Sono musulmana, cosa pensate quando mi guardate?

Dalia Mogahed, 36 anni, di origine egiziana, è la prima donna con il velo ad essere entrata alla Casa Bianca. In questo monologo personale e vigoroso, la studiosa musulmana Dalia Mogahed, scelta dal presidente Obama come consulente per i rapporti con il mondo musulmano, ci chiede, in questi tempi radicalizzati, di combattere contro la percezione negativa della sua fede sui media, e di scegliere l’empatia invece del pregiudizio.

Cosa pensate quando mi guardate? A una donna di fede? A un’esperta? Forse a una sorella. O a un’oppressa, a una plagiata, una terrorista. O a una causa di ritardo nei controlli di sicurezza all’aeroporto. Questa è certamente vera.
Se alcune delle vostre impressioni sono negative, non vi biasimo davvero. È semplicemente come i media descrivono le persone con il mio aspetto. Uno studio ha rivelato che l’80% della copertura mediatica sull’Islam e i musulmani è negativa. E gli studi indicano che la maggior parte degli americani non conosce un solo musulmano. Immagino che le persone non parlino con gli autisti di Uber.
Per quelli fra voi che non hanno mai conosciuto un musulmano: è fantastico incontrarvi. Lasciate che vi racconti chi sono. Sono una mamma, mi piace il caffè – doppio espresso con panna a parte. Sono un’introversa. Sono una fanatica del fitness fallita. E sono una musulmana praticante. Ma non come dice Lady Gaga, perché tesoro, non sono nata così. È stata una scelta.
A 17 anni ho deciso di uscire allo scoperto. No, non come alcuni miei amici gay, ma come musulmana, e ho deciso di iniziare a indossare lo hijab, di coprirmi il capo. Le mie amiche femministe erano sbigottite: “Perché opprimi te stessa?” La cosa divertente era che all’epoca quella era veramente una dichiarazione femminista di indipendenza dalla pressione che sentivo come diciassettenne, nel dovermi conformare a un perfetto e irraggiungibile standard di bellezza. Non ho accettato passivamente la fede dei miei genitori. Ho lottato con il Corano. Ho letto, riflettuto, contestato e dubitato e, alla fine, ho creduto. Il mio rapporto con Dio non è stato amore a prima vista. È stato una fede e una lenta resa che si sono approfondite ad ogni lettura del Corano. La bellezza del suo ritmo alle volte mi commuove. Ci vedo me stessa. Sento che Dio mi conosce. Vi siete mai sentiti come se qualcuno vi vedesse, vi capisse completamente e continuasse ad amarvi comunque? Ecco come ci si sente.
Poi mi sono sposata, e come tutte le brave egiziane ho iniziato la mia carriera di ingegnere.
In seguito ho avuto un figlio, dopo essermi sposata, e stavo sostanzialmente vivendo il sogno egiziano-americano.
E poi quella terribile mattina del settembre 2001. Penso che molti di voi ricorderanno dov’erano di preciso quella mattina. Io ero seduta in cucina a finire la colazione, ho guardato la televisione e ho visto la scritta “Edizione straordinaria”. C’era fumo, aeroplani che si schiantavano contro i palazzi, persone che si lanciavano dai palazzi. Cos’era? Un incidente? Un guasto? Il mio shock diventò presto indignazione. Chi poteva averlo fatto? Ho cambiato canale e ho sentito, “… Terroristi musulmani…” “… in nome dell’Islam…” “… di origine medio-orientale…” “… jihad…” “… bombarderemo la Mecca”. Oh mio Dio.
Non solo il mio paese era stato attaccato, ma in un attimo, le azioni di qualcun altro mi avevano trasformata da cittadina in sospetta.
Quello stesso giorno dovevamo attraversare in auto gli stati americani centrali per trasferirci in una nuova città per iniziare un master. Mi ricordo che sedevo sul sedile del passeggero mentre guidavamo in silenzio, rannicchiata il più possibile nel mio sedile temendo per la prima volta in vita mia che qualcuno scoprisse che ero musulmana.
Quella sera ci siamo trasferiti nel nostro nuovo appartamento in una nuova città in quello che sembrava un mondo completamente diverso. Poi ho iniziato a sentire, vedere e leggere avvisi dalle organizzazioni nazionali di musulmani che dicevano cose del tipo: “State in guardia”, “State attenti” “Rimanete in zone ben illuminate”, “Non radunatevi”.
Sono rimasta in casa tutta la settimana. Poi, quella settimana arrivò il venerdì il giorno in cui i musulmani si riuniscono per pregare. E gli avvisi erano ancora: “Non andate quel primo venerdì, potrebbe essere un obiettivo”. E guardavo il telegiornale, una copertura a tappeto. Le emozioni erano così vive, chiaramente, e sentivo anche di attacchi ai musulmani, o di persone che venivano scambiate per musulmani ed erano cacciati e picchiati per strada. Le moschee erano letteralmente bombardate. E pensavo che saremmo dovuti proprio stare in casa.
E tuttavia, qualcosa non sembrava giusto. Perché le persone che avevano attaccato il nostro paese attaccavano il nostro paese. Capivo perché le persone erano arrabbiate con i terroristi. Sapete una cosa? Lo ero anch’io. Così doversi spiegare tutto il tempo non è semplice. Le domande non sono un problema. Mi piacciono le domande. Sono le accuse ad essere dure.
Oggi sentiamo persone dire cose del tipo: “C’è un problema in questo paese, e si chiama musulmani. Quando ci libereremo di loro?” Così alcune persone vogliono espellere i musulmani e chiudere le moschee. Parlano della mia comunità come di una specie di tumore interno all’America. E l’unica domanda è “siamo un tumore benigno o maligno”? Sapete che un tumore maligno si elimina interamente, mentre un tumore benigno dev’essere tenuto sotto controllo.
Le scelte non hanno senso perché la domanda è sbagliata. I musulmani, come gli altri americani, non sono un tumore interno all’America, noi siamo un organo vitale.
I musulmani sono inventori e insegnanti, paramedici e atleti olimpici.
Quindi, chiudere le moschee renderà l’America più sicura? Potrà liberare qualche posto auto, ma non fermerà il terrorismo. Andare regolarmente alla moschea porta invece ad avere una visione più tollerante delle persone di altre fedi e ad un maggior coinvolgimento civico. Come mi ha recentemente detto il capo della polizia di un distretto di Washington DC in realtà le persone non diventano estremiste alla moschea. Diventano estremiste nei seminterrati o nelle loro camere davanti al computer. Quello che si scopre sul processo di radicalizzazione è che inizia in rete ma la prima cosa che succede è che la persona rimane tagliata fuori dalla propria comunità, persino dalla famiglia così che i gruppi di estremisti possono fargli il lavaggio del cervello, spingerlo a credere che loro, i terroristi, sono i veri musulmani, e che tutti quelli che condannano il loro comportamento e ideologia sono dei venduti o dei rinnegati. Quindi se vogliamo prevenire la radicalizzazione dobbiamo lasciare che le persone vadano alla moschea.
Qualcuno affermerà che l’islam sia una religione violenta. Dopotutto, un gruppo come l’ISIS fonda la propria brutalità sul Corano. Come musulmana e madre, come essere umano penso che dobbiamo fare tutto il possibile per fermare gruppi come l’ISIS. Ma sarebbe come arrendersi alla loro versione se li poniamo come rappresentanti della fede di un miliardo 600 mila persone.
L’ISIS ha con l’Islam lo stesso legame che il Ku Klux Klan aveva con il cristianesimo.
Entrambi i gruppi sostengono di fondare la propria ideologia sui testi sacri. Ma se li osservate, non sono motivati da quello che hanno letto nei loro libri sacri. È la loro brutalità che gli fa leggere quelle cose nelle scritture.
Di recente un illustre imam mi ha raccontato una storia che mi ha davvero sbalordita. Mi ha detto che una ragazza è andata da lui perché pensava di unirsi all’ISIS. Io ero davvero sorpresa e gli ho chiesto se lei fosse stata in contatto con un capo religioso estremista. Lui rispose che il problema era l’opposto, che ogni religioso con cui aveva parlato l’aveva zittita e le aveva detto che la sua rabbia, il suo senso di ingiustizia del mondo l’avrebbe soltanto messa nei guai. Così, non avendo un posto dove incanalare e dare un senso a questa rabbia, lei era un eccellente obiettivo da sfruttare da parte degli estremisti che le promettevano una soluzione. Quello che questo imam ha fatto è stato riunirla a Dio e alla sua comunità. Non l’ha rimproverata per la sua rabbia, invece le ha dato un modo costruttivo per operare un vero cambiamento nel mondo. Quello che lei ha imparato alla moschea ha evitato che lei si unisse all’ISIS.
Vi ho raccontato un po’ di come l’islamofobia ha colpito me e la mia famiglia. Ma che impatto ha avuto sull’americano medio? Che impatto ha avuto su tutti gli altri? Che impatto ha avuto sulla nostra democrazia aver paura 24 ore al giorno, sulla nostra capacità di pensieri liberi?
Uno studio – in realtà, numerosi studi sulle neuroscienze – mostrano che quando siamo spaventati, succedono almeno tre cose. Diventiamo più accondiscendenti nei riguardi dell’autoritarismo, il conformismo e il pregiudizio. Uno studio ha mostrato che quando i soggetti sono stati esposti a notizie negative sui musulmani, diventavano più tolleranti verso gli interventi armati nei paesi musulmani e verso politiche che limitano i diritti dei musulmani americani.
Questo non è solo teoria. Se osservate quando il sentimento anti-musulmano ha raggiunto il picco tra il 2001 e il 2013 è successo tre volte, ma non in concomitanza con attentati terroristici. È stato in occasione della guerra in Iraq e durante due tornate elettorali. Quindi l’islamofobia non è solo la risposta naturale al terrorismo musulmano come mi sarei aspettata. Può davvero diventare uno strumento di manipolazione della gente, che intacca le fondamenta stesse di una società libera, che è razionale e fatta di cittadini ben informati. I musulmani sono come canarini nelle miniere di carbone. Possiamo essere i primi a sentirla, ma l’aria avvelenata dalla paura ci sta danneggiando tutti.
Assegnare una colpa collettiva non significa soltanto doverti giustificare tutto il tempo. Deah e sua moglie Yusor erano una giovane coppia di sposi che viveva a Chapel Hill, nel North Carolina, dove entrambi andavano a scuola. Deah era un atleta. Frequentava odontoiatria, un talento, una promessa… Sua sorella mi ha detto che era l’essere umano più dolce e generoso che abbia conosciuto. Leì era andata a trovarlo e lui le aveva fatto vedere il suo curriculum, e lei era sbalordita. Disse, “Quand’è che il mio fratellino è diventato un promettente giovane uomo?” Dopo qualche settimana dalla visita di Suzanne a suo fratello e alla sua nuova moglie un loro vicino, Craig Stephen Hicks, li ha uccisi, insieme alla sorella di Yusor, Razan, che quel pomeriggio era in visita, nel loro appartamento, in stile esecuzione, dopo aver postato delle affermazioni anti-musulmane sulla sua pagina facebook. Ha sparato a Deah otto volte. Quindi l’intolleranza non è solo immorale, può anche diventare letale.
Torniamo alla mia storia. Cos’è successo dopo l’11 settembre? Siamo andati alla moschea o siamo rimasti a casa al sicuro? Beh, ne abbiamo discusso, e può sembrare una piccola decisione, ma per noi riguardava il tipo di America che volevamo lasciare ai nostri figli: una che poteva controllarci con la paura o una dove potevamo praticare liberamente la nostra religione. Così abbiamo deciso di andare alla moschea. Abbiamo messo mio figlio nel suo seggiolino, allacciato, e abbiamo guidato in risoluto silenzio verso la moschea. L’ho tirato fuori, mi sono tolta le scarpe, mi sono diretta alla sala della preghiera e quello che ho visto mi ha bloccata. Il posto era completamente pieno. Poi l’imam ha fatto un annuncio, ringraziando e dando il benvenuto ai nostri ospiti, perché metà della congregazione era di cristiani, ebrei, buddisti, atei persone di fede e senza fede, che non erano venute per attaccarci, ma che si erano schierate solidali con noi.
Quella volta sono proprio scoppiata a piangere. Queste persone erano lì perché avevano scelto il coraggio e la compassione sul panico e il pregiudizio.
Voi cosa sceglierete? Cosa sceglierete in questi tempi di paura e di intoleranza? Ve ne starete al sicuro? Oppure vi unirete a quelli che dicono che siamo meglio di così?
Helen Walters: Dalia, sembra che tu abbia toccato il tasto giusto. Ma mi domando, cosa diresti a coloro che potrebbero ribattere che tu sai parlando in un TED Talk, che sei chiaramente una persona profonda, che lavori presso un bel gruppo di ricerca che tu sei un’eccezione, che non sei la regola. Cosa diresti a queste persone?
Dalia Mogahed: Direi loro, non lasciatevi distrarre da questo palco, Io sono assolutamente normale. Non sono un’eccezione. La mia storia non è insolita. Io sono come tutti. Se osservate i musulmani nel mondo e io l’ho fatto, ho fatto lo studio più ampio mai eseguito sui musulmani nel mondo, le persone vogliono cose normali. Vogliono benessere per la propria famiglia, vogliono un lavoro, e vogliono vivere in pace. Quindi non sono in alcun modo un’eccezione. Se incontrate persone che sembrano un’eccezione alla regola, il più delle volte significa che la regola è stata infranta, non che loro sono un’eccezione.
Grazie mille Dalia Mogahed.

(Fonte TED Talk)

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”