arabi Uniti nel 2001. La cocaina spacciata da Nayaf era, secondo un documento riservato dell’US Drug Enforcement Administration (DEA), utilizzata per finanziare al-Qaida in Afghanistan. Il denaro del ministero dell’Interno per pagare le reclute del terrorismo che passavano per Riyadh, era i proventi del narcotraffico detenuti in conti bancari segreti. La CIA lo sapeva e incoraggiava i pagamenti sottobanco delle reclute di al-Qaida, proprio come fa oggi con le reclute di al-Qaida liberate dalle carceri saudite e pagate dai mediatori governativi sauditi.

Nel 1999, la DEA sventò una cospirazione, per contrabbandare cocaina colombiana dal Venezuela, del principe Nayaf a sostegno di certe “intenzioni future” basate su una profezia coranica. Le operazioni della DEA erano contenute in un memorandum “di declassificazione del documento segreto 6 della DEA ufficio di Parigi” del 26 giugno 2000. Nel giugno 1999, 808 chilogrammi di cocaina furono sequestrati a Parigi. Nello stesso tempo, la DEA conduceva una grande inchiesta sul cartello della droga di Medellin, chiamata Operazione Millennio. Attraverso un fax intercettato, l’ufficio di Bogota della DEA apprese della cocaina sequestrata a Parigi e collegò l’operazione ai sauditi. L’indagine della DEA s’incentrava sul principe saudita Nayaf al-Saud, il cui alias era “El Principe”. Il nome completo di Nayaf è Nayaf (o Nayif) bin Fawaz al-Shalan al-Saud. Nel perseguimento dei suoi traffici di droga internazionali, Nayaf viaggiava con il suo Boeing 727 e sfruttò il suo status diplomatico per evitare i controlli doganali. Il rapporto della DEA affermava che Nayaf aveva studiato presso l’Università di Miami, in Florida, di proprietà di una banca in Svizzera, parla otto lingue, aveva pesantemente investito nell’industria petrolifera del Venezuela, visitava regolarmente gli Stati Uniti e viaggiava con milioni di dollari statunitensi.

Nayaf aveva anche investito nell’industria petrolifera della Colombia. Nayef avrebbe incontrato i membri del cartello della droga a Marbella, in Spagna, dove la famiglia reale saudita ha una grande palazzina. La relazione afferma che, quando un gruppo di membri del cartello si recò a Riyadh per incontrare Nayaf, “furono accolti da una Rolls Royce appartenente a Nayaf e portati all’hotel Holiday Inn Riyadh. Il giorno successivo furono accolti da Nayaf e dal fratello (che si credeva si chiamasse Saul (sic). Il fratello gemello è il principe Saud. Il fratello maggiore, principe Nawaf, è sposato con la figlia di re Abdullah)… Il secondo giorno viaggiarono nel deserto su fuoristrada (Hummer). Durante il viaggio nel deserto discussero di narcotraffico. “UN” (informatore della DEA) e Nayaf accettaono di spedire 2000 kg di cocaina a Caracas, usando gente di UN, da cui Nayaf poteva facilitarne il trasporto a Parigi. Nayaf spiegò che avrebbe utilizzare il suo jet di linea 727, sotto copertura diplomatica, per il trasporto della cocaina. Nayaf disse a “UN” che poteva trasportare 20000 chilogrammi di cocaina nel suo aereo di linea, e propose ad “UN” di inviarne 10-20000 chilogrammi in futuro. “UN” chiese perché Nayaf, presumibilmente devoto musulmano, fosse coinvolto nel narcotraffico. La risposta di Nayaf illumina ciò che oggi è noto del finanziamento del terrorismo saudita, meritevole di attenta lettura. Durante l’incontro di Riyadh, Nayaf rispose alla domanda di “UN” affermando che “è un rigoroso sostenitore del Corano musulmano (sic)”. “UN” dichiarò, “Nayaf non beve, non fuma né viola qualsiasi precetto del Corrano (sic)”. “UN” chiese a Nayaf perché voleva vendere cocaina e Nayaf rispose che il mondo è già condannato e che era stato autorizzato da Dio a venderla. Nayaf disse a “UN” che poi avrebbe capito le vere intenzioni del suo narcotraffico, sebbene poi non dicesse altro. Il narcotraffico del principe saudita fu distrutto da DEA e polizia francese nell’ottobre 1999. Il riciclaggio di narcodollari a sostegno dei terroristi di al-Qaida in Afghanistan e Pakistan, la rigida interpretazione del Corano nel futuro governo dell’Arabia Saudita, il ritorno della temuta polizia religiosa, la “mutawin” e la repressione del legittimo dissenso interno in Arabia Arabia: questo è lo stile di governo che re Salman porta all’Arabia Saudita”. Wayne Madsen – globalresearch

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Le 1000 frustate dell’Arabia Saudita

#FreeRaif

Mentre infuriano le polemiche, dopo i fatti di Parigi, su Islam e libertà di parola, in Arabia Saudita, “amica” dell’occidente, il blogger dissidente Raif Badawi viene condannato a 10 anni di prigione, 1000 frustate e una multa di 1.000.000 di rial sauditi (circa 196.000 euro). Anche la moglie di Raif, Ensar Haidar, è nel mirino degli integralisti islamici ed ha chiesto asilo politico in Canada insieme ai tre figli.

Raif è stato arrestato e condannato nel 2012 per presunte offese alla religione, per oltraggio, crimini informatici e persino per aver disobbedito a suo padre. Il 31enne scrittore saudita e creatore del sito laico Free Saudi Liberals. Solo grazie all’intervento, nel 2013, dell’Alta Corte era riuscito ad evitare la pena di morte. La stessa corte che ora decide di riaprire il caso e sospendere la condanna anche grazie alle 14 mila firme della petizione on line contro la tortura recapitate a re Abdullah. La punizione è stata solamente sospesa, non revocata. Se l’attenzione internazionale calerà nei prossimi giorni, Raif Badawi potrebbe scontarla tutta la sentenza comprese le mille frustate: 50 ogni venerdì in pubblico a Gedda, all’esterno della moschea di al Jafali.

In uno dei suoi post su Free Saudi Liberals Badawi ha scritto: “Abbiamo il diritto di pensare e dire ciò che vogliamo così come abbiamo il diritto di amare e di odiare, di essere islamisti o liberali. Nelle società arabe e islamiche dobbiamo avere maggiore rispetto per la libertà dell’individuo. Gli Stati fondati sulla religione rinchiudono i loro cittadini in un circolo vizioso di fede e paura”.

Ha denunciato un sistema in cui è proibito tutto: dalla guida per le donne, due attiviste nelle scorse settimane sono state arrestate e condannate perché erano al volante, fino alla formazione di associazioni e partiti, alle elezioni, alle manifestazioni pubbliche. Ha osato dire che l’Università Islamica “Imam Muhammad ibn Saud” di Riyadh è un laboratorio del wahabismo più radicale che spinge tanti giovani sauditi ad abbracciare il jihadismo armato. Troppo per un regime che da un lato afferma di combattere al Qaeda e lo Stato islamico e poi lascia che tanti dei suoi ricchi cittadini versino generosi finanziamenti che, per varie strade, arrivano proprio a quei gruppi.

La fustigazione viola il divieto assoluto di tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti previsti del diritto internazionale. Anche l’adozione di provvedimenti penali per aver criticato pacificamente funzionari e istituzioni pubbliche e per aver difeso pacificamente i diritti umani viola le norme internazionali sui diritti umani. Ma i nostri “amici” dell’Arabia Saudita proseguono come se nulla fosse la capillare campagna di persecuzione contro gruppi e attivisti indipendenti per i diritti umani.

Ricordiamo, per chi non lo sapesse che la “moderata” Arabia saudita, alleata di ferro dell’Amministrazione Usa in Medio Oriente, morbida verso Israele, generosa nell’acquisto per decine di miliardi di dollari di armi americane ed europee e che ora, opponendosi ad una riduzione della produzione di petrolio, ci garantisce il barile di greggio sotto i 50 dollari.

Amnesty International Italia ogni giovedì manifesterà di fronte all’ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma per chiedere la fine delle frustate e la liberazione di Badawi, che l’organizzazione per i diritti umani considera un prigioniero di coscienza.

Firma l’appello online: Raif Badawi a rischio imminente di fustigazione Continue Reading

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Barack Obama il “ribelle” siriano

 

La Reuters ha faticato parecchio prima di poter pubblicare che qualche mese fa il Presidente americano Barack Obama aveva approvato una “intelligence” dalla quale risulta che la CIA , Central Intelligence Agency , doveva dare un appoggio ai “ribelli” armati, che si battono per un cambiamento di regime in Siria e che ora questo sostegno deve essere tolto.

A questo punto anche i più sperduti pescatori delle isole Figi già saranno a conoscenza di questo “segreto” (per non tornare a ripetere che in tutta l’America Latina si conosce una cosetta o due su come la C.I.A. si sappia destreggiare nel rovesciare un regime).

La Reuters descrive con cautela questo sostegno come “circoscritto”. Ma questo è, ovviamente, il codice per “proteggersi le spalle “.

Infatti ogni volta che la CIA vuole abbandonare qualche progetto si serve della stampa e di qualche scriba fedele, come David Ignatius del Washington Post. Già lo scorso 18 luglio Ignazio si stava ripetendo la lezione imparata, secondo cui ” la CIA sta lavorando con l’opposizione siriana da diverse settimane per perseguire un programma non-letale … Decine di agenti dei servizi segreti israeliani sono anche all’opera lungo il confine con la Siria, pur mantenendo un basso profilo “.
Ma che bella immagine. Cosa si può fare a basso profilo lungo il confine con la Siria? Avranno fatto una foto mentre sorridevano in mezzo a un gruppo di camionisti?

Per quanto riguarda il”basso profilo” del Mossad , quello che si sa a Tel Aviv è che Israele è in grado di “controllare” lo sciame di estremisti wahabiti, salafiti-jihadisti che stanno infestando la Siria. Anche se quello che sto per dire è una evidente stupidaggine, sembra proprio che Israele stia andando a letto con gli islamisti alla scuola di al-Qaeda .

Questo significa che l’esercito “non esattamente libero” Siriano (FSA) è pieno zeppo di irriducibili Fratelli musulmani e infiltrati salafiti-jihadisti che stanno seguendo l’ordine del giorno non solo per ordine dei loro finanziatori e fornitori di armi – la Casa saudita e el Qatar -, ma anche di Tel Aviv , oltre che di Washington e dei suoi barboncini patentati di Londra e Parigi. Quindi questa non è solo una guerra per procura – ma è una guerra multipla, una guerra con una procura concentrica.

Il triangolo della morte

L’agenda di Tel Aviv è chiara: un governo siriano indebolito, un esercito occupato su più fronti e in confusione, che sente un odio settario tutto intorno è un inarrestabile declino verso la balcanizzazione. L’obiettivo finale, non è solo la libanizzazione, ma la somalizzazione di Siria e dintorni.

L’agenda della Turchia rimane incredibilmente oscura – a parte il desiderio che il post-Assad in Siria diventi una versione mite e civile del regime AKP di Ankara (cosa che non accadrà).

Come diciamo da mesi, la NATO fino a qualche tempo fa gestiva un centro di comando e controllo a Iskenderun, nella provincia turca di Hathay. Recentemente, è finalmente trapelata la notizia alla Reuters di una base “segreta” gestita da Turchia, Qatar, Arabia Saudita a Adana, a 100 chilometri dal confine siriano. Casualmente Adana e la sede di Incirlik, una immensa base NATO. Una fonte locale di Asia Times già da diverse settimane stava segnalando dei movimenti frenetici di merci intorno a Incirlik.

E ‘stato vice ministro degli Esteri saudita Abdulaziz bin Abdullah al-Saud che ha chiesto, personalmente, che la base fosse collocata a Incirlik , per la gioia di Ankara.

Ankara-Riyadh-Doha : parliamo di un triangolo della morte. Tuttavia, quello che fa il Qatar è ancora una volta la politica del “coprirsi le spalle”. La Turchia sta caricandosi la parte più sporca del lavoro militare, la CIA sta nascondendo la mano e il Qatar sembra essere solo un innocente turista di passaggio che scatta una foto (mentre ha diretto tutte le operazioni per mezzo della sua intelligence militare). I pezzi grossi sono diventati tutti dei non meglio specificati “intermediari”.

Obama non ha autorizzato una guerra con i drone -inoltre- la CIA non è autorizzata ad armare i “ribelli”: eccolo è questo l’affare del “triangolo della morte”.

Una quantità enorme di granate russe, comprate sul mercato nero è stata responsabile dei i recenti massacri di “ribelli” di Damasco e Aleppo. Ora c’è da aspettarsi che una altrettanto enorme quantità di armi anticarro e missili terra-aria giunga ai ribelli; NBC News ha già riferito di un “dono” di quasi due dozzine di missili terra-aria che è stato consegnato alla FSA -ovviamente in arrivo dalla Turchia.

Qatar e Arabia Saudita non stanno facendo prigionieri. A Washington sembra che nessuno si stia preoccupando di guardare indietro, a quanto accaduto nel periodo dopo la jihad in Afghanistan, prima di prendere una decisione.

A proposito, quello che sta succedendo ora in questi territori è ancora una volta quanto avvenne in Afghanistan nel 1980 : l’Arabia Saudita e il Qatar oggi interpretano il ruolo del Pakistan, la FSA fa la parte dei gloriosi Mujahideen “combattenti per la libertà” e Obama, fa come faceva Ronald Reagan. L’unico elemento mancante per replicare lo stesso copione è l’approvazione di Obama di un ” memorandum di notifica preventivo” da inviare ai servizi segreti, per autorizzare Washington a militarizzare i combattenti per la libertà e comiciare a inviare uno sciame di droni.

Ora questa è la ricetta per realizzare un Blockbuster di Hollywood, garantito, modello 2013.

Riyadh, da parte sua, sta costringendo il re di Giordania ad installare una zona cuscinetto nel suo territorio per le oltre 100 bande che formano il FSA – come rivela “al-Quds al-Arabi” finanziato dai sauditi.

E indovinate chi era il braccio destro che ha fatto concludere l’affare? Nientemeno che il principe Bandar, capo dei servizi segreti sauditi, ora introvabile e che può o non può essere stato ucciso in un attentato due settimane fa . (vedi Where is Prince Bandar? Asia Times o-l- 02 Ago. 2012)

La comare secca vince sempre.

Vale la pena ripeterlo fino quando la “comare secca” arriverà per portarli via come uno spettacolare ritorno di fiamma con una lingua lunghissima.

Un prolungato assedio di Aleppo è a portata di mano. La “base segreta” della NATO-formata dal consiglio di cooperazione del Golfo in Turchia insieme a tutti i non-armati, stanno rafforzando un mix estremamente pericoloso di disoccupati e giovani siriani sunniti – semi-analfabeti, fanatici, nati per uccidere disertori e criminali, salafiti- jihadisti di qualsiasi nazione. Questo video mostra tutto quanto bisogna conoscere sul fronte armato siriano .

E questo mostra a che tipo di “democrazia” stanno puntando.

Wahabiti sauditi vogliono un estremismo islamista sunnita in Siria – che prevede cristiani, Allawiti, drusi e curdi, come cittadini di terza categoria (e candidati principali per la decapitazione). Gli emiri del Qatar vogliono un protettorato dei Fratelli Musulmani.

Chi fa la politica estera dell’amministrazione Obama deve sintonizzarsi su questo (pessimo) canale. Proprio perché si sono infognati in una vera e propria guerra che non è solo contro l’Iran, ma anche contro tutti gli sciiti, non si capisce come fanno a scommettere su una somalizzazione della Siria, se non godono della compiacenza degli wahhabiti .

La comare secca sogghigna e attende dietro le quinte.

Pepe Escobar

Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007) e Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge. Il suo ultimo libro è Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009).

Fonte : http://www.atimes.com – Tradotto per www.ComeDonChisciotte.org da ERNESTO CELESTINI

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