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Rifiuti in Campania perenne emergenza

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Capitolo tratto dal libro “Il rifiuto del Sud” di Massimiliano Iervolino – Di Girolamo editore. La storia di un business che non conosce crisi, un business che ingrassa mafie, colletti bianchi, imprenditori, personaggi dello stato e delle istituzioni.

È la linea immaginaria che, in merito allo smaltimento dei rifiuti in Campania, divide chi in questa storia ha rappresentato lo Stato e chi il crimine organizzato. Rossa come il sangue dei tanti esseri umani ed animali che sono morti. Sottile perché, troppo spesso, i metodi ed i fini sono stati molto simili. Un primo esempio si può evincere dalle parole di Andrea un residente di Terzigno che, durante la trasmissione Anno Zero del 30 settembre 2010 dedicata a Cava Vitiello, dichiara: Il principio della deroga è da anni che esiste, sai chi lo ha inventato? La malavita. Quando lo Stato deroga alla legge non fa altro che copiare quello che fa la camorra, perché la camorra tutti i giorni deroga alla legge. Fra la camorra e lo Stato c’è una sola differenza qui in Campania, che lo Stato per derogare fa un documento di carta, la camorra se lo comunica a voce.

Questo pensiero, così forte e crudo, ha un sua logica. Basti pensare a chi ha inquinato le fertili terre del territorio campano. Facile assioma rispondere che sia stata la camorra, di certo aiutata dall’assenza, il più delle volte dolosa, degli enti istituzionali che avrebbero dovuto provvedere al controllo preventivo. Ma lo scempio vero è stato compiuto anche dai partiti che rappresentano lo Stato, visto che in nome dell’emergenza, e aiutati infinite volte anche dagli uomini dei clan, non hanno fatto altro che cercare nuovi buchi dove interrare la spazzatura, contribuendo in modo significativo ad inquinare zone già altamente compromesse dalla malavita 0rganizzata. In queste terre è difficile operare un distinguo tra i comportamenti della camorra e della partitocrazia. Lo abbiamo già scritto ma è giusto ripeterlo: la criminalità politica e quella organizzata, a seconda dei periodi storici, o collaborano o si fanno la guerra. Ciò vale soprattutto in regioni come la Campania. Il fine è sempre lo stesso: il controllo del territorio e quindi del consenso. Il mezzo, nel nostro caso, è la monnezza. Gli effetti collaterali? I morti per avvelenamento ambientale. Tutta la vicenda inerente ai rifiuti in Campania si può dividere in due grandi capitoli che si legano ed alimentano l’uno con l’altro. Il primo vede la criminalità organizzata come protagonista principale, visto che per anni ha smaltito nelle zone che controllava rifiuti tossici e velenosi provenienti dalle industrie del Nord Italia. Il secondo ha come figura di spicco la criminalità politica, che dal 1994 ad oggi non ha saputo e voluto avviare un ciclo integrato dei rifiuti, e in nome dell’emergenza, quindi attraverso le deroghe alle leggi nazionali e alle direttive europee, non ha fatto altro che cercare territori dove buttare il pattume. È chiaro che laddove i protagonisti sono stati gli uni, gli altri hanno svolto un ruolo secondario, ma entrambi non sono mai stati completamente assenti. Il primo grande capitolo è riferito alla camorra, ma di questo parleremo brevemente, vista la vasta letteratura a disposizione di chi volesse approfondire. Piuttosto focalizzeremo gran parte del nostro racconto sui metodi della criminalità politica che, troppe volte, si salva trovando il solito capro espiatorio identificabile nella cosiddetta mela marcia. È nostro interesse dimostrare come la partitocrazia sia un apparato che, distruggendo lo stato di diritto, va ben oltre la responsabilità del singolo dirigente politico colluso.

Ma torniamo alla camorra e allo sversamento illegale dei veleni. Lo facciamo partendo dalle parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che nel giugno del 2008 dichiarò: È assolutamente accertato, anche in sede parlamentare, che ci sono stati traffici per sistematici trasferimenti di rifiuti tossici altamente pericolosi da industrie del Nord in territorio campano, con l’attiva cogestione da parte della camorra. Secondo le confessioni del primo boss delle ecomafie, Nunzio Perrella, è dal 1988 che la camorra è diventata “imprenditrice” della monnezza. Nel campo della gestione dei rifiuti, infatti, gli investimenti illeciti trovano possibilità di guadagno analoghe a quelle presenti nel traffico di sostanze stupefacenti, delle armi e del contrabbando.

La Campania è al primo posto per l’illegalità da smaltimento della spazzatura. Alcune regioni del Nord, verso la metà degli anni ottanta, si trovarono in grossa difficoltà, visto che l’allarme diossina ebbe come conseguenza la chiusura di alcuni inceneritori ed invasi, impianti dove le industrie e le concerie smaltivano i propri rifiuti. Fu così che alcune menti criminali pensarono di smaltire questi veleni in Campania, interrandoli anche in quelle discariche che, per un ventennio, avrebbero dovuto garantire l’autonomia della regione del mezzogiorno. Così facendo, oltre a provocare un disastro ambientale, gli invasi campani si riempirono prima del previsto. La differenza tra il Nord e la Campania l’ha fatta la camorra, infatti nel settentrione, dal 1985 al 1990, si è risolto il problema seguendo la legge, invece a Napoli e dintorni la situazione è rimasta gravissima. È in questo periodo che nasce l’ecomafia partenopea, infatti è l’epoca in cui i vari Francesco Schiavone, Antonio Iovine e Francesco Bidognetti, tramite la società Ecologia 89, entrano nel business della monnezza. Sono gli anni del camorrista Nuzio Perrella e dell’avvocato Cipriano Chianese. Il patto sarebbe stato siglato a Villaricca, ristorante La Lanterna, luogo in cui la compravendita di rifiuti industriali e tossici diventa “sistema”. Parliamo dello smaltimento di almeno tre milioni di tonnellate di rifiuti tossici e nocivi. Nelle casse della criminalità organizzata, alla fine degli anni ottanta ed inizio anni novanta, erano confluiti 18milioni di euro, il prezzo pagato dagli industriali per far sparire fanghi industriali, amianto, fusti tossici, rifiuti ospedalieri, e persino le ceneri spente della centrale termoelettrica Enel di Brindisi, le scorie dell’Acna di Cengio e quelle della CybaGeigy, azienda farmaceutica di Castellammare di Stabia. Le Istituzioni, verso la fine degli anni ottanta, già sapevano di questo immondo business, ma fu fatto poco o nulla. Ci sarebbe stato tutto il tempo per fermare il disastro intervenendo con repressione sul traffico della monnezza che partiva dal Nord per arrivare al Sud e per bonificare i terreni. Invece si preferì intervenire con lo strumento del commissariamento e dei poteri speciali che, come vedremo, garantirà agli attori in campo il non dover cambiare assolutamente nulla. Nel 1999 la magistratura e le forze dell’ordine diedero vita ad una maxi operazione denominata “Cassiopea”. Si scoprì che i rifiuti speciali di Toscana, Piemonte e Veneto venivano sversati illegalmente in alcune regioni del Sud, ed in particolare in Campania. L’affare veniva coordinato da almeno 41 aziende che si dovevano occupare di stoccaggio, di gestioni delle discariche e del trasporto. Un business illecito di circa cento miliardi di vecchie lire all’anno. La legge veniva scavalcata tramite il cosiddetto “girobolla”, metodo che prevedeva il passaggio del rifiuto tossico attraverso un centro di stoccaggio. In questa sede, falsificando il formulario, avveniva il declassamento da rifiuto pericoloso a non pericoloso. Questi veleni sono stati interrati a Grazzanise, Carinaro, Villa Literno, Castelvolturno, Cancello Arnone, S. Maria la Fossa. Si parla addirittura di cassoni di acciaio spaccati dall’acidità dei rifiuti speciali e di una concentrazione di cadmio, piombo e cromo tale da consigliare il blocco delle colture sui terreni interessati dallo smaltimento. Come spesso accade in un paese come il nostro, dove la giustizia è ridotta ad uno stato comatoso, il 18 settembre del 2011 tutti i più importanti giornali pubblicano la scioccante notizia che, in merito all’indagine Cassiopea, si è disposto il non luogo a procedere, quindi niente processo per i 95 accusati. Quasi tutti i reati contestati sono stati cancellati nel tempo, e anche le accuse più gravi sono state derubricate a reati minori, “inghiottiti” a loro volta dalla prescrizione. Una vera e propria vergogna. Dopo l’operazione Cassiopea è il turno, nel 2002, di altre indagini denominate: “Greenland”, “Murgia violata”, “Econox” ed “Ecoservice”.

Nel 2003 prende vita l’indagine “Re Mida”, un traffico di rifiuti pari a 40 mila tonnellate provenienti dal Nord con destinazione la Provincia di Napoli. Nelle cave e sottoterra finivano fanghi industriali ed oli minerali derivanti dalla lavorazione di idrocarburi – inutile sottolineare come queste fossero tutte sostanze altamente tossiche. Diverse società simulavano la lavorazione di questi veleni, che invece venivano sversati così com’erano in cave in ricomposizione ambientale, ed in terreni agricoli controllati dalla camorra. Alcuni pastori erano pagati per fare le vedette ed avvertire con solerzia la criminalità organizzata in caso di movimento delle forze dell’ordine. Il 4 aprile del 2003, presso una cava del giuglianese, si presentò l’Arpac ed i carabinieri e le successive analisi che scaturirono da quel blitz furono impietose: «È stata verificata la presenza di oli minerali. Fase di rischio R45. Codice pericoloso». La nota delle autorità di controllo sottolineava il danno provocato dalle sostanze smaltite che potevano causare il cancro a coloro che, in un modo o nell’altro, ne fossero venuti a contatto. Nel 2004 scattò l’operazione “Terra mia”, nel 2005 quelle denominate “Marco Polo” e “Madre Terra”. Nel 2006 nacque l’inchiesta “Ultimo atto Carosello”, che accertò che ingenti quantità di rifiuti, anche pericolosi e provenienti dal settentrione, venivano smaltiti illegalmente nei terreni o nei Regi Lagni, antico sistema fognario che sfocia direttamente al mare. Quelli più altamente tossici, contenenti anche diossina,venivano mescolati a materiale organico per essere poi utilizzati come compost per concimare terreni. Sempre nel 2006 partì l’inchiesta “Dry Cleaner” e quella denominata “Macchia d’olio”. Fu invece del 2007 l’indagine “Caronte” che accertò, secondo l’impianto accusatorio, come circa 3.000 tonnellate di rifiuti speciali sarebbero stati gettati nelle acque del torrente S. Tommaso, affluente del fiume Sarno. Nello stesso anno vide la luce l’operazione “Chernobyl” che ha portato anche al sequestro dei depuratori di Licola, Marcianise, Mercato San Severino e Orta di Atella.

Lo smaltimento dei rifiuti tossici e cancerogeni avveniva in mezza Campania, attraverso l’interramento in campi coltivati e lo sversamento nei fiumi. Si trattava dei rifiuti provenienti dagli impianti di depurazione delle acque reflue, dalle navi militari, da quelle civili, dai condomini, dagli ospedali, dalle industrie e dai lidi balneari del litorale domizio. Agghiacciante! Il 10 dicembre del 2012 arriva l’ennesima accusa ai Casalesi e affini. Disastro doloso e avvelenamento delle falde acquifere, aggravati dal metodo mafioso e dal fatto di aver agevolato il clan dei Casalesi. Sono i più recenti reati ipotizzati a carico di Francesco Bidognetti, capo storico del clan condannato all’ergastolo nel 2008 e da allora al 41bis, contenuti in una nuova ordinanza di custodia cautelare recapitatagli in carcere. Secondo i Magistrati, infatti, in quanto capo clan dei Casalesi e direttore, tra la fine degli anni ’80 e la metà dei ’90, della società Ecologia 89, Bidognetti avrebbe dato copertura formale al ciclo illegale di smaltimento dei rifiuti prevalentemente provenienti dal Nord Italia, concorrendo a causare l’avvelenamento di una imponente falda acquifera sotto le discariche di Giugliano, in località Scafarea, di proprietà di Cipriano Chianese, anche lui destinatario dell’ordinanza e già in carcere. Gli inquirenti hanno accertato che a Giugliano, in Provincia di Napoli, l’area con le discariche (di 21,4 ettari) è stata inquinata per un ventennio con smaltimenti di rifiuti pericolosi (oltre 800 mila tonnellate), che hanno causato circa 58mila tonnellate di percolato che si è riversato nel sottosuolo, una contaminazione che si prevede durerà almeno fino al 2080. I rifiuti hanno provocato anche la contaminazione della falda, causando un grave rischio per l’agricoltura, la salute animale e soprattutto dell’uomo, per la presenza di alcune sostanze con concentrazioni oltre i limiti previsti. Il picco della contaminazione e dell’avvelenamento della falda è previsto al più entro il 2064.

Anche l’ex sub-Commissario di governo per l’emergenza rifiuti in Campania, Giulio Facchi, è indagato dalla Procura di Napoli per disastro ambientale colposo. «Facchi – scrive il gip nel provvedimento notificato al capo clan dei Casalesi – quale sub-commissario e autore materiale in concorso con altre persone di reati consumati dal 2001 al 2004, è artefice dell’ulteriore sfruttamento di siti da bonificare quali discariche abusive, previo il rilascio di provvedimenti abnormi e autorizzazioni false e illegittime». Quindi nel 2064 il percolato precipiterà nella falda ed inquinerà qualsiasi cosa, acqua, terra, animali, vegetazione e uomini. Nell’accusa della Dda (direzione distrettuale antimafia) Bidognetti forniva l’appoggio della camorra e Chianese (titolare della Setri, successivamente della Resit srl, società che gestivano le discariche sotto inchiesta), sarebbe stato il grande ideatore del traffico, insieme ai capoclan e a Cerci. Ma è la giornalista Rosaria Capacchione che ci aiuta a fare il punto della situazione sulle tante inchieste che hanno riguardato il trasferimento dei rifiuti dal Nord alla Campania. […] a voler mettere in fila le 191 inchieste che hanno attraversato l’Italia delle ecomafie, a voler guardare bene nelle migliaia di faldoni che le compongono, si scopre che raccontano solo a metà il fenomeno che ha appestato campagne e coscienze diventando fonte di guadagni pressoché illimitati (tre miliardi di euro nel solo 2010, stando alle stime di Legambiente) per le consorterie mafiose. Si scopre, insomma qualcosa che lascia sgomenti, avvilisce, in tutte quelle carte mancano i nomi che contano: quelli dei mediatori, dei lobbisti che hanno tessuto la strategia, degli uomini delle istituzioni che hanno consentito, tollerato o coperto il traffico di rifiuti; degli industriali che hanno cinicamente approfittato della possibilità di smaltire milioni di bidoni di sostanze che poi hanno inquinato i territori di Giugliano, Villaricca, Villa Literno, Casal di Principe,Maddaloni, Marcianise.

[…] Una storia incompiuta, piena di buchi: quelli delle discariche abusive e quelli delle conoscenze investigative, interrotte quasi sempre a mezza strada. Dai vari documenti ufficiali esce anche il nome di Licio Gelli e di altri rappresentanti di logge massoniche, tirati più volte in ballo dall’allora capo della Procura di Napoli, Agostino Cordova. La Giornalista del Mattino proprio per questo si chiede: A chi si riferiva Cordova, all’imprenditore ligure Ferdinando Cannavale, che aveva partecipato al tavolo con Perrella e Vassallo? A Gaetano Cerci, che nel 1991 e nel 1992 era stato ospite di Licio Gelli assieme al camorrista Guido Mercurio, che a Villa Literno (che ospita buona parte delle ecoballe della penultima emergenza su piazzole costruite su terreni riferibili al clan Iovine) gestiva un impianto di rottamazione? Ad altri soggetti i cui nomi sono rimasti sconosciuti? Questo è il primo grande capitolo dell’affaire rifiuti in Campania. La camorra, in questo caso, la fa da protagonista anche se, è bene ricordarlo,attraverso comportamenti dolosi e collusi di vari personaggi della pubblica amministrazione e della politica più o meno locale. Per passare al capitolo riguardante la criminalità politica, si deve necessariamente attraversare la sottile linea rossa che divide le due organizzazioni criminali.

A tal fine è necessario citare due esempi che rafforzano l’idea di un confine così minuto. La prima prova riguarda i terreni che i commissari di Governo negli anni hanno scelto per superare le varie emergenze nelle emergenze. Ebbene, è innegabile costatare come le zone individuate siano state, quasi sempre, quelle già sfruttate dalla camorra per smaltire i veleni del Nord. La criminalità organizzata si presenta agli attori istituzionali come uno dei soggetti in grado di offrire risposte immediate. La malavita, infatti, si è sempre contraddistinta per un controllo di alcune aree del territorio.

La seconda prova riguarda lo smaltimento illegale e, in senso più ampio, il mancato rispetto delle leggi. Ci sono, infatti, quattro atti della gestione illegale dei rifiuti in Campania che vedono indagati illustri esponenti della politica e delle istituzioni. Parliamo del processo a carico di Bassolino e della Impregilo, del processo (ancora non iniziato) cosiddetto “rompiballe”, dell’inchiesta sui falsi collaudi degli impianti di produzione del combustibile derivato da rifiuti, e di quella inerente i depuratori attraverso il quale si buttava il percolato a mare. La criminalità organizzata, in questi quattro filoni d’inchiesta c’entra poco o nulla. I veri responsabili sono da ricercare altrove, e cioè all’interno di quella classe politica che doveva risolvere i problemi avviando un ciclo di recupero e di smaltimento diverso da quello dei clan. Lo stato di emergenza in Campania era stato dichiarato per due motivi: il primo riguardava la proprietà delle discariche prima del 1994, gli invasi infatti facevano quasi tutti riferimento alla camorra; il secondo era legato alla mancanza di un vero ciclo integrato dei rifiuti, le percentuali di raccolta differenziata erano vicine allo zero. I poteri d’urgenza, prorogati di anno in anno dal 1994 al 2009, non hanno mai concorso a centrare nessuno dei due obiettivi dichiarati. I processi e le indagini, invece, hanno dimostrato che nonostante gli invasi fossero stati resi pubblici, lo smaltimento illegale comunque è sempre continuato impunemente. Le crisi del 2001, del 2007/2008 e del 2010 costituiscono la prova del come, con il passare degli anni, l’inefficienza del sistema sia rimasta tale. I quindici anni di commissariamento, infatti, sono stati caratterizzati dalla frenetica corsa alla ricerca di nuove discariche, passando da un’emergenza all’altra, superando una crisi per vederne spuntare una nuova all’orizzonte. I tanti decreti del Governo hanno avuto la sola misera funzione di derogare alle leggi, al fine di aprire nuovi buchi dove nasconde re il problema. Difficoltà che, dopo qualche mese, si ripresentavano con maggiore gravità. Tutto il mondo ha visto le immagini di Napoli e della sua Provincia sommerse dai rifiuti. Sono stati tre i momenti di gravissima difficoltà che hanno attanagliato la città partenopea.

La crisi del 2001, riacutizzatasi nel 2003, scoppiò nel momento in cui le due più grandi discariche presenti nel territorio regionale, Tufino e Parapoti, giungevano a saturazione. Per superare le difficoltà del 2001 – in mancanza di apprezzabili percentuali di raccolta differenziata e di impianti per il trattamento – si decise di aprire provvisoriamente gli invasi di Serre e Castel Volturno, e si inviarono migliaia di tonnellate di rifiuti in Toscana, Umbria ed Emilia Romagna, nonché all’estero, cioè in Germania. Nel 2004 furono attribuiti nuovi poteri speciali al Commissario, volti ad assicurare lo smaltimento fuori regione. Per attenuare la crisi, venne prorogato l’esercizio delle discariche attive, passando per l’aumento delle volumetrie ed aprendo quelle non più in esercizio. La seconda forte crisi è quella del 2007/2008, il motivo era sempre lo stesso: la progressiva saturazione delle discariche che, in mancanza di un ciclo virtuoso, ha avuto come diretta conseguenza la spazzatura per le strade della Campania. L’allora Governo Prodi autorizzò nuovi siti da adibire ad invasi e la costruzione di tre nuovi inceneritori che, di fatto, superavano i due previsti dal piano Bassolino. Prodi, con l’ordinanza n. 3639 dell’11 gennaio 2008, nominò nuovo Commissario il Capo della Polizia Gianni De Gennaro, con l’obiettivo di risolvere l’emergenza in quattro mesi. Ripresero i viaggi via treno per lo smaltimento in Germania. Si programmò, inoltre, la riapertura della discarica di Pianura – quella già usata dalla camorra – e successivamente l’apertura di una cava dismessa a Chiaiano.

La situazione comunque rimase lontana dall’essere risolta anche perché le popolazioni locali giustamente non nutrivano fiducia nello Stato, e reagivano organizzando delle proteste che purtroppo, a volte, diventavano molto violente. Un popolo già massacrato dai veleni della camorra si è trovato a dover subire delle scelte emanate dai governi che, di fatto, hanno peggiorato una situazione già di per sé molto compromessa. Il 21 maggio del 2008 si insediò il nuovo Governo Berlusconi e Napoli venne scelta come luogo per il suo primo Consiglio dei Ministri. L’esecutivo di centro destra, il 23 maggio 2008, approvò il Decreto Legge n. 90 che Berlusconi rivendicò come l’atto utile a compiere il miracolo di ripulire Napoli dalla monnezza. Da tanti altri, invece, verrà ricordato come l’ennesima legge che calpestava il diritto in nome dell’emergenza.

Il Decreto prevedeva quattro nuovi inceneritori, invece di tre, dieci nuovi siti da adibire a discariche che, udite udite, vennero contestualmente dichiarati zone di interesse strategico nazionale di competenza militare. Si prevedevano inoltre commissari ad acta per quei comuni che non riuscivano a portare a regime la raccolta differenziata. Il Decreto 90 annunciava, oltre a ciò, la cessazione dello stato di emergenza per il 31 dicembre 2009 e la nomina di Guido Bertolaso, già Commissario nel 2006/2007, come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega all’emergenza rifiuti in Campania. Le popolazioni reagirono male a tale atto governativo, anche perché, all’interno del testo del miracolo berlusconiano in deroga a tutte le leggi nazionali e le direttive europee, c’era l’art. 9 che autorizzava lo smaltimento nelle nuove discariche anche di rifiuti pericolosi. La sottile linea rossa è dunque di nuovo presente! Il 18 febbraio del 2009 venne aperta la discarica di Chiaiano, il 15 giugno toccò a quella ubicata all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio, la cosiddetta Cava Sari di Terzigno. Arrivò poi il turno di San Tammaro (in Provincia di Caserta). L’apertura di tutti questi sversatoi non risolse i gravi problemi che continuavano ad attanagliare la Campania, quindi quello di Berlusconi risultò essere un finto miracolo. La crisi del 2010 ci conferma il perdurare di questa situazione allarmante, tale da poter generare una nuova crisi da un momento all’altro. In tutti questi anni al grido di “bisogna far presto” si è esclusivamente pensato ad autorizzare nuovi invasi. Questo non è il giudizio di un ambientalista “senza se e senza ma”, è invece la motivazione che spinse la Commissione Europea ad avviare, in data 27 giugno 2007, una procedura di infrazione contro l’Italia per la cronica crisi dei rifiuti che vedeva coinvolte Napoli ed il resto della Campania. Il 4 marzo 2010 l’Italia subì la prima condanna della Corte di Giustizia Ue per «non aver adottato tutte le misure necessarie per smaltire i rifiuti». In caso di seconda condanna le sanzioni verrebbero applicate sulle carenze di gestioni passate e future. Si parla di multe da 500.000 euro al giorno. Un gran bel risultato conseguito soprattutto grazie a 15 anni di poteri commissariali. Non ci resta nulla da dire se non: complimenti!

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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