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L’Isis è il gruppo terroristico più ricco del Mondo

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Lo Stato Islamico (Isis) ovvero il Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi, secondo la classifica stilata dal magazine Forbes, edizione israeliana, è il gruppo terrorista più ricco del mondo. In meno di 24 mesi ha creato una “formidabile macchina raccogli denaro” con un fatturato di circa due miliardi di dollari all’anno grazie alle donazioni private del Golfo, all’imposizione di dazi sulle merci in transito nei territori conquistati ed alla vendita del greggio, ha spiegato Aymenn Jawad Al-Tamimi, arabista dell’Università di Oxford. “Le attività di raccolta di denaro assomigliano a quelli di un’organizzazione mafiosa”, ha detto un funzionario dell’intelligence statunitense, “Sono ben organizzati, sistematici e ottengono attraverso l’intimidazione e la violenza”.

isis-dove-prende-soldiLo Stato Islamico significa petrolio: controlla sette campi petroliferi e due raffinerie nel nord dell’Iraq e sei dei dieci campi petroliferi presenti nella Siria orientale. Vende il greggio a un prezzo compreso tra i 25 e i 60 dollari al barile. Grazie al petrolio, quindi, gli estremisti riescono portare avanti la guerra e a mantenere le istituzioni. Non è da sottovalutare anche la rendita che proviene dai rapimenti: solo nel 2014, i terroristi islamici avrebbero incassato almeno 20 milioni di dollari dalla cattura in modo particolare di giornalisti e ostaggi europei.

Hamas con un miliardo di dollari di entrata all’anno è secondo grazie alla gestione dei tunnel sotterranei e ai finanziamenti dai Paesi arabi. I colombiani delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), con 600 milioni di dollari frutto di rapine, estorsioni, sequestri di persona e traffico di droga sono al terzo posto. Al quarto posto viene il libanese Hezbollah, con 500 milioni all’anno. Quinti sono i Taleban, con 400 milioni. Solo sesti in classifica Al Qaeda (150 milioni di dollari) che, senza Bin Laden ha difficoltà a raccogliere donazioni private dal Golfo ed ha visto precipitare le entrate da imposte. Settimo il gruppo pakistano Lashkar e-Taiba, con 100 milioni, ottavi i somali al-Shabaab, con 70 milioni all’anno, nona la nord-irlandese Real Ira, con 50 milioni all’anno e ultima l’organizzazione terroristica jihadista diffusa nel nord della Nigeria, i Boko Haram con 25 milioni.

Non c’è che dire il terrorismo, con le loro attività criminali senza pietà, è un affare miliardario. Un’economia nera parallela.

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Distrazione Isis

Isis

“L’Isis sa fare marketing di ciò che rubano (petrolio, grano, e altre materie prime), sanno riciclare denaro, sanno fare show business mediatico come nessun altro.

Sono piantati come un’erbaccia proprio all’incrocio delle maggiori nazioni egemoni del Medioriente: Siria, Iran, Turchia, Iraq. Destabilizzano tutto e tutti. Questi predoni, e sono solo predoni, sono stati infiltrati dai servizi USA-Israele proprio per destabilizzare tutta la politica e il pubblico internazionale nel momento in cui altri problemi stanno precipitando (finanza). 
I loro metodi sono troppo lontani dai principi dell’Islam radicale che mi furono raccontati dal capo spirituale di Al Qaeda di persona, e sono troppo ben organizzati per non aver avuto aiuti occidentali.

La domanda è: perché in 20 anni Al Qaeda non è mai riuscita a fare quello che Isis fa? Bin Laden fu organizzato e finanziato dalla CIA durante tutta l’invasione sovietica dell’Afghanistan, poi fu abbandonato. Non vi dice qualcosa che Al Qaeda si sia ritrovata senza mezzi e nascosta in piccoli buchi del mondo dopo l’abbandono americano?

Isis commercia in commodities e lavora con le banche internazionali. Credete che Isis possa vendere tonnellate di petrolio e grano ed essere pagata in contanti? Valigette di contanti? Camion di contanti? Treni di contanti? Sveglia!

I soliti predoni funzionali a distrarre l’Occidente. L’ho scritto anni fa: si chiama La Politica della Paura. Isis, Ebola, oddio! Tu non pensare che due direttive UE e una riunione della FED ci faranno perdere 1 milione di posti di lavoro nei prossimi due anni. Isis…. Buuuuuu! L’uomo nero!” Paolo Barnard

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Isis, al-Qaeda e le strategie mediatiche del terrorismo

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La strategia del terrore attraverso le decapitazioni dei kuffar contraddistingue IS ed è destinata a continuare perché è parte della sua identità, del suo brand e delle sue origini.

“Noi dobbiamo partire da un presupposto: il terrorismo è comunicazione, ma è molto chiaro. Se noi vogliamo fare paura, dobbiamo minacciare. E questo è un punto fondamentale che il terrorismo conosce bene e da sempre utilizza le strategie della comunicazione come strategie di guerra che si muovono su un campo diverso da quello di battaglia. Come ci sono combattenti capaci sul campo, ci sono combattenti formati nelle nostre università – molto probabilmente – che si preoccupano di fare comunicazione in Is per Is. E questo è un aspetto. Quindi, non servono tanti soldi, ma comunque Is è l’organizzazione che ha più soldi in questo momento. E’ difficile stimare, ma ci sono stime che si attestano attorno ai 5-6-7 milioni di dollari al giorno, come entrate. Da dove? Bè, dal petrolio, primo aspetto: Is controlla buona parte di Siria e Iraq che ha grandi pozzi di petrolio. Oggi viene venduto sottocosto: 25-30 dollari a barile contro i 100. E la prima grande domanda che faccio a tutti è: ma se viene venduta sottocosto, chi lo compra? E questa è una grande domanda, perché non vorrei che quel petrolio girasse attorno a canali strani che poi lo portino comunque alle nostre pompe di benzina: perché staremmo finanziando Is. E questo è un aspetto. Poi, ha conquistato una parte di Iraq: dalla banca centrale di Mosul conquistata sono entrate diverse centinaia di milioni di dollari nelle tasche di Is. E infine, wahabiti arabi sono la testa del serpente da sempre. Soldi, da quelle parti ne arrivano! Ma anche le collocazioni strane di alcuni Paesi del Golfo, come il Qatar in particolar modo: il sostegno che questo Paese sta dando a tutti i movimenti, dal Nordafrica ai mediorientali, è altamente problematico. Sicuramente, ci sono connessioni poco pulite. Dipende da che punto di vista si guardano, ma diciamo molto interessate al finanziamento di Is da parte di istituti nazionali. Il terrorismo “fa cassetta”, rende. Vuol dire che il terrorismo rende comunicativamente e l’esempio più chiaro torna indietro di un po’ di anni, a Osama bin Laden, quando ricordiamoci che spesso venivano annunciati suoi proclami con dei trailer – quindi, con delle “promozioni” – di 20 secondi… Queste promozioni di 20 secondi occupavano i giornali e i media per due giorni, e poi il vero discorso di Osama non compariva. Ma per due giorni, tutto il mondo occidentale era in allarme, in allerta, bloccato per quello che Osama avrebbe potuto dire. Bastava la minaccia, senza realizzare di per sé l’evento. Questo il terrorismo lo sa: lo sa molto bene. Is – oggi la più problematica e più pericolosa organizzazione terroristica che ci troviamo ad affrontare – usa la comunicazione in maniera perfetta per i suoi obiettivi. Le decapitazioni – ricordiamo Berg, ricordiamo Pearl – non sono una novità ed entrano nella strategia comunicativa. Che cosa rappresentano? Una minaccia. E’ una minaccia che Is fa ai suoi nemici. Sono trasmesse con filmati molto semplici e brutali, proprio quelli che vanno a occupare il pubblico più vasto dei media. Ma accanto a questo, infatti, ci sono altri filoni di comunicazione. Abbiamo citato i social: nei social troviamo i profili dei combattenti. Questa è una comunicazione virale: guardatemi, come sono bravo, bello, con una K47, ad ammazzare la gente! Seguitemi! E’ una comunicazione che promuove imitatori per andare a combattere nell’Is. Accanto, c’è il terzo filone della comunicazione: Is, da un mese, ha incominciato a produrre brochure e volantini bellissimi per far vedere come sia bello andare a vivere nello Stato Islamico. Non ci sono fucili: ci sono campi di grano, fiumi che scorrono e panetterie che sfornano pani fumanti. Servono ad attrarre le famiglie. Sono tre linee comunicative in parallelo, strategicamente organizzate, che Is sta utilizzando per organizzare al meglio e stabilizzare al meglio il suo “califfato”. I media fanno parte del gioco, vengono spesso utilizzati – i media occidentali – per le loro caratteristiche, dalle strategie mediatiche del terrorismo”. Marco Lombardi, professore di Sociologia e comunicazione presso l’Università Cattolica e direttore del centro per lo studio del terrorismo dell’ateneo milanese.

ISIS opera in modo indipendente e in opposizione agli altri gruppi del teatro siriano, quali Jabhat al-Nusra, il Fronte Islamico e l’Esercito Libero Siriano con i quali ha avuto frequenti scontri a fuoco con perdite. Inoltre, ISIS è accredito di significative risorse finanziarie derivanti da attività connesse al crimine organizzato nelle aree che controlla, da sovvenzioni della diaspora islamica nel mondo e dalle sponsorizzazioni di alcuni Stati del Golfo. Fino a ottobre 2013, queste risorse finanziarie erano utilizzate da ISIS anche per provvedere a buona parte delle necessità di al-Nusra ma con l’irrigidirsi del conflitto tra le due fazioni, ISIS ha di fatto “tagliato i fondi”, creando serie difficoltà di mantenimento ai combattenti di al-Nusra. Con tali risorse a disposizione il progetto di ISIS, in continuità con ISI, ha da subito mirato alla realizzazione di un Califfato su scala globale: immagine che spesso si ritrova nelle sue comunicazioni sintetizzata in un mondo sotto la bandiera nera.

E’ nell’aprile del 2013 che ISIS cerca di cambiare “pelle” diventando appunto Islamic State of Iraq and the Levant (ISIS/ISIL): ciò venne rifiutato decisamente da al-Nusra per ottenere da Abu Bakr al-Baghdadi (Abu Dua) una ancora più dura risposta espansiva delle attività in Siria. Nell’agosto del 2013, l’intelligence americana valuta ISIS/ISIL ben radicato in Siria, con circa 5.000 combattenti a disposizione molti dei quali stranieri, con controllo diretto delle province di Aleppo, Idlib e Raqqa. Proprio al-Zawhiri, in un messaggio trasmesso da Al-Jazeera nel novembre del 2013 tornava a ordinare lo scioglimento di ISIS riconoscendo Al-Nusra come la fazione del jihad globale legittimata in Siria.

Come si può notare la realtà del jihad combattente, e di conseguenza politico, in Siria è complessa e conflittuale. Ed è conseguenza della profonda ristrutturazione di AQ (al-Qaeda) nel suo complesso.

E’ nota la caratteristica del branding AQ e della sua organizzazione in movimento flessibile, opportunista, in franchising avviata nel 2006 ma arrivata nelle forme ultime dopo la morte di Osama Bin Laden, con la leadership di Al Zawhairi.

Tale riorganizzazione è proprio avviata da Zawahiri nel 2006, con l’idea di rendere operativamente più autonome le componenti regionali di AQ e diminuire la pressione economica su AQ Centrale da parte di queste: in quel tempo i denari cominciavano a scarseggiare. Oggi, come si vede, AQ è frammentata in componenti indipendenti in Medio Oriente, Nord Africa, Penisola Arabica orientate e ispirate dal comando centrale. La conseguenza della autonomia si è concretizzata sia sul piano operativo sia sul piano economico, lasciando maggiore indipendenza a ciascun comandante di definire piani e meccanismi di attrazione delle risorse e del personale combattente. In questo contesto ISIS ha conseguito una serie di vantaggi, che si ricordano: capacità di attrazione di denari, anche con traffici più vicini alla criminalità, con la possibilità di spenderli anche per finanziare i viaggi e la formazione dei combattenti e forza ideale per attrarre seguaci, disponendo dell’unico teatro del jihad direttamente connesso al sogno del Califfato: il Levante (in Sham), dunque in una sorta di terra “mitica”.

jjIl 9 luglio del 2005, al-Zawahiri scriveva una lettera di circa 6000 parole al rivale, combattente Abu Musab Zarqawi: la “discussione” tra i due, sulla interpretazione delle strategie e delle politiche di Al-Qaeda era evidente. Nella lettera, Zawahiri (ala politica ideologica) illustrava a Zarqawi (ala combattente dura) gli obiettivi a lungo termine di AQ in Iraq e Medio Oriente e criticava il comandante militare per il suo modo di fare la guerra agli americani e ai civili iraqeni. Tutte cose che suono molto attuali se lette nel dettaglio.

Infatti, Zawhairi suggeriva di essere pronti, non appena le truppe straniere avessero lasciato l’Iraq, a occupare quanto più territorio iracheno nell’inevitabile vuoto che avrebbero lasciato, per dichiarare un “emirato”, prodomo al futuro esteso “califfato”.

Nella medesima lettera, Zawhairi scriveva a Zarkawi che i musulmani non avrebbero mai trovato di loro gradimento, né accettabili, le scene violente della decapitazione degli ostaggi trasmesse nei video di Zarkawi. Dunque di evitarle.

Come si vede, nel 2005 i due leader di AQ discutevano di avvenimenti che si realizzano, o tornano a realizzarsi, quasi dieci anni dopo.

Eventi comprensibili alla luce della storia di IS, e della linea diretta di successione da al-Zarkawi ad al-Baghdadi. Eventi che ormai confermano l’indipendenza di IS da AQ, il suo brand e la sua identità che si fonda sul sangue e che, pertanto, in questa fase di consolidamento chiamerà ancora più sangue e atrocità nel futuro prossimo. La contesa tra Zawhairi e Zawrkawi finì solo perché un attacco preciso dall’aria eliminò il comandante.

Fonti:

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Di Battista chieda scusa alle vittime


>>>Video Vietato ai Minori. Si consiglia la visione a un pubblico adulto<<<

“Sono certo che l’Onorevole Di Battista debba delle scuse ufficiali o le dimissioni dal Movimento 5 Stelle per le dichiarazioni di dialogo verso assassini e terroristi. Guardate il video e vi renderete conto chi sono i membri dell’Isis. Tagliatori di teste, assassini e taglieggiatori di denaro per chiunque, anche musulmano sunnita, abbia delle attività commerciali nel nord dell’Iraq. Sono mercenari stranieri che assieme a delinquenti Iracheni stanno saccheggiando e distruggendo il poco di Stato costituito che era ancora attivo nel nord del paese. Già da oltre un anno ad Al Qaeda esigevano il “pizzo” da ogni attività commerciale a Mosul, chi si opponeva veniva giustiziato assieme alla famiglia. Gli yazidi sono una popolazione pacifica senza legami di potere e di petrolio e per questo sono ora sterminati assieme agli Assiri ed ai Cristiani che vivono nel nord del paese prima ancora della nascita di Maometto. Ma di quali confini parla l’onorevole Di Battista, quali falsità afferma, legga la storia prima di straparlare per cercare uno spazio nella scena politica. Nel 2003 sono andato in Iraq pochi giorni prima del conflitto in quanto contestavo l’azione militare contro il popolo iracheno ed ho vissuto tutta la guerra non da un albergo come gli inviati ma nelle strade di Baghdad, Mosul, Baquba, Dyala, Fallujah. Le dichiarazioni di Di Battista sono una vergogna per il Movimento e per i principi civili. Guardate il video e capirete che non è terrorismo ma barbarie, inciviltà e genocidio. Quando agli inermi prigionieri, perseguitati solo perchè non hanno soldi per pagare e perchè non sono musulmani sunniti, gli viene letteralmente segato il collo con un coltello, non parlate di politica ma solo di atti feroci di persone profondamente malvagie che non hanno nessuna scusante”. Rino B.

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Esplode la violenza nella Libia del dopo Gheddafi

Muammar-Kaddafi-Libia

Il Paese rimane preda di quelle fratture sociali e di quel settarismo tribale che si sono presentati subito dopo la caduta del regime di Gheddafi e che ancora oggi sono un ostacolo per la costruzione di nuove istituzioni stabili. Questo comporta una seria minaccia per la sicurezza del Paese e dell’intera area. Minaccia su cui l’Amministrazione Obama continua a porre una notevole attenzione. A dimostrarlo vi è la decisione di spostare nella base di Sigonella una parte del contingente di reazione rapida dei Marines di stanza in Spagna, nel caso in cui si verifichi l’aggravamento delle condizioni di sicurezza per i cittadini e gli interessi statunitensi, al fine di evitare episodi ed attacchi terroristici come quello dell’11 settembre 2012 a Bengasi in cui perse la vita l’Ambasciatore Chris Stevens.

Il quadro di sicurezza del Paese continua ad essere seriamente compromesso ed impedisce la messa in opera di qualsiasi iniziativa di stabilizzazione. Nonostante, dal punto di vista formale, la Libia disponga di un governo legittimamente eletto e di un embrione di Forze Armate, entrambi non riescono a svolgere le rispettive minime funzioni. Dal punto di vista sostanziale il Congresso Generale Nazionale Libico (CGNL), ossia l’assemblea legislativa del Paese, e l’esecutivo esercitano un’autorità limitata ad alcune aree di Tripoli; lo stesso discorso vale per la Polizia e l’Esercito, impreparati, male equipaggiati e più simili a milizie governative che a vere e proprie Forze Armate strutturate. Le milizie che hanno preso parte alla guerra civile del 2011, nonostante i diversi tentativi del governo di includerle in un piano di smobilitazione ed integrazione nelle FA, non hanno consegnato le armi e, anzi, costituiscono la vera forza territoriale nelle diverse aree di competenza del Paese. Basti pensare che le città di Bengasi e Misurata sono governate da gruppi locali, mentre alcune formazioni della regione orientale della Cirenaica hanno dichiarato unilateralmente la propria autonomia da Tripoli. Infine, nella regione meridionale del Fezzan continuano ad alternarsi scontri tra le forze governative e le ultime bande di lealisti. In questo contesto frammentato ed anarchico, dominato dall’incertezza e dalla povertà, le organizzazioni estremiste di ispirazione qaedista continuano a trovare un terreno fertile per le proprie attività di reclutamento, addestramento e finanziamento. Uno degli avvenimenti che permette di comprendere al meglio quali siano i reali equilibri di potere in Libia è rappresentato dalla genesi della legge 41 sull’ “Isolamento Politico”. Il 7 marzo, alcune milizie e gruppi politici libici, in particolare di Tripoli, avevano sfilato per le vie della capitale chiedendo al governo una legge che sancisse l’ineleggibilità parlamentare e l’interdizione per i pubblici uffici a tutti coloro i quali avessero ricoperto cariche pubbliche durante il regime di Gheddafi. Tuttavia l’esecutivo non aveva accolto tali richieste, ma aveva cercato di congelare il malumore della piazza ed procrastinando l’adozione di un decreto dedicato. A quel punto, il 30 aprile, dopo oltre 40 giorni di inutili sollecitazioni, le milizie di Tripoli hanno circondato ed isolato le sedi dei Ministeri della Giustizia e degli Affari Esteri, sequestrando il personale al loro interno, compresi i ministri Salah Bashir Margani e Mohamed Abdelaziz. L’occupazione dei ministeri è terminata 12 giorni dopo soltanto grazie alla precipitosa approvazione del decreto sull’ “Isolamento Politico”, trasformato in legge il 5 maggio. Il contenuto di tale disposizione sancisce l’esclusione dagli uffici pubblici per almeno cinque anni per chiunque abbia ricoperto incarichi nel periodo tra il 9 settembre 1969 ed il 23 ottobre 2011, considerate rispettivamente data di inizio e di fine della dittatura del Rais. Adottata con 164 voti favorevoli su 200 (con solo 4 voti contrari nel corso di una votazione caratterizzata da altissima tensione) la legge deve però essere ancora ratificata dalla Commissione Giuridica del CGNL, anche se appare difficile, per ragioni di opportunità politica, che quest’ultima sollevi questioni inerenti ai vizi di forma o sostanza della disposizione. Al momento, non essendoci un criterio di discrimine basato sull’attività svolta o sul ruolo ricoperto all’interno del regime di Gheddafi, la legge 41, così formulata, comporterebbe l’allontanamento dalla vita politica di circa 40 membri dell’attuale governo. Tra questi, anche il Primo Ministro, Ali Zeidan, e il Presidente del CGNL, Mohammed Magarief, ambasciatore in India negli anni 80 ma anche esponente di spicco del National Front for the Salvation of Libya (NFSL), il movimento che l’8 maggio 1984 aveva cercato di eliminare l’ex dittatore, attaccando direttamente il quartier generale di Bab al-Aziza a Tripoli. In base a queste ultime considerazioni, al fine di evitare una profonda crisi politica, la disposizione potrebbe essere emendata per risparmiare l’attuale classe dirigente del Paese. L’assedio dei ministeri e la burrascosa approvazione della legge hanno causato le dimissioni, poi ritirate, del Ministro della Difesa Mohamed el-Bargathi. Inoltre, le strade di Tripoli sono state nuovamente invase, questa volta da manifestanti e da miliziani sostenitori del governo, che accusavano i colpevoli dell’assalto ai ministeri di essere espressione di partiti islamici finanziati direttamente dal Qatar. Nonostante l’approvazione del disegno di legge e l’annuncio da parte del Primo Ministro di un imminente rimpasto dell’esecutivo, i miliziani non hanno interrotto immediatamente la protesta, richiedendo le dimissioni del premier prima del 5 giugno, data ultima per l’entrata in vigore del provvedimento. Al di là dell’attacco ai ministeri della Giustizia e degli Affari Esteri, le dimostrazioni di ostilità e gli attentati contro le istituzioni e le forze di polizia sono in continuo aumento e colpiscono i principali centri urbani del Paese. Infatti, negli ultimi tre mesi, il numero degli incidenti è stato significativo. Tripoli è stata colpita il 7 marzo, quando i miliziani hanno assaltato la sede della TV locale, e il 12 maggio, quando oggetto dell’attacco è stata l’Autorità Portuale. Ancor più consistente è stato il numero di attacchi a Bengasi, teatro di assalti agli uffici della polizia il 10, 11 e 12 maggio. Anche la remota città desertica di Sebha, nel sud del Paese, ha visto esplodere la violenza dei miliziani contro le forze di sicurezza; infatti, il 13 aprile è stata attaccata una stazione di polizia, mentre il 30 aprile le milizie hanno preso d’assalto la prigione locale, liberando ben 150 detenuti. Oltre agli attacchi perpetrati dalle milizie, le quali agiscono prevalentemente motivate da rivendicazioni interne, continua a destare grande preoccupazione l’attivismo dei gruppi jihadisti di ispirazione qaedista. Infatti, questi ultimi tendono a colpire obiettivi occidentali, come le rappresentanze diplomatiche e consolari dei governi europei e statunitense. Non a caso, il 23 aprile, l’ambasciata francese a Tripoli è stata oggetto di un attentato tramite autobomba. In quel momento due membri dell’Assemblea nazionale francese erano in visita a Tripoli. Nonostante nessun gruppo abbia rivendicato l’attacco, permangono forti sospetti circa la responsabilità di gruppi terroristici. I legami tra i gruppi salafiti libici, primo fra tutti Ansar al Sharia (omonima del gruppo estremista tunisino), e al-Qaeda sono oggetto di continue indagini da parte sia delle autorità locali sia delle agenzie straniere. Negli ultimi mesi, le investigazioni statunitensi riguardanti l’assalto al consolato di Bengasi del 11 settembre 2012, in cui ha perso la vita il console Chris Stevens, hanno condotto all’identificazione di Sufyan Ben Qumu quale possibile organizzatore dell’attentato. Il libico Sufyan Ben Qumu, ex autista personale di Osama bin Laden, è un miliziano jihadista di lunga data, la cui esperienza è iniziata nel LIFG (Libyan Islamic Fighting Group, Gruppo Islamico Libico di Combattimento, organizzazione jihadista di opposizione a Gheddafi), ed è proseguita attraverso diversi viaggi in Afghanistan e Pakistan tra il 1998 ed il 2002. In quegli anni Qumu è entrato a far parte del network qaedista sino al 5 maggio del 2002, quando, dopo il suo arresto a Peshawar, è stato trasferito nel carcere di Guantanámo. Nel 2007, Qumu era stato trasferito in Libia per finire di scontare la pena nella prigione di Abu Salim ma, nel 2010, era uscito di prigione grazie al programma di de-radicalizzazione promosso da Saif Gheddafi, figlio del Colonnello. Durante la guerra civile libica del 2011, Qumu aveva costituito una sua milizia, prevalentemente formata da combattenti di Dama, la sua città natale, successivamente confluita in Ansar al Sharia. Nelle prime settimane di maggio è stata paventata la possibilità che Qumu fosse rimasto ucciso in uno scontro a fuoco a Dama, ma tale eventualità non è stata ancora confermata. La forte instabilità in cui si trova la Libia suscita inevitabilmente l’interesse della comunità internazionale. Gli Stati Uniti, in particolare, guardano con grande attenzione agli sviluppi della crisi politica libica ed alla degenerazione del quadro di sicurezza. Infatti, Washington ha allertato AFRICOM, il comando responsabile per le operazioni in Africa, e la Forza di reazione rapida dei Marines a Moron (Spagna) allo scopo di poter intervenire tempestivamente in soccorso di cittadini, rappresentanti diplomatici e militari presenti sul territorio libico. A questo proposito, 500 marines di stanza a Moron sono stati trasferiti, quale misura precauzionale, nella base siciliana di Sigonella. Inoltre, a poche settimane dalle esplosioni avvenute nei pressi dell’ambasciata francese, Washington e Londra hanno predisposto il rientro di parte del proprio personale diplomatico, e, insieme alle autorità di Parigi, si sono rivolti al governo libico affinché riesca a trovare una soluzione in tempi rapidi per portare a termine il processo di transizione democratica. Invito ribadito anche dall’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea, Catherine Ashton, che ha espresso il sostegno europeo alle autorità di Tripoli. Occorre sottolineare come, negli ultimi mesi, lo scenario politico ed il quadro di sicurezza libico sia stato influenzato dal cambiamento del contesto regionale. Infatti, l’intervento francese in Mali e la rapida avanzata dei contingenti transalpino e di MISMA (Mission Internationale de Soutien au Mali, Missione Internazionale di Sostegno al Mali) nei territori del nord (regione di Kidal ed altopiano dell’Adrar des Ifoghas) ha costretto molti leader jihadisti a fuggire. Le principali destinazioni dei miliziani qaedisti sono state l’Algeria, la Mauritania, il Niger e, appunto, la Libia. Il contesto di fragilità istituzionale, di malcontento popolare e di scarso controllo da parte delle Forze Armate potrebbero rappresentare una notevole opportunità per i guerriglieri estremisti islamici sia per la costruzione di nuovi campi di addestramento sia per la costituzione di un hub logistico, nel cuore del Maghreb, che sostituisca il nord del Mali.

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