Molto attenti alla loro salute e al benessere, gli italiani scelgono uno stile alimentare sempre più ricco di verdura e frutta, 4 famiglie su 10 acquistano prodotti vegani o vegetariani. Si mangia meno rispetto a dieci anni fa e la carne diviene la grande assente dalle tavole. E anche se non amano definirsi “V o V”, ormai quasi in un carrello su due compare un prodotto Veg. Questi i dati Nielsen (aprile 2016) rielaborati dal Centro Studi e Ricerche Coop. Continue Reading
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L’educazione alimentare nelle scuole
Il nostro Paese è tra le nazioni a più alta prevalenza di sovrappeso e obesità nei bambini di 8 e 9 anni insieme a Grecia e Spagna. A livello globale, il numero di bambini obesi o in sovrappeso, con meno di 5 anni di età, è passato da 31 milioni nel 1990 a 41 milioni nel 2014, con un aumento della prevalenza dal 4,8% al 6,1%.
In Italia, nel 2014, i bambini in sovrappeso erano il 20,9% e i bambini obesi il 9,8% (compresi i bambini severamente obesi che da soli rappresentavano il 2,2%). Il bambino obeso si mantiene obeso da adulto dal 30 al 60% dei casi con un rischio tanto maggiore, quanto maggiori sono il suo sovrappeso e la sua età.
Secondo una racente indagine di Altroconsumo sono proprio i genitori a sottostimare il peso dei figli. Solo il 17% infatti li vede in sovrappeso, mentre la maggioranza di essi (98%) non ritiene il grasso in eccesso un problema medico.
Il risultato di tutto ciò è che la prossima generazione vivrà meno dei propri genitori se non verrà fatto nulla per correggere queste statistiche allarmanti.
È da più parti segnalato l’importanza di una prevenzione precoce al fine di modificare quanto prima quegli errori alimentari che, non corretti, possono essere mantenuti per tutta la vita. La scuola come creatrice e promotrice di cultura rappresenta il luogo ideale per fare educazione alimentare, ed ha il dovere, di attivare comportamenti promotori di salute soprattutto in una fascia di età in cui i ragazzi sono particolarmente recettivi.
È ora che il Ministro della Istruzione a quello della Salute introducano, già dalle scuole primarie, un monte ore annuale in cui i bambini, assieme ad esperti del settore, possano fare educazione alimentare. Cominciando dalla conoscenza degli alimenti per classi di prodotto e di utilizzo, educare ad un rapporto equilibrato con il cibo, i principi della conservazione, dell’igiene e dell’ottimale utilizzo. L’alimentazione sana e corretta deve iniziare sui banchi. E stop ai distributori automatici di cibo spazzatura.
L’educazione alimentare può fare la differenza nelle vite delle prossime generazioni per aiutarli a condurre vite più sane, più felici e più produttive.
La carne Made in Italy è la più sana
Le carni Made in Italy sono più sane, perché magre, non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione “Doc” che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali tanto da garantire agli italiani una longevità da primato con 84,6 anni per le donne e i 79,8 anni per gli uomini. Lo afferma la Coldiretti precisando che “il rapporto Oms è stato eseguito su scala globale su abitudini alimentari molto diverse, come quelle statunitensi che consumano il 60% di carne in più degli italiani”.
Non si tiene peraltro conto, spiega la Coldiretti, che gli animali allevati in Italia non sono uguali a quelli allevati in altri Paesi e che i cibi sotto accusa come hot dog, bacon e affumicati non fanno parte della tradizione italiana.
Il consumo di carne degli italiani con 78 chili a testa è ben al di sotto di quelli di Paesi come gli Stati Uniti con 125 chili a persona o degli australiani con 120 chili, ma anche dei cugini francesi con 87 chili a testa. Gli italiani mangiano in media 2 volte la settimana 100 grammi di carne rossa (e non tutti i giorni) e solo 25 grammi al giorno di carne trasformata.
E dal punto di vista qualitativo la carne italiana è meno grassa e la trasformazione in salumi avviene naturalmente solo con il sale senza l’uso dell’affumicatura messa sotto accusa dall’Oms.
Proprio quest’anno peraltro, secondo l’analisi della Coldiretti, la carne ed è diventata la seconda voce del budget alimentare delle famiglie italiane dopo l’ortofrutta con una rivoluzione epocale per le tavole nazionali che non era mai avvenuta in questo secolo. La spesa degli italiani per gli acquisti è scesa a 97 euro al mese per la carne che, con una incidenza del 22% sul totale, perde per la prima volta il primato.
Il settore agroalimentare in Italia contribuisce a circa il 10-15% del prodotto interno lordo annuo, con un valore complessivo pari a circa 180 miliardi di euro. Di questi, sottolinea l’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi (Assica), circa 30 miliardi derivano dal settore delle carni e dei salumi, includendo sia la parte agricola che quella industriale. I settori considerati danno lavoro a circa 125.000 persone a cui va aggiunto l’indotto.
Agricoltura vittima e causa del cambiamento climatico
Entro il 2050 la popolazione mondiale si prevede possa aumentare di oltre 2 miliardi di esseri umani rispetto agli oltre 7,3 attualmente presenti (raggiungendo i 9,7 miliardi) (United Nations, 2015). Con ogni probabilità questo incremento potrebbe condurre a un raddoppio della domanda di cibo, come suggerito da diversi studi.
La domanda alimentare si prevede in incremento nei prossimi decenni, a causa di una popolazione mondiale in crescita e dei mutamenti che si verificheranno nella composizione della dieta e nei livelli di consumo associati all’incremento dell’urbanizzazione dei paesi di nuova industrializzazione (dalla Cina all’India, dal Brasile al Sud Africa, ecc.). Tutto questo potrebbe richiedere un aumento nella produzione agricola del 70%.
Ciò determinerà inevitabilmente ulteriore perdita di biodiversità e incremento delle emissioni di gas a effetto serra e inquinamenti di vario tipo. Inoltre l’espansione delle coltivazioni per ottenerne biocarburanti causerà un’ulteriore pressione sui sistemi naturali.
L’agricoltura ha già distrutto o trasformato radicalmente il 70% dei pascoli, il 50% delle savane, il 45% delle foreste decidue temperate e il 25% delle foreste tropicali. Dall’ultima era glaciale, nessun altro fattore sembra aver avuto un impatto tanto distruttivo sugli ecosistemi. L’area occupata dalle attività agricole è pari a 60 volte quella occupata globalmente da strade ed edifici.
Se escludiamo Groenlandia e Antartide, attualmente coltiviamo il 38% delle terre emerse. L’agricoltura è di gran lunga l’attività umana che usa più terreno in assoluto sul Pianeta e la maggior parte di questo 38% include i terreni migliori. Il resto è costituito principalmente da deserti, montagne, tundra, ghiaccio, città, parchi naturali e altre aree non adatte alla coltivazione. Le poche frontiere ancora disponibili si trovano nelle foreste tropicali e nelle savane, che però sono fondamentali per la stabilità degli equilibri dinamici del Pianeta, specialmente come sink di carbonio e riserve di biodiversità. Espandere le coltivazioni in queste aree costituirebbe un grave errore, tuttavia negli ultimi 20 anni sono stati creati tra i 5 e i 10 milioni di ettari di coltivazioni l’anno, di cui una parte significativa nelle zone tropicali. Questo incremento ha però portato a un aumento netto di terreno coltivato pari solo al 3%, a causa delle perdite dovute, per esempio, allo sviluppo delle aree urbane, in particolare nelle zone temperate.
Le attività umane, comprese quelle relative alla produzione, trasformazione, confezionamento, distribuzione, vendita al dettaglio e consumo di cibo, sono in parte responsabili dei cambiamenti climatici in atto a causa delle emissioni di gas serra delle attività agricole e zootecniche e cambiamenti d’uso del suolo. Queste attività stanno contribuendo a modificare anche altri aspetti del cambiamento ambientale globale (Global Environmental Change, GEC), comprese le alterazioni nell’approvvigionamento di acqua dolce, nella qualità dell’aria, nel ciclo dei nutrienti, nella biodiversità, nella copertura del suolo e dei terreni.
Il raggiungimento della sicurezza alimentare per tutta la popolazione mondiale è chiaramente una sfida più complicata del semplice incremento della produzione alimentare; il mondo, infatti, produce un quantitativo di cibo più che sufficiente per tutti, ma – ancora oggi – 795 milioni di persone (vale a dire una su nove) soffrono la fame (FAO, IFAD and WFP, 2015). Nonostante i progressi significativi, diverse regioni e sub-regioni continuano a restare indietro. In Africa sub-sahariana, più di una persona su quattro rimane cronicamente sottoalimentata, mentre l’Asia, la regione più popolosa del mondo, è anche la regione dove si concentra il maggior numero delle persone che soffrono la fame – 526 milioni (FAO, IFAD and WFP, 2015).
La questione fondamentale, però, come sottolineato dalle tre agenzie delle Nazion i Unite, riguarda l’accesso a cibo, piuttosto che la produzione alimentare. Il consumo di carne pro capite, infatti, è in continuo aumento, dal 1995 è incrementato globalmente del 15% come ricorda il Worldwatch Institute. E’ la Cina il paese leader nel consumo di carne a livello mondiale ( nel 2012 ha raggiunto un consumo annuale di 71 milioni di tonnellate, più del doppio di quello degli Stati Uniti) Anche la dieta europea è notevolmente cambiata nel corso degli ultimi 50 anni e molti di questi cambiamenti sono andati nella direzione di una maggiore assunzione di carne. Secondo la FAO, in Italia il consumo di carne è aumentato di oltre il 190% dal 1961 (31 kg pro capite l’anno) al 2011, con 90 kg pro capite l’anno. Numeri che fanno riflettere dato che oggi, nonostante si produca nel mondo un quantitativo di cibo più che sufficiente per tutti, soffrono ancora la fame ben 795 milioni di persone, quasi una su nove di cui oltre la meta’ in Asia.
La lotta contro la fame tornerà indietro di decenni a causa dei cambiamenti climatici se non si interviene urgentemente. Rispetto a un mondo senza cambiamenti climatici, nel 2050 potrebbero esserci 25 milioni in più di bambini malnutriti di età inferiore ai 5 anni, ovvero l’equivalente di tutti i bambini di quell’età di Stati Uniti e Canada (come indica Oxfam). Il Quinto e ultimo Rapporto dell’IPCC mostra che l’impatto del cambiamento su queste problematiche legate alla sicurezza alimentare, alla nutrizione, ai mezzi di sussistenza sarà peggiore di quanto precedentemente stimato e le conseguenze saranno avvertite molto prima, cioè già nei prossimi 20-30 anni. I cambiamenti climatici potrebbe far lievitare il prezzo di mais, frumento e riso del 120-180% come ricorda anche Oxfam. Ad avvalorare la tesi, negli ultimi anni ci sono stati tre picchi dei prezzi degli alimenti a livello globale: nel 2008, nel 2010 e nel 2012. Si ritiene che milioni di persone migreranno da zone sempre più aride a zone più fertili.
Le soluzioni? Passare dai sistemi di produzione alimentare dominanti al livello planetario, ad alto consumo di risorse naturali (come, ad esempio, il terreno fertile), all’agroecologia (con minimo utilizzo di fertilizzanti e pesticidi e input – come il letame e i concimi organici – prodotti localmente) e alla pesca sostenibile. L’85% degli stock ittici mondiali è pienamente sfruttato o sovrasfruttato o esaurito. 160 milioni di tonnellate di pescato, di cui il 44% da acquacoltura, sono volumi non più sostenibili. Occorre incoraggiare i pescatori, i fornitori, i compratori e i venditori a impegnarsi per la certificazione sostenibile del pescato e la tracciabilità della filiera. “L’impatto del cambiamento climatico sulla produzione alimentare e gli effetti di pratiche agricole dannose per il clima sono già una realtà”, ha dichiarato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia, “l’obiettivo è quello di creare sistemi alimentari fortemente integrati con la vitalità dei sistemi naturali e della biodiversità (il nostro capitale naturale costituito da suolo, acqua, foreste e specie ecc. ), che producano con il minor danno per l’ambiente e il clima”.
* Report WWF “IL CLIMA NEL PIATTO” diffuso alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Alimentazione che si celebrerà in tutto il mondo venerdì 16 ottobre
Le 12 regole per ridurre il rischio di cancro
Il Codice europeo contro il cancro è un’iniziativa della Commissione Europea nata per informare i cittadini delle azioni che possono essere intraprese da ognuno nella propria vita quotidiana per diminuire il proprio rischio di sviluppare un tumore e quello dei propri familiari. Il professor Franco Berrino, epidemiologo noto al grande pubblico come uno dei massimi esperti del rapporto tra alimentazione e tumori, ha partecipato a gruppi di lavoro riguardanti l’alimentazione ed in occasione di una conferenza ha reso note importantissime scoperte. A compilare la lista sono stati gli specialisti dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), l’ente dell’Organizzazione mondiale della sanità specializzato in oncologia, con sede a Lione, di cui Berrino fa parte. Le patologie tumorali, secondo le stime più recenti, colpiscono ogni anno, nell’Unione europea, circa 2,66 milioni di persone causando 1,28 milioni di morti. Si stima che il 30% dei tumori in Europa potrebbe essere evitato se tutti seguissero queste dodici regole.
- Non fumate. Non usate alcun tipo di tabacco. Il tabacco fa guadagnare alle ditte 900 miliardi al giorno, e fa morire 15.000 persone al giorno.
- Non consentite che si fumi in casa vostra. Il fumo passivo, inoltre ha una sua pericolosità anche tra i non fumatori e fa aumentare il tumore nei bambini.
- Impegnatevi a mantenere un peso corporeo sano. L’obesità è associata ai tumori e i grandi obesi perdono 10 anni di vita rispetto alle persone normopeso. Ma quali sono veramente i cibi che più fanno ingrassare secondo le ultimissime ricerche scientifiche? Troviamo le patatine, le patate, le carni conservate, le bevande zuccherate, burro, farine raffinate.
- Fate quotidianamente esercizio fisico. Limitate il tempo che trascorrete seduti. Un’ora di attività fisica riduce ad esempio il rischio di cancro alla mammella del 10%.
- Mantenete una dieta sana:
– consumate abbondantemente cereali integrali, legumi, verdure e frutta.
– limitate i cibi molto calorici (ricchi di zucchero e grassi).
– evitate le bevande zuccherate.
– evitate le carni conservate; limitate le carni rosse.
– limitate i cibi ricchi di sale. - Se consumate bevande alcoliche, di qualunque tipo, limitatene la quantità. Per la prevenzione del cancro è meglio non bere alcol.
- Evitate esposizioni prolungate al sole, specialmente da bambini. Usate protezioni solari. Non esponetevi a lampade abbronzanti.
- Nei luoghi di lavoro proteggetevi da sostanze cancerogene rispettando le regole di sicurezza.
- Controllate se nella vostra abitazione c’è un’alta concentrazione di radon e nel caso procedete a opportune modifiche strutturali.
- Per le donne:
– allattare al seno riduce il rischio di cancro. Se puoi, allatta il tuo bambino.
– la terapia ormonale sostitutiva (TOS) aumenta il rischio di alcuni tipi di tumore. Limitare l’uso della terapia ormonale sostitutiva (TOS). - Fate partecipare i vostri bambini ai programmi di vaccinazione per:
– l’epatite B, per i neonati.
– il papilloma virus (HPV), per le ragazze. - Partecipate ai programmi organizzati di diagnosi precoce per:
– tumori dell’intestino.
– tumori della mammella.
– tumori della cervice uterina.