Allevato “senza uso di antibiotici”, cosa significa?

Allevato senza uso di antibiotici

Oggi è possibile trovare sugli scaffali dei supermercati uova e carni prodotti senza l’uso di antibiotici: “Allevato senza uso di antibiotici”.

Tale dicitura sarebbe riferibile al disciplinare di etichettatura volontaria delle carni di pollame (pollo, gallina, tacchino, faraona, anatra) autorizzato dal Ministero della politiche agricole, alimentari e forestali nel 2005, di cui è titolare Unaitalia associazione di categoria che rappresenta oltre il 90% dell’intera filiera avicunicola. Lo scopo è fare scacco matto alla “antibiotico-resistenza“, un problema che mina la salute delle persone e degli animali. Continue Reading

Condividi:
1

Le mezze verità dell’industria sui polli italiani

allevamento polli

Cosa vuol dire che i polli vengono allevati a terra? C’è d’andare fieri del Made in Italy nel settore avicolo? Come sono e come vivono i polli che finiscono nei piatti degli italiani?

In Italia vengono allevati ogni anno ben mezzo miliardo di polli. I polli sono la specie allevata che cresce più velocemente. Negli allevamenti intensivi, i polli crescono fino a 90g al giorno, raggiungendo il peso di macellazione in appena 39-42 giorni (in altri sistemi di allevamento i polli vivono oltre gli 80 giorni). L’esasperata selezione genetica che consente di ottenere velocità di crescita elevate e un alto rendimento di carne (specie del petto) ha gravi conseguenze sulla salute e il benessere dei polli.

sei-mezze-verita-fanno-una-bugiaAllevare intensivamente un pollo significa: 

  • stiparlo in capannoni chiusi insieme ad altri animali fino a raggiungere il numero di 20 capi al m2 
  • utilizzare razze appositamente selezionate per farlo crescere in poco tempo ed ottenere un alto rendimento di carne 
  • tenerlo in condizioni così estreme che troppo spesso è portatore di Campylobacter o Salmonella 
  • somministrargli antibiotici anche se non è malato

L’industria cerca di rassicurare i consumatori con informazioni fuorvianti,  sventolando la denominazione Made in Italy. Ma sono solo strategie mirate ad assolvere le colpe del sistema intensivo con cui alleviamo oltre il 95% dei polli italiani.

CIWF Italia Onlus, l’unica associazione italiana no profit che lavora esclusivamente per la protezione e il benessere degli animali negli allevamenti, ha creato un’infografica per ristabilire la verità sul pollo, un animale che viene allevato in condizioni davvero estreme, dove di benessere animale non c’è nemmeno l’ombra.

Se consumi prodotti di origini animale, chiedi e scegli #nonintensivo.

Condividi:
1

L’allevamento intensivo distrugge il pianeta

6797521836_e393480021_z

Ogni anno 70 miliardi di animali sono uccisi per soddisfare il nostro bisogno di proteine, e circa i due terzi sono allevati in sistemi intensivi. Numeri destinati a crescere. Se ne prevedono 120 miliardi entro il 2050, quando la popolazione mondiale avrà raggiunto i 9 miliardi di individui, un dato, questo, che si sommerà ai regimi alimentari attuali, sempre più ricchi di carne. Il 40% dei cereali coltivati a livello globale e il 97% della soia sono utilizzati per alimentare il bestiame e l’Unep (United Nations Environment Programme) ha calcolato che, continuando su questa strada, i quantitativi di cereali che si prevede saranno destinati al bestiame nel 2050 potrebbero invece sfamare 3,5 miliardi di persone.

  • Ogni anno vengono allevati circa 70 miliardi di animali.
  • Nel mondo, due animali su tre vengono allevati intensivamente. Tenuti sempre al chiuso, in gabbia, stipati o in spazi ristretti. Trattati come macchine da produzione invece che da esseri senzienti quali sono.
  • A livello globale il 70% della carne di pollame, il 50% di quella di maiale, il 40% di quella bovina, il 60% delle uova, vengono prodotti in allevamenti intensivi. In Italia 85% dei polli sono allevati intensivamente, oltre il 95% dei suini vivino in allevamenti intensivi, quasi tutte le vacche da latte non hanno accesso al pascolo.
  • L’allevamento intensivo spezza il legame fra la terra e gli animali: toglie gli animali dal pascolo e li ammassa invece in capannoni e recinti fangosi.
  • L’allevamento intensivo è la più grande causa di maltrattamento animale sul pianeta.
  • Gli animali allevati industrialmente vengono in genere nutriti con alimenti commestibili come cereali, soia o pesce che potrebbero nutrire invece gli esseri umani.
  • Su una popolazione mondiale di 7 miliardi di persone, circa 1 miliardo di esse soffre la fame. Si prevede che la popolazione globale crescerà fino a 9 miliardi entro il 2050.
  • Se piantassimo in un campo tutte le coltivazioni utilizzate per alimentare gli animali da allevamento, arriveremmo a coprire l’intera superficie dell’Unione Europea, o la metà degli Stati Uniti.
  • Un terzo della raccolta mondiale di cereali viene utilizzato per alimentare il bestiame industriale; se fosse utilizzato direttamente per il consumo umano sfamerebbe circa 3 miliardi di persone.
  • Quasi tutta la produzione mondiale di soia viene data come mangime agli animali allevati industrialmente sotto forma di farina di soia. Se data invece alle persone, ne nutrirebbe un miliardo.
  • Gli allevamenti industriali non producono cibo, lo sprecano. Per ogni 100 calorie di cereali commestibili utilizzati come mangime per il bestiame, otteniamo solo 30 calorie sotto forma di carne o latte; una perdita del 70%. Il Report sulla Sicurezza Alimentare delle Nazioni Unite riconosce che i “sistemi intensivi..riducono l’equilibrio nella produzione di cibo” a livello mondiale.
  • L’allevamento intensivo fa crescere i prezzi del cibo aumentando la domanda di alimenti di base come i cereali in un periodo in cui la capacità mondiale di approvvigionamento si sta riducendo.
  • Almeno un terzo del pescato complessivo mondiale non raggiunge mai una bocca umana; una larga parte di esso viene destinata ad alimentare pesci allevati, suini e pollame.
  • Nel mondo, circa il 40% di tutto il pesce consumato dalle persone è oramai allevato e non è incluso nel summenzionato dato di 70 miliardi di animali.
  • Servono 2-5 tonnellate di pesce selvaggio per produrre 1 tonnellata di pesci carnivori da allevamento come salmone, trota e halibut.
  • Le Nazioni Unite stimano che nel mondo un terzo del cibo venga sprecato. Questo cibo costituisce il 28% dei terreni agricoli, per un valore di 750 miliardi di dollari, l’equivalente del PIL della Svizzera.
  • La sola Gran Bretagna spreca ogni anno in carne l’ equivalente di 110 milioni di animali allevati, per un valore di 2.4 miliardi di sterline.
  • Globalmente, si spreca ogni anno una quantità di carne corrispondente a 12 miliardi di animali allevati, per un valore di 486 miliardi di dollari. Questo dato include 59 milioni di bovini, 270 milioni di suini e più di 11 miliardi di polli.
  • Ogni anno viene abbattuta un’area di foresta pari alla metà della Gran Bretagna,prevalentemente per coltivare mangime per animali e allevare bestiame.
  • A livello mondiale l’industria del bestiame contribuisce al 14.5% delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo – più di tutte le nostre macchine, gli aerei, i treni messi assieme. Con l’allevamento intensivo come traino, il numero degli animali allevati è destinato a raddoppiare entro il 2050.

Malattie e salute

  • Le malattie originate dagli allevamenti intensivi costituiscono una minaccia quotidiana alla salute pubblica – si è riscontrato che le forme gravi di Salmonella, il batterio che causa intossicazione alimentare, hanno sei volte in più la probabilità di verificarsi negli allevamenti in batteria piuttosto che in allevamenti non in gabbia nel Regno Unito.
  • Due terzi dei polli in vendita in Gran Bretagna sono risultati positivi alla contaminazione da Campylobacter, una causa crescente di intossicazione alimentare. I polli, causa dell’80% delle infezioni in Gran Bretagna, sono più vulnerabili se stressati con diete povere e da condizioni tipicamente riscontrate negli allevamenti intensivi.
  • Metà degli antibiotici utilizzati nel mondo e circa l’80% di quelli usati negli Stati Uniti vengono somministrati agli animali da allevamento, principalmente per tenere lontane malattie altrimenti inevitabili negli allevamenti industriali. Questa pratica contribuisce a creare l’emergenza dei superbatteri resistenti agli antibiotici. La Direzione Generale di Medicina Veterinaria mostra che circa il 95% degli antimicrobici utilizzati negli allevamenti del Regno Unito è destinato a suini e pollame, le due specie più allevate con metodi intensivi.
  • Tenere gli animali in condizioni di intenso sovraffollamento crea un ambiente paragonabile ad una pentola a pressione per la diffusione di malattie come l’influenza aviaria altamente patogena. La FAO ha dichiarato che “globalmente, si ritiene che la maggior parte dei casi di HPAI (Influenza Aviaria Altamente Patogena) siano stati originati dalla mutazione di un virus a bassa patogenicità, derivato dagli uccelli acquatici, in un virus altamente patogeno di HPAI, attraverso il passaggio nei polli domestici. L’intensificazione della produzione di pollame, specialmente se non accompagnata da appropriate misure di biosicurezza, può favorire questo processo perché produce un grande numero di animali, vulnerabili, altamente concentrati, in cui il virus dell’influenza aviaria si apre un varco, una volta che è entrato nell’allevamento”.
  • Gli animali allevati intensivamente e alimentati a grano producono carne con una concentrazione maggiore dei poco salutari grassi saturi, con meno proteine e nutrizionalmente più povera di quella degli animali che possono pascolare.
  • Attualmente un tipico pollo da supermercato allevato intensivamente contiene circa il triplo di grassi e un terzo in meno di proteine di 40 anni fa.
  • Incentivate dall’accesso a carne di basso valore e scarsa qualità, le persone nel mondo occidentale stanno mangiando eccessive quantità di carne e la loro salute ne sta risentendo. La dieta occidentale, insieme all’allevamento intensivo, viene esportata in tutto il mondo, portando ad un’epidemia mondiale di disturbi legati all’obesità.

Risorse

  • L’allevamento di bestiame necessita di enormi quantità d’acqua – 22 vasche da bagno per un chilo di polli, 27 vasche per un chilo di suini e 90 per un chilo di manzo.
  • Fino a 2 miliardi di persone al momento stanno soffrendo per la scarsità di risorse idriche ed è probabile che questo numero cresca a 4-7 miliardi entro il 2050, ovvero più della metà della popolazione mondiale.
  • Una tonnellata di mais prodotto con l’agricoltura estensiva (alimento base per il bestiame degli allevamenti intensivi) richiede l’equivalente di un barile di petrolio per essere prodotto. L’agricoltura biologica è più efficiente energeticamente dell’agricoltura convenzionale in praticamente tutti i casi.

Ambiente e Inquinamento

  • L’impatto dell’allevamento intensivo va molto al di là dei confini del capannone in cui sono allevati gli animali; un enorme superficie di terreno è dedicata alle monocolture chimiche di cereali e soia per il mangime degli animali.
  • Alcuni dei nostri uccelli più amati sono scomparsi, specie una volta comuni nella campagna inglese come l’allodola, la tortora e, la pavoncella sono diminuite sensibilmente. Questo a causa dell’allevamento intensivo e dei cereali.
  • L’industria scozzese di allevamento intensivo di pesce ha prodotto emissioni di azoto paragonabili alla produzione di liquami di 3.2 milioni di persone. La popolazione della Scozia è di poco superiore a 5 milioni di persone.

In conclusione, si ha un allevamento intensivo laddove gli animali vengono trattati come macchine produttive piuttosto che come esseri senzienti con necessità di benessere quali sono. Comprende modalità di allevamento caratterizzate dall’uso di sistemi di restrizione (gabbie) o capannoni sovraffollati, o recinti esterni senza alcun arricchimento dove gli animali hanno la tendenza a contrarre malattie causate da questo tipo di produzione.

L’allevamento intensivo è energivoro; utilizza mangimi concentrati, intensa meccanizzazione e bassi standard lavorativi.

(Fonte ciwf)

Condividi:
0

Italiani e farmaci: Ogni anno spendiamo 430 euro per 30 medicinali

farmaci-Italia

Presentato nei giorni scorsi  il Rapporto su “L’uso dei farmaci in Italia” realizzato dall’Agenzia nazionale del Farmaco (Aifa). Complessivamente in Italia sono state consumate, nel corso del 2012, 1.627 dosi di medicinali al giorno ogni 1.000 abitanti (ovvero, considerando anche i consumi in ospedale, in media ogni cittadino italiano, includendo anche i bambini, assume ogni giorno 1,6 dosi di farmaco), il 71% delle quali è stato erogato a carico del Servizio Sanitario Nazionale, mentre il restante 29% è relativo a dosi di medicinali acquistati direttamente dal cittadino. Nel 2012 la spesa farmaceutica totale, pubblica e privata, è stata in Italia pari a 25,5 miliardi di euro (nel 2011 era stata di 26,3 miliardi), di cui il 76% è stata rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale. In media, per ogni cittadino italiano, la spesa per farmaci è stata di circa 430 euro (434 nel 2011).

Nel 2012 ogni italiano ha acquistato in media 30 confezioni di medicinali attraverso le farmacie pubbliche e private, per un totale di oltre 1,8 miliardi di confezioni (in riduzione rispetto all’anno precedente del -0,4%). La spesa farmaceutica totale, pubblica e privata, è stata pari a 25,5 miliardi di euro, il 76% dei quali è stato rimborsato dal SSN. In media, per ogni cittadino italiano, la spesa per farmaci è stata di circa 430 euro. Le dosi giornaliere totali prescritte ogni mille abitanti nel 2012 sono state 1.626,8. La spesa farmaceutica territoriale complessiva, sia pubblica che privata, si è ridotta rispetto all’anno precedente del -5,6% ed è stata pari a 19.389 milioni di euro. Le dosi giornaliere prescritte ogni mille abitanti a carico del Servizio Sanitario Nazionale in regime di assistenza convenzionata sono state 985 (in aumento rispetto all’anno precedente del 2,3%), corrispondenti ad oltre 1 miliardo di confezioni dispensate (18,4 confezioni pro capite), con un incremento del +0,6% rispetto al 2011. Nel complesso della popolazione, la prevalenza d’uso è stata pari al 61%, con i più alti livelli nella popolazione pediatrica e nella popolazione anziana: il 50% dei bambini e oltre il 90% della popolazione anziana con età superiore ai 75 anni ha ricevuto almeno una prescrizione durante l’anno. Un anziano (con età superiore ai 74 anni) presenta consumi e spesa rispettivamente 22 e 8 volte superiori a quelli di un paziente con età compresa tra i 25 e i 34 anni. Emergono elevati livelli di inappropriatezza nell’uso di antibiotici nella popolazione anziana: il 56% dei pazienti di età compresa tra i 66 e i 75 anni con diagnosi di influenza è stato trattato con antibiotici rispetto al 24% dei pazienti con età inferiore ai 45 anni. I farmaci cardiovascolari rimangono al primo posto in termini di consumo (516 DDD/1000 ab die.) e di spesa farmaceutica totale sia pubblica che privata (4.350 milioni di euro). Al secondo posto per consumo (e per spesa) si collocano i farmaci dell’apparato gastrointestinale e metabolismo (242,2 DDD ogni 1.000 abitanti die), seguiti dai farmaci del sangue e organi emopoietici (218 DDD ogni 1.000 abitanti die), dai farmaci per il Sistema Nervoso Centrale (161 DDD ogni 1.000 abitanti die) e dai farmaci dell’apparato respiratorio (95 DDD ogni 1.000 abitanti die). I farmaci antineoplastici e immunomodulatori rappresentano la terza categoria terapeutica in termini di spesa farmaceutica complessiva (3.323 milioni di euro) e la dodicesima categoria in termini di consumi, pari a 13,5 DDD ogni 1.000 abitanti die. La prescrizione di farmaci a brevetto scaduto ha rappresentato nel 2012 il 62,1% delle dosi e il 37,7% della spesa netta, di cui il 13,4% è stato costituito dai farmaci equivalenti. Sia i consumi che la spesa dei farmaci a brevetto scaduto sono in aumento a confronto con il 2011, rispettivamente del 10,6% e del 6,4%. Nel confronto internazionale, l’Italia si colloca al terzo posto, dopo Grecia e Irlanda, in termini di spesa per farmaci che hanno goduto della copertura brevettuale; invece Inghilterra, Germania e Francia sono i Paesi con le più alte incidenze di spesa per farmaci equivalenti. In Italia si registra ancora un impiego limitato dei farmaci biosimilari che, al contrario, consentirebbero di guadagnare rilevanti risparmi in termini di spesa. Nell’ultimo anno hanno perso la copertura brevettuale alcune molecole ad elevato impatto sulla spesa: atorvastatina, irbesartan sia come monocomposto sia in associazione, candesartan, rabeprazolo, donezepil e la quetiapina. Nel 2012 lansoprazolo, pantoprazolo e omeprazolo continuano a rappresentare i primi principi attivi a brevetto scaduto in termini di spesa. Sono stati registrati nell’anno 2012 rilevanti incrementi nell’utilizzo di farmaci biosimilari, soprattutto per i biosimilari dell’epoetina alfa e del filgrastim.

La spesa territoriale pubblica, comprensiva della spesa dei farmaci erogati in regime di assistenza convenzionata e della spesa per i farmaci erogati in distribuzione diretta e per conto di classe A, è stata di 11.823 milioni di euro (il 61% della spesa farmaceutica territoriale) e ha registrato, rispetto all’anno precedente, una riduzione del -8%, principalmente determinata da una diminuzione della spesa farmaceutica convenzionata netta (-10,3%), mentre rimane stabile la spesa per i farmaci in distribuzione diretta e per conto (+0,2%). La spesa a carico dei cittadini [composta dalla spesa per compartecipazione da parte del cittadino (ticket regionali e differenza tra il prezzo del medicinale a brevetto scaduto consegnato al cittadino e il corrispondente prezzo di riferimento), dalla spesa per i medicinali di fascia A acquistati privatamente e da quella per farmaci di classe C] è stata di 7.566 milioni di euro, in riduzione del -1,5% rispetto al 2011. Ad influire maggiormente su questa flessione è stato il decremento della spesa a carico dei cittadini per l’acquisto di medicinali di classe C con ricetta medica (-6,5%), in parte compensato dall’incremento della spesa relativa alla compartecipazione a carico del cittadino (+5,2% rispetto al 2011), dall’incremento dell’acquisto privato di medicinali di fascia A (+0,6%) e dall’incremento della spesa per medicinali di automedicazione (+0,7%). La spesa per i farmaci acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche è risultata pari a 7,9 miliardi di euro (132,9 euro pro capite), con un incremento rispetto al 2011 del 12,6%.

Condividi:
0

Uso dei farmaci in Italia: Gli italiani restano degli appassionati di medicinali

Farmaci

Il Rapporto AIFA sull’uso dei farmaci in Italia relativi ai primi nove mesi del 2012, frutto dell’attività di monitoraggio dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’AIFA, offre un’analisi sistematica della prescrizione di farmaci in Italia in termini di consumi, spesa, tipologia di farmaci e caratteristiche degli utilizzatori. Gli italiani restano degli appassionati di medicinali, in particolare per quelli legati al sistema cardiaco. Nota positiva è la diminuzione del consumo degli antibiotici.

Gli italiani hanno acquistato, nei primi nove mesi del 2012, un totale di 1 miliardo e 368 milioni di confezioni di medicinali, per una media di circa 22 confezioni a testa, con una leggera flessione (-0,2%) rispetto ai primi nove mesi dell’anno precedente. A livello di consumi, nello stesso periodo temporale sono state prescritte 965,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti, un valore sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente. Per quanto concerne i consumi regionali, i livelli più elevati sono stati registrati nella Regione Sicilia con 1.083,7 dosi medie giornaliere ogni 1.000 abitanti, al contrario i consumi più bassi sono stati rilevati nella P.A. di Bolzano (720 dosi medie giornaliere per 1.000 abitanti).

Il Rapporto sull’uso dei farmaci in Italia” commenta il Direttore Generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco, Prof. Luca Pani “restituisce una fotografia accurata dell’andamento dei consumi e della spesa farmaceutica arricchita, in questa edizione, dai dati della distribuzione diretta e per conto che permettono di comprendere all’interno dell’analisi i medicinali dispensati dalle strutture sanitarie pubbliche”. “Dai dati contenuti nel Rapporto“ prosegue Pani “notiamo un consumo di medicinali che si rivela sostanzialmente stabile a livello nazionale, mentre a livello regionale si evidenzia una certa variabilità. I farmaci per il sistema cardiovascolare sono i più utilizzati dagli italiani e quelli che assorbono la maggior percentuale di spesa, seguono i farmaci per l’apparato gastrointestinale, i farmaci del sangue e organi emopoietici, quelli per il sistema nervoso centrale e per l’apparato respiratorio”. “Il Rapporto” spiega il Prof. Pani “ci indica che nel nostro Paese si continua a consumare una quota significativa di antidepressivi e tra questi quelli maggiormente prescritti sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI)”. “Dal punto di vista della spesa” conclude Pani “assistiamo a una contrazione della spesa complessiva determinata, per la spesa convenzionata, ovvero per i farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale distribuiti attraverso le farmacie pubbliche e private, da una flessione dei prezzi del -8,5%. Parallelamente decresce anche la spesa a carico dei cittadini che si riduce dell’1%”.

LE CINQUE CATEGORIE DI FARMACI PIÙ PRESCRITTE. I farmaci per il sistema cardiovascolare sono stati quelli più consumati (469,6 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti) e hanno costituito anche la maggiore voce di spesa (49,9 euro pro capite). In questa categoria, per quanto riguarda i farmaci distribuiti dalle farmacie pubbliche e private, rientrano le statine, utilizzate per trattare l’ipercolesterolemia, la cui spesa è risultata pari a 9,5 euro pro capite e gli ACE-inibitori, utilizzati come antipertensivi, il cui consumo è stato pari a 116,1 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti.A seguire, la seconda categoria per consumo è risultata quella dei farmaci per l’apparato gastrointestinale e metabolismo con 168,2 dosi giornaliere prescritte ogni mille abitanti e una spesa pari a 29,1 euro procapite. In questo tipo di analisi, relativamente ai farmaci distribuiti dalle farmacie pubbliche e private, rientrano gli inibitori della pompa protonica, indicati nel trattamento di patologie gastrointestinali e in crescita in termini di prescrizione in ambito territoriale (+8,6%) a fronte di una contrazione della spesa (-1,7%). I farmaci del sangue ed organi emopoietici hanno occupato il terzo posto per quantità prescritte (162 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti) con una spesa pari a 21,8 euro pro capite. I farmaci del sistema nervoso centrale (SNC) sono risultati invece al quarto posto per prescrizione (78,7 dosi giornaliere per 1.000 abitanti), e al quinto posto per spesa pubblica (24 euro pro capite). Gli antidepressivi, nell’ambito della spesa convenzionata (farmaci erogati dal SSN attraverso le farmacie pubbliche e private) sono stati la categoria maggiormente prescritta. In particolare, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono stati i medicinali utilizzati con maggiore frequenza (27,3 dosi ogni 1.000 abitanti) e i secondi in termini di spesa tra quelli del sistema nervoso centrale. Una molecola appartenente agli SSRI, l’escitalopram, si è posizionata nell’elenco dei primi trenta principi attivi che hanno inciso maggiormente sulla spesa farmaceutica convenzionata. L’elenco delle categorie maggiormente prescritte ha visto, infine, al quinto posto i farmaci per l’apparato respiratorio con 51,2 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti. A tale categoria appartengono gli antiasmatici, anticolinergici e i glicocorticoidi, indicati nel trattamento della broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO) e dell’asma.

IN DIMINUZIONE CONSUMO E SPESA PER GLI ANTIBIOTICI. Nei primi nove mesi del 2012 sono state consumate 21 dosi giornaliere ogni mille abitanti di antibiotici con una riduzione, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, del -6,4%. Anche la spesa per questa categoria di farmaci ha subito un calo con una riduzione, rispetto allo stesso periodo del 2011, del -18,3%. Tutte le Regioni hanno mostrato una flessione dei consumi rispetto al 2011 e i maggiori decrementi sono stati registrati nelle Regione Basilicata (-12,4%), Molise (-11,7%) e Liguria (-10,4%), mentre le riduzioni meno rilevanti sono state registrate in Valle d’Aosta (-0,8%), Lombardia (-1,4%), e Sardegna (-2,1%). In termini assoluti la Campania (29,3 dosi giornaliere per 1.000 abitanti), seguita dalla Puglia (27,3 dosi giornaliere per 1.000 abitanti) e dalla Calabria (25,9 dosi giornaliere per 1.000 abitanti), ha continuato ad essere la Regione con il maggior consumo di antibiotici, mentre i consumi meno elevati sono stati registrati nella P.A. di Bolzano (12,3 dosi giornaliere per 1.000 abitanti), in Liguria (14,7 dosi giornaliere per 1.000 abitanti) e in Friuli Venezia Giulia (14,8 dosi giornaliere per 1.000 abitanti).

I MEDICINALI A BREVETTO SCADUTO ED EQUIVALENTI. I medicinali a brevetto scaduto hanno costituito quasi il 40% (38,4%) della spesa convenzionata e più della metà delle dosi giornaliere consumate ogni mille abitanti (55,3%). Sia la spesa sia i consumi dei farmaci a brevetto scaduto sono risultati in aumento rispetto all’anno 2011, rispettivamente del +6,4% e del +10,2%. A registrare i maggiori incrementi nell’utilizzo sono state Calabria (+13,4%) e Sardegna (+12,4%). I medicinali equivalenti, i cosiddetti “generici puri”, hanno rappresentato il 25,2% della spesa totale dei medicinali a brevetto scaduto (assistenza convenzionata), quasi il 10% della spesa totale dei farmaci e il 17,3% dei consumi totali. Complessivamente, le Regioni in cui sono stati registrati i più elevati consumi di medicinali a brevetto scaduto sono state l’Umbria (57,7%), la Toscana (56,8%) e l’Emilia Romagna (56,7%), mentre l’incidenza più bassa è stata rilevata in Sardegna (51,4%), Basilicata (51,6%) e Molise (51,6%). Tra i primi trenta principi attivi a brevetto scaduto a maggior spesa è risultato stabile al primo posto il lansoprazolo, seguito da altri due inibitori della pompa protonica: il pantoprazolo e l’omeprazolo.

LA SPESA FARMACEUTICA. La spesa farmaceutica nazionale totale, comprensiva dei medicinali distribuiti attraverso le farmacie pubbliche e private e di quelli acquistati e dispensati dalle strutture sanitarie pubbliche (ASL, Aziende Ospedaliere, Policlinici Universitari, ecc.), è stata pari, nei primi nove mesi del 2012, a 19,2 miliardi di euro, tre quarti dei quali rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Sono tali i medicinali a base di principi attivi a brevetto scaduto, ad esclusione di quelli che hanno goduto in precedenza della copertura brevettuale. Nello stesso periodo la spesa farmaceutica territoriale a carico del SSN, comprensiva della spesa farmaceutica convenzionata netta e della spesa per i farmaci di fascia A erogati in distribuzione diretta e per conto, è stata pari a 9.223 milioni di euro (152,1 euro pro capite) con una riduzione pari al -6,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Esaminando le principali componenti della spesa convenzionata (farmaci erogati dal SSN attraverso le farmacie pubbliche e private), si osserva che la causa della riduzione della spesa è stata la diminuzione dei prezzi (-8,5%), mentre si è assistito ad un lieve spostamento della prescrizione verso categorie più costose (effetto mix:+0,7%) e ad una certa stabilità nei consumi (+0,4% in termini di dosi giornaliere). Tra le prime trenta molecole, che hanno rappresentato insieme oltre il 40% della spesa farmaceutica convenzionata, nelle prime tre posizioni sono risultate la rosuvastatina (ipercolesterolemia), il salmeterolo in associazione (malattie ostruttive respiratorie) e il lansoprazolo (malattie gastrointestinali). La spesa a carico dei cittadini, è stata pari a 5.766 milioni di euro, in diminuzione rispetto al 2011 (-0,9%). All’interno di questa voce rientrano la spesa per compartecipazione (ticket regionali e differenza tra il farmaco acquistato dal cittadino e il prezzo di riferimento dei medicinali a brevetto scaduto), la spesa per medicinali di fascia A acquistati privatamente e la spesa per quelli di classe C.

LE DIFFERENZE REGIONALI NELLA SPESA CONVENZIONATA. A livello regionale si è assistito ad una forte flessione della spesa pro capite rispetto al 2011 in tutte le Regioni italiane, con le maggiori riduzioni nella P.A. di Bolzano (-13%), in Liguria (-11,4%) e in Basilicata (-11%). Nel complesso, persistono alcune disomogeneità nella spesa convenzionata (farmaci erogati dal SSN attraverso le farmacie pubbliche e private) dove, a fronte di una media nazionale di 142,6 euro pro capite, la Sicilia evidenzia un valore massimo di 180,5 euro pro capite. All’estremo opposto si colloca la P.A. di Bolzano con il valore minimo di 97,3 euro pro capite.


Lobby d’Italia. L’Italia dei monopoli, delle corporazioni e dei privilegi. Di giornalisti, farmacisti, professori, banchieri, notai… Le storture di un Paese…. Francesco Giavazzi raccoglie gli articoli di una lunga battaglia a favore del merito, della concorrenza e del mercato. Spiega che il declino è solo colpa nostra. Un’Italia dove c’è molto credito ma poco capitale, più rendite che profitti, troppa ricchezza rispetto al reddito dove contano più le relazioni dei risultati, le paure dei progetti.” (Ferruccio de Bortoli)

 

Condividi: