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Rom le radici dell’odio

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“Bastano tre lettere per spaccare il mondo in due. Da una parte chi evoca le ruspe. Dall’altra chi cerca di capire, di contestualizzare una questione – quella dei rom – che è diventata un programma politico, una sparata da comizio. Come quasi tutto in Italia. Ma è ovunque così?

Sono tra i 12 e i 15 milioni gli RSC (Rom, Sinti e Camminanti) in Europa, di cui 9-10 milioni vivono nell’UE e solo 140.000 nel nostro Paese: lo 0,2% della popolazione totale. Una goccia nel mare europeo, dove 2 abitanti su 100 sono di etnia rom o sinti. Tanti. In molti casi integrati, spesso impiegati in aziende pubbliche o private, quasi sempre scolarizzati. Cittadini qualunque, membri di una comunità. Ciò che a queste latitudini è pura utopia, duecento chilometri più in là può essere già realtà.

La storia rom è una ruota che gira, diventata non a caso simbolo – e, dal 1971 bandiera ufficiale – di un popolo anarchico per indole, nomade per necessità. Nessuno sa di preciso da dove vengono, anche se recenti studi individuano il ceppo d’origine in un lembo di terra tra India e Pakistan. Sarebbe cominciata lì l’infinita diaspora dei rom a spasso tra Asia e Europa, seguendo il flusso dei fiumi: l’Indro, il Tigri, l’Eufrate, e poi Danubio, Elba, Reno, fino a stabilirsi nei Balcani tra il XIV e il XV secolo. Sempre in fuga da qualcuno o qualcosa. Oppressi per lo stile di vita e gli abiti eccentrici, esiliati dalla Spagna nel 1492, accusati di cannibalismo in Ungheria, di portare peste e malattie in Italia (e per questo espulsi da Milano nel 1512). Sempre nel ’500, in Germania, una bolla imperiale garantiva impunità a chiunque avesse ucciso uno zingaro. Il destino, per chi si salvava, era la schiavitù.

“Sino alla metà dell’800, la Valacchia, in Romania, era il centro di raccolta degli schiavi rom – racconta Pino Petruzzelli, regista e attore teatrale, autore di Non chiamarmi zingaro (Chiarelettere, 2008) – Per questo oltre 2 milioni di romeni oggi sono gitani”. Fino ad arrivare al Porajmos (“il grande divoramento”, in lingua romani). L’Olocausto degli “zingari”: il genocidio di 550.000 uomini e donne sinti e rom nei campi di sterminio nazisti. Dal dopoguerra in avanti si è aperto in quasi tutta Europa un lento, ma costante, processo di integrazione. Che in Italia si è fermato prima ancora di cominciare.

Le radici del fallimento affondano negli anni ’70, quando lo Stato cominciò ad allestire i primi campi nomadi. “Alla base di tutto c’era l’equazione rom-nomade – spiega Petruzzelli – In realtà l’istinto al nomadismo (la cosiddetta wandertrieb) è una cazzata assurda inventata dai nazisti. La loro è una storia di persecuzione secolare che li ha costretti a fare lavori che ti permettono di scappare in fretta. Un tempo si occupavano del commercio dei cavalli, poi sono passati alle auto”. Risultato? Da quarant’anni un gran numero di rom in Italia è stato sistematicamente ghettizzato, isolato in quartieri- dormitorio sovraffollati, privi delle condizioni igieniche elementari, in cui dilagano malattie e degrado.

Per sopravvivere si fa di tutto: furto di rame, prostituzione, traffico d’armi. Bassa manovalanza su cui la criminalità organizzata ha messo presto le mani. Rom costretti a delinquere? Con il tempo pare diventato un alibi comodo. L’abitudine in taluni gruppi si è radicato, è diventato costume culturale. Negarlo non aiuterebbe a risolvere i problemi. Così come una reciproca difficoltà all’integrazione tra i due lati della barricata. Ma è solo la punta dell’iceberg, “quello che la gente vede, o vuole vedere – spiega Yasmine Accardo, portavoce dell’associazione Garibaldi 101 di Napoli – in un Paese in cui il 75% dei rom vive in case come tutti, in condizioni anche agiate, e perfettamente integrati nel sistema”.

Sono 167 i campi nomadi censiti in Italia nel 2008, tra autorizzati e abusivi; 40.000 i rom che vivono ancora nelle baroccopoli. “L’assistenzialismo con cui per anni si è provato a risolvere il problema ha fallito – prosegue Accardo – Non c’è bisogno di leggi speciali. L’unico modo per realizzare l’integrazione è inserirli in case popolari o in affitto condiviso, come è avvenuto con successo a Bologna, Bolzano, in Sardegna. Non è vero, come ci raccontano, che loro vogliono vivere così. I casi di inclusione esistono già, e sono la stragrande maggioranza. Semplicemente fanno meno rumore”.

Vista da queste latitudini, l’Europa sembra un’altra galassia. A parte la Francia, dove resistono alcune sacche di nomadismo soprattutto di etnia sinti), negli altri Paesi i campi nomadi non sanno neppure cosa siano. Emblematico il modello spagnolo, in cui trent’anni di politiche governative inclusive si riflettono oggi nei numeri: il 92% dei gitani vive in appartamenti tradizionali, in larga parte di proprietà; il 50% di loro ha un contratto o un impiego stabile, mentre il tasso di scolarizzazione elementare è prossimo a quello dei bambini iberici. “Merito dei 130 milioni investiti tra il 2007 e il 2013, tra fondi interni ed europei. Ma anche di un diverso approccio che guarda alle famiglie rom non come zingari, bensì come semplici cittadini in difficoltà” ha ricordato il “New York Times” in una recente inchiesta. In Svizzera la percentuale di rom laureati cresce di anno in anno.

Più complesso il caso della Germania, che ha fatto a lungo i conti con il Porajmos: il peccato originale. A lungo tollerati, negli ultimi anni la loro presenza è aumentata a dismisura, moltiplicando i conflitti sociali. Il governo tedesco ha risposto con apertura, diritti e tolleranza zero: chi delinque o si rifiuta di aderire agli stili di vita tedeschi se ne torna a casa. Per tutti gli altri le porte della società civile sono – se non spalancate – aperte. Esattamente il contrario di quanto avviene in Italia, dove l’ipocrisia e l’assenza di una vera e propria politica di integrazione hanno finito per alimentare l’odio e l’illegalità. Per Petruzzelli, siamo dentro a un circolo vizioso. “Invece di fermarsi al pregiudizio, la nostra società dovrebbe farsi carico del problema. Abbiamo bisogno delle loro intelligenze. Invece ci si ricorda dei rom solo in campagna elettorale. Poi vengono dimenticati e lasciati alla loro sorte”.

Al punto che, da anni, Strasburgo bacchetta l’Italia. L’ultimo cartellino giallo è arrivato nel febbraio scorso. “Nonostante i fondi investiti – ha ricordato l’Ecri (la Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza) – il percorso verso il pieno riconoscimento dei diritti ai rom è ancora molto lento”, con preciso riferimento alle condizioni drammatiche vissute nei campi nomadi. “Anche per questo in molti ora stanno lasciando l’Italia, sempre meno quelli che si fermano dalle nostre parti, preferendo ritornare in Romania o spostarsi in Germania” prosegue Accardo. “Chi resta –le fa eco Petruzzelli –spesso si vergogna a confessare le proprie origini rom, per timori di discriminazioni verso sé o i propri figli. Nel nostro vocabolario zingaro e ladro sono ormai sinonimi”. Chissà se sarà sempre così. La ruota gira. E quasi mai si ferma”. Lorenzo Tosa sul Fatto Quotidiano del 11 Maggio 2015

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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