Due cose da fare subito. Ignazio Marino parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, nonché membro della Commissione Igiene e sanità del Senato della Repubblica nella XVI Legislatura,spiega come e’ cambiata la sanità e il rapporto medico/paziente negli ultimi 30 anni.
1982: un’adolescente arriva accompagnata dai genitori nell’affollato locale del pronto soccorso, il viso pallido, nausea, febbre, ma soprattutto un forte dolore che le fa stringere le braccia sull’addome. Il chirurgo più giovane del team la fa stendere sul letto e le chiede di provare a rilasciare la contrazione dei muscoli. Un prelievo di sangue per contare i globuli bianchi, l’ascolto dell’addome con il fonendoscopio, la mano sul corpo alla ricerca dei segni dell’infiammazione del peritoneo. Per concludere alcune domande sul ciclo, episodi di vomito o brividi, e poi la diagnosi: appendicite acuta, si prepari la sala operatoria. Poi arriva il secondo esame, quello con il capo-équipe, responsabile del reparto ma anche mentore: quanto è infiammata l’appendice, è addirittura perforata e quale posizione ha nell’addome? È appoggiata alla parete del grosso intestino oppure nascosta dietro di esso? Domande fondamentali per mettere alla prova le capacità e la formazione del giovane medico. Infine, la conferma: la paziente va portata in sala operatoria, si chiami l’anestesista.
2012: stessa situazione ma il medico in pronto soccorso non pensa più alla sfida intellettuale con il suo mentore. È preoccupato per il suo contratto da precario a 900 euro al mese che sta per scadere e, come ha visto fare da tutti gli altri, chiama direttamente la radiologia per ordinare un esame che costa un po’ di più del suo stipendio. Una Tac spirale ad alta velocità con scansioni sottilissime e infusione di mezzo di contrasto per esaminare ogni millimetro dell’addome e della pelvi e stabilire sulle immagini, ma soprattutto in base al referto del radiologo, se si tratta di un problema all’ovaio di destra, di un’appendicite acuta oppure di un patologia diversa che non richiede l’intervento del chirurgo. Le domande non servono quasi più, tanto meno la visita tradizionale. Inoltre, quelle immagini su cd potrebbero rivelarsi utili anche per difendersi in tribunale nel caso in cui la paziente e i suoi familiari, scontenti per qualche motivo dell’esito delle cure, decidessero di denunciare il medico per una diagnosi errata. L’utilizzo della tecnologia straordinaria di cui oggi disponiamo permette di curare e risolvere situazioni per le quali quando mi sono laureato trent’anni fa il primario, sconsolato, allargava le braccia. È un bene e ne dobbiamo tutti essere felici. Ma non possiamo rinunciare a utilizzare quelle risorse meno costose, affinate in centinaia di anni, e che ancora oggi possono essere utilissime dal punto di vista clinico ed economico. Inoltre, quella mano appoggiata sulla pancia del paziente, con un gesto che è anche intimo, non solo costa molto meno, ma aiuta a stabilire un rapporto umano che certo non si può chiedere alla Tac spirale di ultima generazione.
E perché dobbiamo continuare a considerare il radiologo come se fosse un prestatore d’opera e di servizi e non invece un sofisticato specialista in una materia così positivamente stravolta dal progresso della tecnica? Non sarebbe più logico che il medico o il chirurgo gli illustrassero il proprio sospetto e, sulla base delle informazioni cliniche ricevute, il radiologo scegliesse l’esame migliore in quella circostanza, senza eseguire meccanicamente ciò che gli è stato chiesto su un ricetta scritta da altri? Si eviterebbe così di sottoporre i pazienti al disagio e allo stress di test che si sovrappongono, aumentano i costi e alla fine forniscono in maniera ridondante le stesse informazioni. Perché non creare una nuova categoria di rimborso, la diagnosi radiologica, in modo da dare un valore non solo professionale ma anche economico al lavoro del radiologo? Insomma, ci sono decisioni che si possono prendere a livello clinico e amministrativo: i medici le conoscono e dovrebbero pretenderle. La politica deve imparare ad ascoltare queste proposte e smettere di pensare che parlare di sanità significhi sostenere il proprio candidato per il ruolo di primario o di direttore generale di un ospedale.