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L’ “occhio di insetto” artificiale per prevenire gli incidenti

Curvace

Nella maggior parte delle specie animali, la visione è mediata da occhi composti. Ricercatori europei hanno studiato le modalità di funzionamento degli occhi degli insetti e hanno progettato e costruito i primi occhi composti artificiali in miniatura perfettamente funzionanti con caratteristiche simili a l’occhio del moscerino della frutta Drosophila, e di altre specie di artropodi. Potrebbero venire utilizzati per perfezionare o supportare il rilevamento dei movimenti, dalla robotica mobile all’aeronautica, dell’abbigliamento intelligente e delle applicazioni mediche.

Il progetto “CURVACE”, coordinato dall’italiano Dario Floreano, ha beneficiato di un finanziamento dell’UE di 2 milioni di Euro per mettere a punto occhi di “insetto” in minatura che presentano un elevato potenziale industriale nel settore della robotica mobile. Al progetto collaborano cinque istituzioni: l’EPFL (Svizzera), l’Università di Aix-Marseille e il CNRS (Francia), l’Istituto Frauenhofer di ottica applicata e ingegneria di precisione (Germania), e l’università di Tubinga (Germania) che hanno lavorato insieme per 45 mesi (dal 1° ottobre 2009 al 30 giugno 2013). Lo stanziamento di bilancio per l’intero progetto ammonta a 2,73 milioni di EUR di cui 2,09 milioni provengono dal finanziamento dell’UE.

In futuro, gli occhi composti artificiali potrebbero essere utilizzati in settori in cui il rilevamento panoramico dei movimenti è fondamentale. Ad esempio, un occhio composto artificiale flessibile potrebbe essere applicato ai veicoli per il rilevamento degli ostacoli (ad esempio durante le manovre di parcheggio, nel caso della guida automatica dei veicoli o per l’individuazione di veicoli o pedoni a distanza troppo ravvicinata), o integrati in microveicoli aerei (micro air vehicles – MAV) per la navigazione basata sul rilevamento visivo senza pericolo di collisione (ad esempio, durante l’atterraggio o per evitare ostacoli, come nelle operazioni di soccorso). Dati la flessibilità e lo spessore ridotti di tali dispositivi, potrebbero anche essere integrati nei tessuti per fabbricare vestiti intelligenti, ad esempio cappelli “intelligenti” dotati di sistemi di allarme anticollisione per gli ipovedenti. Inoltre, gli occhi composti artificiali flessibili possono essere apposti sulle pareti e i mobili delle case “intelligenti” per rilevare i movimenti (ad esempio per gli anziani nell’ambito della domotica per le categorie deboli, o per i bambini in un’ottica di prevenzione degli incidenti).

L’occhio composto vanta caratteristiche e funzionalità simili a quelle degli occhi della Drosophila della frutta e di altri artropodi. L’occhio, un piccolo oggetto (12,8 mm di diametro, 1,75 grammi) di forma cilindrica è costituito da 630 “occhi di base”, denominati ommatidi, disposti su 42 colonne di 15 sensori ciascuna. Ciascun ommatidio è composto da una lente (172 micron) associata ad un pixel elettronico (30 micron). Questi sensori hanno proprietà ottiche avanzate, tra cui un campo visivo panoramico di 180 gradi x 60 gradi e un’ampia profondità di campo, e si adattano a varie condizioni di illuminazione.

Neelie Kroes, Vicepresidente della Commissione europea, ha dichiarato: “Quando si tratta di risolvere dei problemi la natura ci offre numerose soluzioni estremamente sofisticate. I programmi di ricerca finanziati dalla CE ci offrono la possibilità di trarre ispirazione, capire, copiare e ricreare su scala industriale alcune delle meraviglie che la natura ci offre per migliorare la vita dei nostri concittadini.”

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C’era una volta il made in Italy

C'era una volta il Made in Italy

C’era una volta il made in Italy. Quell’insieme di prodotti che all’estero ci invidiavano, dal settore alimentare a quello manifatturiero e tecnologico. E l’uso del tempo passato, badate bene, non e’ casuale. Perché negli ultimi anni il nostro Paese ha perduto buona parte dei suoi pezzi pregiati. Basti pensare che nel solo 2011 il valore delle operazioni che hanno coinvolto l’acquisizione di aziende italiane e’ cresciuto dell’80 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti, toccando quota 18 miliardi di euro. Ecco perché il passaggio del 51 per cento della Ar Industrie Alimentari nelle mani di Princes Ltd (gruppo Mitsubishi) non e’ che una goccia nel mare.

Alimentare. A livello gastronomico, già da anni, colossi come Buitoni, Perugina, Motta e Sanpellegrino non sventolano più la bandiera tricolore, ma quella della Svizzera (Nestlè). Quella francese ha invece rivestito altri giganti come Locatelli, Galbani e Invernizzi, ora in possesso della multinazionale francese Lactalis, che dal luglio 2011 controlla anche l’83,30 per cento della Parmalat. Un’altra impresa nota in tutto il mondo, la anglo-olandese Unilever, ha invece messo le mani su riso Flora, Santa Rosa, Algida e Bertolli, poi “girata” agli spagnoli della Deoleo S.A., che possiede anche la Carapelli. La Star e’ diventata di proprietà di Agrolimen (Spagna). Infine, notizia di pochi giorni fa, Stock 84, storico marchio italiano dei liquori da quasi vent’anni nelle mani del fondo americano Oak Tree, ha deciso di chiudere lo stabilimento di Trieste per delocalizzare in Repubblica Ceca.

Abbigliamento. Non va meglio se ci spostiamo nel settore dell’abbigliamento e dell’alta moda. Fiorucci, Ferrè, Coin, Fendi, Gucci, Valentino e Bulgari: tutti marchi storici, che da tempo sono un po’ meno italiani. Il primo, fondato a Milano nel 1967 da Elio Fiorucci, e’ stato rilevato nel 1990 dai giapponesi della Edwin International, che hanno lasciato nel capoluogo lombardo solo il centro design delocalizzando il resto. La Paris Group di Dubai ha acquisito, nel marzo 2011, il marchio Gianfranco Ferrè, mettendo nero su bianco un piano di rilancio del brand che prevede l’apertura di sedi proprio a Dubai ed Abu Dhabi. Dal 2007 Valentino Fashion Group e’ nelle mani di Permira, finanziaria britannica specializzata nei settori di private equity ed hedge funds. Fendi e’ di proprietà della Lymh (Louis Vuitton Moët Hennessy) così come Bulgari – 360 negozi in tutto il mondo -, il cui 98 per cento e’ stato ceduto ad inizio 2011. Nel 1999 Gucci e’ passata ai francesi della PPR, Pinault-Printemps-Redoute, mentre Coin, catena fondata nel 1916 da Vittorio Coin, appartiene alla Pai Partners.

Gli altri. Nel 1934 vedeva la luce, in Italia, la Società azionaria fabbrica italiana lavoratori occhiali, meglio conosciuta come Safilo, fondata da Guglielmo Tabacchi. L’azienda, che vende i propri prodotti in 130 paesi e produce occhiali per gruppi prestigiosi come Armani e Dior, e’ stata ceduta agli olandesi della Hal Holding. Nel campo della telefonia, invece, Omnitel e’ passata nelle mani di Vodafone (2001), mentre sette anni fa Enel ha ceduto la quota di maggioranza di Wind Telecomunicazioni S.p.a. all’imprenditore egiziano Naguib Sawiris – che i tifosi della Roma ricordano bene, visto il fatto che il magnate era vicino all’acquisto della società prima dell’arrivo della cordata di Thomas DiBenedetto -, che nel 2010 l’ha passata a VimpelCom (Russia). Ai cinesi del gruppo QianJiang e’ invece finita, nel 2005, la Benelli, storica casa automobilistica di proprietà della Merloni; Edison, la più antica società europea dell’energia, nata a Milano nel lontano 1884, e’ controllata dal 2005 da Transalpina di Energia, società di proprietà di Edf e Delmi.

(Fonte IlPunto)

 

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Quando il bucato inquina

Dietro i capi firmati, le pubblicità accattivanti e il fascino delle passerelle c’è un mondo che l’industria dell’abbigliamento ti vuole nascondere. È un mondo sporco, pieno di sostanze pericolose, che sta lentamente contaminando i nostri fiumi. Oggi, nella Giornata mondiale dell’Acqua, ti riveliamo il loro segreto. Vogliamo costringerli ad affrontare il problema.

Se hai fatto il bucato in lavatrice con vestiti Kappa, Ralph Lauren o Calvin Klein, sappi che sei complice inconsapevole dell’inquinamento delle risorse idriche. Sì perché il nostro rapporto“Panni Sporchi 3” rivela come alcune sostanze pericolose usate per la produzione di abiti di grandi marche vengono rilasciate nell’ambiente dopo il lavaggio degli articoli in lavatrice. Una volta disperse in acqua, queste sostanze non sono trattenute dai sistemi di depurazione e si trasformano in nonilfenolo, un composto tossico e in grado di alterare, anche a livelli molto bassi, il sistema ormonale dell’uomo.

L’indagine – condotta su quattordici prodotti tessili dei marchiAbercrombie & Fitch, Adidas, Calvin Klein, Converse, G-Star RAW, H&M, Kappa, Lacoste, Li Ning, Nike, Puma, Ralph Lauren, Uniqlo e Youngor – misura per la prima volta la variazione delle quantità di nonilfenoli etossilati presenti nel tessuto prima e dopo il lavaggio domestico. In quasi la metà dei campioni, oltre l’80 per cento di nonilfenoli etossilati presenti nell’articolo appena comprato sono fuoriusciti dopo un solo lavaggio.

Questo significa che l’impatto dell’industria dell’abbigliamento non si ferma al Paese di produzione ma arriva ai Paesi consumatori. È in atto un ciclo globale dell’inquinamento tossico. Le aziende tessili devono affrontare il problema e impegnarsi per l’eliminazione delle sostanze pericolose nell’intera filiera. Anche se l’uso di nonilfenoli etossilati nell’industria tessile è bandito nell’Unione europea, queste sostanze pericolose, infatti, continuano ad arrivare tramite canali di mercato.

Si stima che ogni anno nelle acque europee vengono sversate da ignari consumatori tonnellate di prodotti nocivi: è il momento per il settore tessile di fare passi concreti verso l’adozione di alternative più sicure ai composti chimici inquinanti.  Devono accogliere la sfida “Detox”.

In Italia, nonostante le ripetute sollecitazioni di Greenpeace, rimane ferma Kappa, del gruppo BasicNet, proprietaria anche dei marchi Superga e K-way. Nei suoi prodotti sono stati ritrovati nonilfenoli etossilati. Ancora per quanto tempo Kappa si rifiuterà di ripulire dai veleni la sua filiera produttiva?

 


(Fonte Greenpeace)

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