L'”andare oltre” di oggi è l’emblema del dominio, perché si annida in un modello di sviluppo planetario che rispetta una sola regola: ignorare ogni confine naturale, geopolitico, etico, antropologico e simbolico, assimilandone l’idea stessa a remora passatista di cui liberarsi per aprire ai mercati. Serge Latouche non ci sta. Da anni elabora il progetto di un’alternativa praticabile al binomio crescita-illimitatezza. Si chiama decrescita e il suo concetto strategico è limite.
“Limite “di Serge Latouche esce in prima edizione a settembre 2012 per Bollati Boringhieri. È un nuovo e ulteriore capitolo del progetto decrescentista dedicato al limite, o meglio, come si capisce fin dalle prime pagine, ai limiti che bisognerebbe riscoprire per arginare la dismisura dell’attuale modello di sviluppo.
Per i neofiti può considerarsi una valida introduzione alla vasta produzione letteraria di Latouche, un primo passo per capire cos’è la “decrescita” e soprattutto perché sempre più professori, studiosi e addirittura qualche politico la propongono quale via da percorrere.
Il progetto della decrescita è ambizioso e interdisciplinare, va dal risparmio energetico all’autosufficienza alimentare passando per la liberazione dell’uomo dalla multiforme schiavitù post-moderna (monetaria, mercantista, pubblicitaria, culturale, …).
In questa sede mi limito a leggere qualche capitolo e sintetizzarne il contenuto, rimandando al testo su citato ogni riferimento ed eventuale approfondimento.
1. Limiti geografici
Il limite costituisce un territorio nello spazio, in geopolitica si parla di limes, frontiera. Ciò non è prerogativa dell’uomo, gli animali si definiscono e si limitano in zone, territori, habitat, mediante segni riconoscibili; tuttavia l’uomo è un animale particolare poiché attraverso il pensiero può estraniarsi dalla sua condizione fisica ed illudersi della propria illimitatezza. La differenza sostanziale si evidenzia nel modo della propria organizzazione. Se l’animale si organizza privatamente o collettivamente, all’interno di un habitat definito e limitato che possa contenerlo e supportarlo, l’uomo no. L’uomo è un animale simbolico ed il suo limite è innanzitutto culturale anche se l’astrazione e l’immaginazione devono sempre fare i conti con il reale del quale non si può prescindere. Scrive Augustin Berque ne Les limites de l’écoumène: poiché la simbolicità trascende radicalmente i limiti fisici dello spazio e del tempo, questo introduce l’incommensurabile, ma la base rimane del tutto misurabile, è il Pianeta.
Nella storia dell’uomo, la sfrontatezza e l’avventura hanno sempre trovato il loro limite nella possibilità del proprio tempo, dato dalla tecnica, dalla cultura e non meno dalla morale (religiosa o imperiale). Gli spazi normalmente non abitati dall’uomo sono detti deserti, ma dalla modernità si è cercato in tutti i modi di farli retrocedere. L’uomo supera continuamene i propri limiti, li trasgredisce e sogna costantemente l’impossibile. Lo chiamano progresso. Tuttavia il progresso tecnico che risolve i vecchi problemi è lo stesso che genera quelli nuovi, smascherando così l’indicibile: se i problemi sono solo tecnici non si vede il motivo di tanto pessimismo di fronte al capitalismo globalizzato contemporaneo, ma la Megamacchina è primariamente un’organizzazione sociale fatta di uomini, non un gigantesco macchinario composto da ingranaggi.
Il problema non sta tanto nel fallimento della scienza e della tecnica né nella loro intrinseca perversione, quanto nella dismisura dell’uomo moderno. (Serge Latouche,La megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso)
2. Limiti politici
L’uomo quale animale sociale è sempre vissuto all’interno di una organizzazione politica di volta in volta chiamata clan, tribù, comune, nazione. Il limite politico confluisce ed integra il limite geografico ma non si riduce tuttavia in quest’ultimo. L’assolutezza del “politico” sul territorio è un concetto fondamentale delle moderne società di diritto anche se questo dato, nonostante venga ribadito costantemente dai manuali di diritto pubblico, si scontra con la realtà di fatto: tra il 1980-90 attraverso la “disintermediazione finanziaria”, la “desegmentazione dei mercati” e la “deregolazione sociale” (le cd. tre D) la sfera politica è stata fagocitata dall’economico. Scrive Latouche: le autorità politiche dei grandi Stati-nazione si ritrovano nella stessa posizione che era un tempo quella dei sottoprefetti di provincia: onnipotenti rispetto ai loro amministrati nell’applicazione puntigliosa di regolamenti repressivi ma totalmente soggetti dagli ordini dall’alto e totalmente dipendenti dal potere gerarchico. [..] Questo modo di funzionamento permette di aggirare i limiti imposti dalle procedure formali della democrazia rappresentativa e comporta una ridefinizione dei limiti giuridici, con lo sviluppo di nuove possibilità di sbarazzarsene (paradisi fiscali, ..). Abolendo di fatto la sovranità politica dei singoli stati, onni mercificando il mondo, si è sostituita la solidarietà sociale alla guerra di tutto contro tutti.
Che significato ha la “pace” per l’U.E.? Scrive Alain Badiou in Pour una politique illimitèe: se la pace perpetua è sinonimo di guerra perpetua, allora, la ragione umana e la filosofia stessa hanno perso. Tra guerra e pace l’Occidente ha scelto l’impero del male minore, l’imperialismo economico, che abolisce le frontiere ed i limiti tra la morale, l’economia e la politica. Non occorrono moli saggi scientifici, è la cronaca quotidiana a farci notare come il consumismo conviva senza problemi con il caos politico.
3. Limiti culturali
La cultura è l’insieme delle norme, della morale e della sensibilità di un gruppo umano. Non è pensabile che mutamenti economico-politici non la influenzino e non ne siano influenzati. Una costante, nella diacronicità della cultura in un dato luogo, è sicuramente la riprovazione che i componenti hanno verso chi trasgredisce le regole. Già dall’antica Grecia esisteva chi metteva in discussione l’arbitrarietà della “tradizione”. Questo dubbio sofistico, del tutto legittimo, inizia a diventare un problema solo con l’ascesa del pensiero occidentale in cui la trasgressione assurge a norma. L’acculturazione occidentale non si fonde con le culture vicine attraverso lo scambio reciproco di differenze e comunanze, piuttosto tende a sostituirsi alla cultura limitrofa, imponendo attraverso immagini, gesti, rappresentazioni, pensieri, teorie e credenze, il proprio “desiderio”: la religione dell’economia.
L’esito dell’impoverimento culturale, dovuto alla mancanza di reciprocità (leggasi Levi Strauss), è l’incapacità di concepire altri progetti socioeconomici e liberatori.
Con la globalizzazione, assistiamo, ad un vero e proprio gioco al massacro interculturale su scala planetaria. Lo smantellamento di tutte le preferenze nazionali non è altro che la distruzione delle identità culturali. (Serge Latouche, Limite)
Dove ci porta questa omologazione culturale? Il tragico errore dell’universalismo è pensare che, in una prospettiva di unificazione dell’umanità, il processo possa condurre ad un limite naturale ed auspicabile. In realtà questo processo è non solo una distruzione del sud da parte del nord ma anche un autodistruzione del nord, e per contraccolpo una distruzione del nord da parte del sud, perché le culture possano vivere e sopravvivere soltanto nel pluralismo. (Serge Latouche, Limite)
4. Limiti morali
Il punto più controverso del pensiero decrescentista ma forse, in ultima analisi, quello fondamentale è la questione etica. Latouche, non nuovo a letture comparate della storia occidentale, parte dall’antica grecia e in particolar modo dalla contrapposizione di phrònesis (prudenza) e hybris (dismisura). La prudenza, il limite, è la virtù morale per eccellenza dell’uomo politico anche se è limitata al gruppo di appartenenza, al di fuori del quale regna la giungla e la pirateria. La relatività del limite si scontra con il pensiero occidentale, che all’opposto si fonda sul cristianesimo, una religione a vocazione universale (katholikòs) che denuncia l’arbitrarietà e la parzialità delle altre etiche, pagane, delineando i contorni di una morale unica ed universale. Latouche cita lo studio di Domenique Schnapper per commentare il progetto dei lumi sulla liberazione dell’uomo: la democrazia è un’utopia che rifiuta i limiti naturali della disuguaglianza e delle differenze: a partire dal momento in cui la società degli uomini si auto costituisce, si auto legittima, non ammette nessuna legittimità esterna a se stessa. Dunque in un certo senso nessun limite.
Latouche si domanda: riconoscere all’individuo il diritto assoluto al benessere senza limite non è la ibris per eccellenza?
L’uomo moderno, liberato dalla tradizione e dalla Rivelazione, controlla il mondo attraverso la tecnica e l’economia in un modo paradossale, ossia attraverso la liberazione delle “passioni tristi” (Spinoza) quali l’ambizione, l’avidità, l’invidia e l’egoismo. La modernità ha sostenuto, e gli ipermoderni sostengono ancora, che i vizi privati possono divenire virtù pubbliche se opportunamente canalizzate dall’economia. Avanti, avanti! Crescere, crescere, crescere! È questo che ancora si insegna nelle scuole di economia.
5. Una proposta per concludere
Quello di cui abbiamo bisogno non è il controllo, ma la padronanza del desiderio di controllo, una auto limitazione. Abbiamo bisogno di eliminare questa follia di espansione senza limite, abbiamo bisogno di un ideale di vita frugale, di una gestione da buon padre di famiglia delle risorse del Pianeta. (Cornelius Castoriadis, Briser la cloture)
Il libro si conclude sintetizzando la proposta decrescentista già analizzata in altri libri ad esempio “Come sopravvivere allo sviluppo” o “Breve trattato sulla decrescita serena”. Tuttavia Latouche, in questo libro, alza il tiro del suo progetto inizialmente limitato alla dimensione economica, ipotizzando un’autolimitazione multidimensionale: geografica, politica, culturale, ecologica, economica, conoscitiva e morale. Secondo Latouche occorre una politica eco sociale che ristabilisca la correlazione tra meno lavoro e meno consumo, tra più autonomia e più sicurezza esistenziale.
La norma del sufficiente, in mancanza di un riferimento nella tradizione, va definita politicamente. (André Gorz, L’Ecologie politique enre expertocratie e autolimitation)
Questa crisi obbliga l’uomo a scegliere tra gli utensili conviviali e lo schiacciamento da parte della Megamacchina, tra la crescita indefinita e l’accettazione di limiti multidimensionali. La sola risposta possibile sta nel riconoscere la sua profondità e accettare il solo principio di soluzione che è offerto: stabilire per accordo politico, un’autolimitazione. (Ivan Illich, La convivialità. Una proposta libertaria per una politica dei limiti allo sviluppo)
(Fonte decrescita)