Viaggio da una vita, litigando
per il posto a sedere – il finestrino
sempre il più ambito, con la vista
allungata sui campi, e l’occhio
che può guardare indietro –. Il vagone
gonfia i polmoni e manca spazio
per il respiro, poi si svuota
e cambia i passeggeri, rallenta
senza fermarsi, cambia umore,
profumo e posizioni: il finestrino
è toccato a un altro. Sgomitare
per la ritirata, angusta,
dove si sente il vuoto e il malodore
è misto al disinganno. Ma c’è quiete
sospesa a un finestrino (stretto),
e si può pensare e guardare,
dal buco, le rotaie, immaginare
che questo non è un treno, che là fuori
il mondo si è fermato, aspetta,
e intanto si imbelletta, profumato
e fa una piroetta, il “bentornato!”
e tutto può tornare: il mare
indietro, verso il cielo, e l’acqua
su per le montagne, in gara
con i camosci, il sole
carezza l’erba e scalda
la neve per un bagno
caldo in famiglia, con il nonno
e i suoi avi, rilassati,
placidi, in ammollo. Il controllore
bussa da mezz’ora. «Biglietto!»
«Grazie.» «Si figuri!». Non c’è modo
di scendere, fermarsi.
Amos Mattio
Il vizio di sistema. Un passato che vive nel presente, di braci, brina, trucioli, colori spenti e stanchi, soffi e sillabe; un vizio di sistema che deforma la conoscenza e l’esultanza dell’io (e del “noi”) nei viaggianti e spaesanti intrecci di spazio e di tempo; e un’attesa, breve ma intensa, non beckettiana, del tempo che ci attende e torna al verde… come la vita. Amos Mattio attinge a una pronuncia tesa, ritmicamente articolata, trascorrente, dall’elementare impressionismo della prima sezione, “Fuori stagione”, che riprende l’umanità dispersa del precedente “Bestie e dintorni” e introduce il tema dell’inadeguatezza alla vita; al rivelarsi, nella sezione centrale, “Il vizio di sistema”, di questo disorientamento come difetto di fabbricazione di un “io” ancora scomposto nelle sue percezioni, sempre alla ricerca, nel caos contemporaneo, di memorie, storie, carie, di scorie allitterate e in rima, in una lingua di terra che ha radici profonde e si scompone anch’essa mentre si pronuncia, ma dove però kappa, alfa e iota fanno ancora il nesso forte che congiunge… niente che mi possa aiutare, nessun indizio tra le tracce che tentano di affiorare dentro il senso, in un bosco fitto di rimandi e interruzioni… Fino al ritorno, con l’attendant, al verde confuso di boscaglia, alle strade e traiettorie predeterminate di un trattore contadino, nel cerchio eterno della vita, sugli stessi sassi…